Da Corriere della Sera del 15/10/2003

Bagdad si risveglia con la luce e i negozi aperti E i ladroni sono spariti dalla «via Alì Baba»

di Lorenzo Cremonesi

BAGDAD - Pattuglie della nuova polizia dove prima regnavano indisturbate le bande di ladri; negozi aperti sino alle otto di sera, quando solo due mesi fa chiudevano già alle due del pomeriggio. E finalmente l'elettricità per quasi 24 ore su 24.

Notizie che fanno a pugni con le cronache di sangue, tensione e lo stillicidio di attentati quasi quotidiani. Però visibili, evidenti appena rientrati nel Paese. Basta percorrere quella che era chiamata «la via degli Alì Baba», l'autostrada dei ladri che in quasi 600 chilometri collega la capitale con il confine giordano. Già pochi giorni dopo la guerra, a metà aprile, era diventata un posto pericoloso per chiunque venisse da o andasse ad Amman. Gli stranieri, il personale dell'Onu, i giornalisti, i dipendenti delle organizzazioni umanitarie, i volontari della Croce Rossa, venivano derubati con regolarità impressionante da bande di uomini armati provenienti da Falluja e Ramadi, guarda caso le roccaforti del cosiddetto «triangolo sunnita» abitato dai fedelissimi di Saddam Hussein. A metà luglio in un giorno solo era stato attaccato un convoglio di alti prelati cattolici e alcuni giornalisti erano stati depredati di quasi 30.000 dollari dopo inseguimenti folli a oltre 160 chilometri all'ora. Dai primi di agosto, proprio per evitare il problema, l'Onu e la Royal Jordan avevano istituito voli regolari Amman-Bagdad approfittando della parziale riapertura dell'aeroporto internazionale.

Ma due giorni fa abbiamo volutamente imboccato «l'autostrada degli Alì Baba» dopo che Jasser Fahad, un autista giordano di lunga esperienza aveva assicurato: «Niente paura, non si deve credere a tutto quello che dice la televisione, l'Iraq è oggi un posto molto più sicuro di quanto appaia. E da quasi un mese la via per Bagdad è tornata tranquilla». Vedere per credere. I primi 400 chilometri filano lisci su una traccia d'asfalto dove si stanno iniziando le prime riparazioni dei danni causati dalla guerra. Poi, proprio nei pressi della città di Ramadi dove prima sfrecciavano le Bmw scure dei ladri a caccia di prede, appare una lunga serie di posti di blocco della nuova polizia irachena.

Nel cielo ogni tanto passa un elicottero americano di pattuglia. «La settimana scorsa abbiamo catturato 15 "Alì Baba", forse erano gli ultimi», dice sorridente un ufficiale iracheno proprio davanti allo svincolo per Falluja.

L'arrivo nella capitale conferma una tendenza già evidente con chiarezza appena dopo il gravissimo attentato al quartier generale dell'Onu il 19 agosto: la città si sta via via normalizzando. Una normalizzazione poco avvertita dai soldati statunitensi o dai diplomatici stranieri, sempre sotto il tiro della guerriglia, ma vissuta con crescente soddisfazione dalla popolazione locale.

Oggi le cose funzionano molto più di ieri. Aperte le 22 università del Paese, aperte le scuole (è vero che non sono ancora arrivati gran parte dei nuovi libri di testo, ma intanto gli studenti sono ai loro banchi e i docenti ricevono lo stipendio), funziona gran parte della rete energetica, funziona il sistema fognario e quello idrico. I negozi sono aperti tutto il giorno.

Non solo nel sud sciita e nelle province curde del nord, ma a Bagdad, che solo due mesi fa veniva presentata come una città ai limiti del collasso. Ora funzionano due terzi dei telefoni, entro novembre verranno attivati anche i cellulari dopo che tre compagnie internazionali (AsiaCell, Orascom e MTC) hanno vinto le gare di appalto istituite dall'amministrazione Usa assieme al Consiglio di governo iracheno. Un tema controverso quest'ultimo. In giugno Dubai e Qatar avevano allargato la loro rete dei cellulari sino a Bagdad senza chiedere alcun permesso. Erano stati subito censurati dagli americani tra mille polemiche.

«Ma ciò che importa è che ben presto sarà possibile comunicare come e meglio di prima», sostiene Hussain Sinjari, redattore capo del settimanale in lingua inglese Iraq Today , un trentenne che era emigrato giovanissimo con la famiglia negli Stati Uniti e ora è tornato a Bagdad. «Il Paese ha bisogno di gente come me. Se non contribuiamo noi ex vittime di Saddam fuggite in esilio, chi garantirà il successo della ricostruzione?», dice. Con lui scommette sul successo anche Hind Al-Mehaidi, una 38enne laureata in ingegneria idrica e consulente della Croce Rossa: «Il fatto è che ben pochi sottolineano la realtà terribile e oppressiva del vecchio regime. Anche allora c'erano frequenti tagli dell'energia elettrica. La grande centrale di Nassiriya, la principale del Paese, da dopo la guerra del 1991 serviva per alimentare Bagdad, lasciando sovente al buio larghe regioni del sud sciita. Ma nessuno ne parlava. I media tacevano, chi lo avesse detto a quelli stranieri sarebbe stato imprigionato, forse torturato e ucciso come traditore. Allora semplicemente non si conoscevano le cose che non funzionavano. Oggi chi afferma che era meglio prima non sa di cosa parla».

In agosto l'energia elettrica arrivava ad Al-Salam, uno dei quartieri residenziali della capitale, solo 3 o 4 ore al giorno. Oggi c'è luce quasi 20 ore. Il miglioramento più evidente si vede per le strade, nei negozi, di fronte alle pattuglie di vigili urbani e poliziotti agli incroci. La centralissima via Karrada, dove si concentrano i negozi di lusso, è frequentata sino alle nove di sera.

«Gli affari vanno benissimo. L'unico problema è che sta crescendo la concorrenza, si moltiplicano i commercianti, siamo costretti ad abbassare i prezzi», dice Hussein Al-Mullah, proprietario di un negozio di elettrodomestici. Beni più ricercati: i televisori in grado di ricevere finalmente i canali stranieri, non più censurati, e i condizionatori d'aria. Al suo fianco si trova il Kardhas, specializzato in antenne e parabole per la ricezione delle tv satellitari. Il prezzo di ogni «padella»: circa 250 dollari. «Ne ho venduti oltre 1.000 in due mesi. La gente ne ha bisogno per seguire le tv arabe Al-Jazira e Al-Arabia, ma molti vedono anche la Cnn e Bbc», afferma fiero di essere il primo «negoziante di Karrada ad avere riaperto subito dopo la guerra». A pochi metri c'è lo Al-Rafidie, noto cambiavalute. Si sta preparando per accogliere la nuova valuta nelle prossime settimane, quando i vecchi bigliettoni da 250 dinari con l'immagine di Saddam Hussein saranno sostituiti da quelli disegnati dalla nuova amministrazione. E chiaramente non ha paura. Fa già buio, solo poche settimane fa avrebbe messo in cassaforte ogni dinaro già da tempo. Ieri sera pile di banconote erano in mostra sul bancone.

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