Da Corriere della Sera del 01/10/2003

Indagine penale per la «fuga di notizie» che ha svelato il nome di una agente. Bush: voglio la verità

Casa Bianca sotto inchiesta sul caso Cia

La vicenda legata allo scontro sul dossier dell'uranio dal Niger all'Iraq. Il democratico Schumer: «Coinvolti altissimi funzionari»

di Ennio Caretto

WASHINGTON - Il ministero della Giustizia ha aperto un'inchiesta penale sullo scandalo «Nigergate», e il presidente Bush ha ordinato «totale collaborazione» alla Casa Bianca. «Voglio sapere la verità», ha detto ieri il presidente: «Se qualcuno ha avuto una qualche informazione dentro o fuori la nostra amministrazione sarebbe d'aiuto che venisse fuori». L'aveva spiegato qualche ora prima anche il suo portavoce, Scott McCLellan: «Il presidente vuole andare a fondo della faccenda e ci ha chiesto di fornire agli inquirenti l'intero materiale rilevante». L'inchiesta, fanno sapere dalla Casa Bianca, è stata discussa in una riunione di gabinetto e il consigliere legale della presidenza Alberto Gonzales ha inviato una email al personale dopo avere contattato il ministero. La email precisa che l'inchiesta riguarda «eventuali fughe di notizie non autorizzate sulla identità di un funzionario della Cia protetto dall'anonimato». L'agente della Cia è Valerie Plame, moglie dell'ex ambasciatore Joseph Wilson. Nel febbraio 2002, di ritorno dal Niger dove era stato mandato dalla Cia, Wilson smentì l'asserzione della Casa Bianca che l'Iraq vi aveva cercato materiale nucleare. Per rappresaglia, lo scorso luglio qualche bushiano avrebbe svelato ai media il nome della Plame. La notizia della smentita di Wilson, diffusa a luglio, aveva messo Bush in difficoltà perché il presidente aveva sempre insistito sulla pista africana di Saddam, sebbene la Cia lo avesse sconsigliato dal farlo.

Adesso lo scandalo minaccia di ingigantirsi: in base a una legge dell'82, svelare l'identità dei funzionari della Cia è un crimine punibile con 10 anni di carcere e 50 mila dollari di multa. La legge fu emanata dopo che nel '75 un agente traditore, Philip Agee, fece i nomi di alcuni ex colleghi. La condanna viene imposta a tre condizioni: che l'identità sia svelata intenzionalmente; che il funzionario svolga attività clandestina; che sia protetto dall'anonimato. Robert Novak, il giornalista conservatore che pubblicò per primo il nome della Plame, sostiene che la donna è soltanto un'analista. Ma la email di Gonzales indica l'opposto, e si presume che la signora lavorò per la Cia quando seguì il marito in Niger, Gabon, Sudan e Iraq (Wilson fu l'ultimo incaricato d'affari americano a Bagdad, nel '90). Un portavoce dell'Fbi ha ieri riferito che l'inchiesta partirà dai dossier Cia, perché fu essa a chiedere l'inchiesta al ministero della Giustizia due mesi fa. Ma la precisazione è stata accolta con scetticismo dal senatore democratico Charles Schumer, il primo a gridare allo scandalo: «C'è un conflitto di interessi perché il ministro della Giustizia Ashcroft è legato al presidente Bush, e potrebbe troncare l'inchiesta in qualsiasi momento». Il senatore afferma che «altissimi funzionari della Casa Bianca sono coinvolti nella vicenda». Stando ad alcuni media, tra di essi vi sarebbe l'eminenza grigia di Bush, Karl Rove. Il portavoce McClellan lo ha definito «ridicolo». Ma lo stesso Wilson si sarebbe lasciato scappare un furioso commento: «Non mi spiacerebbe vederlo uscire ammanettato dalla Casa Bianca». I retroscena dello scandalo, che potrebbe costare il posto a bushiani eminenti e ripercuotersi contro Bush alle elezioni, sono paradossali. Nel febbraio 2002, il vicepresidente Cheney chiese alla Cia di indagare su Niger e Iraq. La Cia, su indicazione della Plame, scelse Wilson in qualità di esperto di Africa. Wilson al ritorno smentì che l'Iraq avesse tentato di acquistare uranio del Niger. Ma nel gennaio del 2003, Bush parlò egualmente di pista irachena in Africa nel messaggio sullo stato dell'Unione. Lo scorso luglio, in un articolo sul New York Times e in un'intervista al Washington Post, Wilson lo contestò citando la sua missione. Robert Novak verificò con funzionari della Casa Bianca, che gli raccontarono della Plame, come per dire che era un tentativo di depistaggio della coppia. «La Cia non mi ordinò di tenere nascosto il nome della donna», si è difeso il giornalista. Ma George Tenet, il direttore dei servizi segreti, decise di sfidare la Casa Bianca.

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