Il crocefisso nelle scuole? Il riferimento al cristianesimo nella costituzione europea? Sono esempi di un insieme di questioni controverse che derivano dal confluire di due fenomeni in parte opposti: l'aspirazione laica delle società moderne e la nuova concorrenza fra le religioni. In materia la discussione politica, giuridica e sociologica presenta aspetti complessi nei quali non entro. Voglio invece pormi dal punto di vista religioso, cristiano. Anche se non ho titolo per farlo e posso solo chiedere, a chi può rispondere, se non vi sia una confusione che rende più difficile il dialogo fra cristiani e società civile: quella fra «tradizione culturale» e valori religiosi, con i cristiani che difendono la prima e dimenticano i secondi.

Che cosa pensa il Cristo vedendo la sua Chiesa che impegna risorse e credibilità in pressioni politiche e diplomatiche per sottolineare il Suo nome nella costituzione europea? Penso che si rattristi. Il Vangelo cerca instancabilmente di distogliere gli ebrei dal mescolare Dio alle istituzioni politiche e alla ricerca del successo mondano. La Croce, che i cattolici si affannano a tener appesa per legge ai muri dello Stato, dice che l'incarnazione di Dio, se è autentica, non ha riconoscimento nel mondo. La Resurrezione, raccontata dagli evangelisti con la dolcezza e la discrezione di una storia di amicizia, dice che la presenza di Cristo continua in modo misterioso, senza imporsi a nessuno, come dimensione interiore della vita dei suoi discepoli. I quali sono invitati a diffondere fede, speranza e carità con la consapevolezza che saranno male accolti. Il cristianesimo esprime nel modo più integrale l'idea, presente anche in altre religioni, che credere significa avere valori che riguardano il mondo ma non sono del mondo. Il Dio dei cristiani è il più incarnato, presente e laico che ci sia, ma è anche quello che non cerca successi, verifiche e garanzie mondane. E nemmeno simboli e distintivi. Vuole che i valori si esprimano con libertà e concretezza e s'incarna nel pane e nel vino di tutti i giorni, nelle cene fra amici dove non ci sono bandiere e sono ammessi anche i traditori.

Questi aspetti del Vangelo colpiscono anche chi non crede. Ma la Chiesa, per sua stessa ammissione, ha spesso nei secoli rovesciato i termini della questione. Il suo apostolato ha cercato il successo mondano, politico, militare, giuridico. Come facevano i Grandi Sacerdoti cui Cristo predicava prima d'esser crocefisso. La dimensione esteriore della religione ha sovente prevalso su quella interiore. Ma ci sono poi fasi di pentimento, nella gerarchia e fra i fedeli che oggi, per esempio, sono incantati dalla debolezza fisica portata in giro dal Papa.

Non è forse questa congiuntura di ripensamento evangelico, di neo-laicizzazione e di incontro più ravvicinato con altre religioni, quella giusta perché i cristiani, rifuggendo dal farsi strumentalizzare per difendere una «tradizione culturale» dove prevale la dimensione temporale e politica, accelerino la loro riconversione a coltivare valori senza ricompense e garanzie, a essere apostoli dell'interiorità, aiutando anche le altre religioni, soprattutto l'Islam, a riscoprire la vocazione a essere «nel mondo ma non del mondo»? È una domanda religiosa. Ma può esser anche una domanda politica, dell'agnostico lettore del Vangelo che vuol meglio capire le ragioni e l'evoluzione civili della questione.