Da Corriere della Sera del 27/10/2003

Tutti contro il presidente dell’Unione dei musulmani in Italia: «Così attizza il conflitto sociale». L’imam di Carmagnola, simpatizzante di Bin Laden: «Offendere la fede di un miliardo di persone è un

I musulmani: «Usa l’Islam per farsi pubblicità»

La reazione di società civile e religiosi: «E’ un provocatore». Afef: «Il segno del cristianesimo va rispettato»

di Magdi Allam

ROMA - Se perfino Abdulkadir Fadlallah Mamour, il contestatissimo imam di Carmagnola simpatizzante di Osama bin Laden gli volta le spalle, vuol dire che Adel Smith è veramente isolato in seno alle comunità musulmane. Una ventina di intervistati, un’altra cinquantina che hanno risposto alla domanda secca «Siete o no favorevoli alla rimozione del crocifisso dai luoghi pubblici?»: non un solo responso favorevole al presidente della sedicente «Unione dei musulmani d’Italia». Il popolo di Allah nel nostro Paese è decisamente per la salvaguardia del simbolo della cristianità. Imam di moschee, semplici praticanti, laici, personaggi noti e anonimi: la condanna di Smith è unanime. Cambiano le sfumature. C’è chi esprime un dissenso totale e chi invece sottolinea le ragioni di opportunità. C’è chi si identifica nelle posizioni della maggioranza degli italiani e chi invece esalta le differenze sia rispetto al radicalismo islamico sia rispetto al laicismo italiano. «Il fratello Smith sbaglia. Non c’è nessun hadis (detto o fatto attribuito al profeta Mohammad, Maometto) che dice che bisogna togliere il crocifisso - spiega il battagliero imam di Carmagnola (in realtà la sua moschea è chiusa) -. Il Corano recita: non insultate il loro Dio. Offendere la religione di oltre un miliardo di persone è un errore. L’Italia è un Paese cristiano e ha nel crocifisso il proprio simbolo. Smith sta sfruttando l’Islam per provocare un conflitto sociale».

«E’ un provocatore». Ne è convinto anche Ali Abu Shwaima, emiro del Centro islamico di Milano e Lombardia: «Smith non lo consideriamo parte della comunità musulmana. Non frequenta nessuna moschea. Vuole sollevare un polverone per farsi della pubblicità. Sta lanciando una provocazione per coinvolgere i musulmani in una vicenda che per noi non è una preoccupazione. E’ un provocatore».

Dello stesso avviso una serie di personaggi della società civile musulmana. Prevalentemente laici. Afef è il nome più noto: «Vogliamo vivere con tutti i simboli della fede, nessuno escluso. Il crocifisso è il simbolo del cristianesimo e va rispettato. Troviamo i punti che ci uniscono e non quelli che ci allontanano. Se la libertà di parola deve danneggiare la maggioranza, va tolta. Io do molte colpe ai giornali e alle televisioni. Questo personaggio rappresenta se stesso, perché gli si dà la parola? La tolleranza non è questo. Forse che il Papa non è entrato nella moschea di Damasco e nelle terre dell’Islam con il crocifisso? Nessuno gli ha mai chiesto di rinunciare al crocifisso. Nessuno chiede di togliere i crocifissi dalle chiese che sono tante in tutti i Paesi musulmani ad eccezione dell’Arabia Saudita».

Anche Rula Jebreal, palestinese, giornalista di La7 , punta il dito contro i media: «A me quell’uomo disturba molto. Con due sparate rovina il lavoro della gente moderata che vuole la pacifica convivenza. Perché lo invitano in televisione? Forse che si vuole accreditare l’immagine di un Islam intollerante? Togliamogli la parola».

Omar Mario Camiletti, esponente di primo piano della comunità islamica di Roma, evidenzia il rischio dello scontro di religione: «Il crocifisso fa parte dell’identità culturale italiana. Trovo fuori luogo esacerbare gli animi fino a questo livello. Questa situazione turba enormemente i rapporti della minoranza musulmana con gli italiani. Mio fratello, appena rientrato dalla messa domenicale, mi ha riferito che il parroco ha invitato i fedeli a insorgere a difesa del crocifisso. E’ un clima da crociata. E’ lo spirito di Lepanto. E’ una vittoria degli estremismi reciproci proprio in concomitanza con l’inizio del Ramadan, il sacro mese del digiuno islamico».

La pensa così anche Hamza Massimiliano Boccolini, esperto del mondo arabo e islamico, collaboratore da Napoli dell’agenzia Ap.com: «Per i musulmani italiani la questione del crocifisso non è una priorità. Esiste piuttosto il timore di molti musulmani che questa sentenza si riveli un boomerang per gli interessi dei musulmani stessi».

Rachida Kharraz, marocchina, impiegata alle Acli di Viterbo, illustra un’esperienza di ecumenismo religioso nelle proprie quattro mura: «Noi donne musulmane ci siamo stufate di questa gente che sta usando l’Islam per farsi pubblicità. Non sanno nulla dell’Islam. Il Corano prescrive che se non si crede in Gesù e Maria non si è musulmani. Vogliono attizzare il fuoco della guerra religiosa. La croce è Gesù, è Dio, e noi musulmani ci crediamo. Io faccio il Ramadan e prego. Ma la domenica accompagno mio figlio, che è cristiano, in chiesa».

Younis Tawfik, autore di «La città di Iram» e «La straniera», italo-iracheno di Torino, è uno strenuo difensore della laicità: «Dobbiamo isolare Smith. Rappresenta soltanto se stesso. Non è nostro diritto chiedere di togliere il crocifisso. Non possiamo assolutamente pretendere di cambiare una cultura millenaria che sta andando verso la tolleranza e il dialogo». Zoheir Louassini, giornalista italo-marocchino di Raimed, curatore del sito arabroma.com , ha una posizione più articolata: «La questione del crocifisso è molto seria. Ma le persone che credono nella laicità dello Stato non devono lasciarla nelle mani di irresponsabili. Smith manca di rispetto a questo Paese. Dovrebbe rendersi conto che una scuola laica non accetterà mai il velo delle donne. Quindi o siamo laici al 100% o non lo siamo».

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