Da Corriere della Sera del 26/09/2003

Il generale Clark supera la sfida a dieci

Nel teledibattito tra i candidati democratici, le provocazioni più cattive sono per lui

di Ennio Caretto

WASHINGTON - Dal primo istante, gli occhi sono puntati sul generale Wesley Clark, il decimo candidato democratico, il personaggio del momento, come lo chiama il moderatore. Clark è all’esordio nei dibattiti tv e la domanda iniziale è cattiva: nel 2001, lei elogiò il presidente Bush, è un repubblicano o un democratico? Il generale, impeccabile in abito blu, camicia bianca e cravatta rossa, sorride. «Dal 2001 - risponde - il viaggio dell’America è stato incredibile. I repubblicani hanno scatenato una guerra non voluta all’Iraq, ridotto le tasse in modo irresponsabile, alienato i nostri alleati. Non ero mai stato iscritto a un partito, ma ho sentito il bisogno di parlare. Per me c’è un solo partito, quello democratico: io sono per la giustizia economica, l’assistenza sociale, l’aborto, l’Alleanza atlantica».

Il pubblico applaude, il moderatore si rivolge a Howard Dean, il capofila dei candidati fino all’ingresso in campo di Clark. «Saranno gli elettori a decidere se il generale è un democratico», ribatte Dean.

È il primo segno che per gli altri nove Clark è l’uomo da battere. E infatti le domande successive, una sugli 87 miliardi di dollari richiesti da Bush per la ricostruzione dell’Iraq, l’altra sul crescente deficit del bilancio dello Stato, li vedono fare fronte comune contro il generale. Il senatore Joe Lieberman, il compagno di corsa del vicepresidente Al Gore contro Bush nel 2000, sostiene che la somma è necessaria non solo per la protezione delle truppe americane a Bagdad, ma anche per la lotta contro il terrorismo. «Sono in politica solo da 9 giorni - ribatte il generale - ma secondo me il Congresso deve chiedere a Bush dove si vada in Iraq».

L’economia dovrebbe essere una trappola per Clark, che ha credenziali solo militari, le medaglie della guerra del Vietnam, il comando della Nato, la vittoria nel conflitto del Kosovo. Ma il generale è preparato. «I tagli alle tasse di Bush - afferma - non sono una politica economica. Devono essere revocati per il 2 per cento più ricco degli americani, ci servono 100 miliardi di dollari per l’Iraq, le scuole, la sanità». Il resto dei candidati è d’accordo.

Dean torna tuttavia ad attaccare Clark. «Da democratico di vecchia data, non da nuovo venuto...»... «Il generale è un democratico, non un repubblicano convertito», interviene tra le risate il reverendo nero Al Sharpton. La formula dello show tuttavia, sessanta secondi per rispondere, solo trenta per controbattere, non consente diversioni. Il dibattito si trasforma in un assalto prima a Dean, poi all’unisono a Bush. E sui problemi più astrusi, senatori come Lieberman e come John Kerry, altro eroe del Vietnam, e deputati come Dick Gephardt eccellono sugli altri. Alla fine, quello di Clark appare un buon debutto, ma non un debutto fulminante, da leader carismatico.

Incollato alla tv, il politologo Larry Sabato ammonisce che, sulla base di un solo dibattito e a 13 mesi dalle elezioni, è impossibile prevedere se Clark conquisterà la candidatura democratica e sconfiggerà Bush.

Ma i repubblicani paiono nervosi. Secondo l’ultimo sondaggio del Wall Street Journal, la popolarità del presidente è scesa al minimo storico, il 49 per cento, e appena il 38 per cento degli elettori pensa che il Paese sia sulla strada giusta. Oggi Bush, precisa il sondaggio, batterebbe Clark con il 45 contro il 38 per cento dei voti; fino a ieri, però, aveva un vantaggio di 18-20 punti sugli altri 9 candidati democratici. «È chiaro - commenta Sabato - che, a differenza di tutti loro, il generale rappresenta una concreta alternativa al presidente nei due campi in cui è più forte: la sicurezza e la difesa».

I media corrono da Hillary Clinton. La ex first lady rifiuta di schierarsi per Clark: «Non è vero che lo abbia mandato in avanscoperta e lo favorisca sugli altri. Io e mio marito appoggeremo chiunque sia candidato». Si scaglia contro Bush: «La sua rielezione sarebbe un tremendo passo indietro per gli Stati Uniti. La sua è un’amministrazione di estrema destra che ha fallito miseramente».

Una chiamata alle armi in sintonia con lo slogan elettorale di Clark, «il nuovo patriottismo», un patriottismo critico, che sfidi i leader. A cui i repubblicani rispondono con tutti i mezzi a loro disposizione. Tra gli altri, mobilitano contro il generale il suo ex capo di stato maggiore, Hugh Shelton: «Clark - dichiara Shelton - non ha integrità né carattere. Non voterò per lui».

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