Da Corriere della Sera del 23/09/2003
Adesso un dopoguerra condiviso con un’ampia coalizione
di Gianni Riotta
Secondo i neoconservatori Usa, trincerati nella rivista Weekly Standard, il pianeta è invece un condominio tra la burocrazia dell’Onu e l’opportunismo dell’Unione Europea. La divisione attraversa Usa ed Europa: domenica il viceministro della Difesa, Paul Wolfowitz, un falco, è stato fischiato al college della New School da studenti, americani come lui ma pacifisti. Nel clima di rancore non è facile trovare l’accordo per una nuova risoluzione sull’Iraq, capace di dare agli Stati Uniti gli alleati sul campo di cui hanno drammatico bisogno, senza comportare per Parigi, Berlino e Mosca l’approvazione a posteriori dell’attacco al regime Baath. Un passo nella giusta direzione viene dall’intelligente articolo che il cancelliere tedesco Gerhard Schröder ha scritto per il New York Times: è inutile continuare a litigare sulla guerra a Bagdad, meglio lavorare insieme a far mettere radici alla democrazia nel grande mondo arabo.
Francesi, tedeschi e russi son d’accordo nel lasciare agli americani il comando militare delle operazioni, a patto però di mettere sotto controllo internazionale l’Autorità provvisoria di Paul Bremer, che ha per ministro della Cultura il coraggioso diplomatico italiano Pietro Cordone, lievemente ferito venerdì a un posto di blocco. La sinistra dei caffè sulla Rive Gauche e la destra dei centri studi di Washington tifano contro il dialogo. Ma la realtà «senza viva e senza abbasso», cara a Elio Vittorini, dimostra che in America tanti, dal segretario di Stato Colin Powell, ai senatori repubblicani Hagel e Lugar, ai candidati democratici alla presidenza, sono disposti a condividere il dopoguerra in Iraq con una coalizione ampia sul modello di Schröder.
Sabato scorso a Bagdad un commando terrorista ha ferito gravemente la ministro irachena Hakila al-Hashimi, colpevole di lavorare con passione alla rinascita del suo Paese, con libertà per tutti, donne incluse. Era in partenza per New York, voleva mostrare all’Onu il volto migliore del nuovo Iraq. Hakila non parlerà, lotta tra la vita e la morte in ospedale. Non è più tempo di esami su chi avesse ragione sulla guerra, è tempo di decidere con chi stare tra Hakila al- Hashimi e i suoi killer, tra l’Onu e chi ne sabota gli uffici con le stragi. Se in Iraq la guerriglia prevale sulla democrazia non perderanno solo gli uomini di George W. Bush, ma tutti gli occidentali, europei inclusi. Il Dalai Lama, profeta buddhista della tolleranza e premio Nobel per la Pace, in pellegrinaggio a New York, predica: «Il terrorismo del macellaio Osama Bin Laden si combatte con la compassione ma è legittimo ricorrere anche alla violenza». A chi gli chiede: «La guerra in Iraq è stata un errore?», il Dalai Lama risponde: «È ancora presto per dirlo». Se i leader raccolti da oggi alle Nazioni Unite, dove il Dalai Lama non può parlare, bandito dalla Cina, condivideranno la sua umiltà, alla primavera di guerra può seguire un autunno di ricostruzione.
Francesi, tedeschi e russi son d’accordo nel lasciare agli americani il comando militare delle operazioni, a patto però di mettere sotto controllo internazionale l’Autorità provvisoria di Paul Bremer, che ha per ministro della Cultura il coraggioso diplomatico italiano Pietro Cordone, lievemente ferito venerdì a un posto di blocco. La sinistra dei caffè sulla Rive Gauche e la destra dei centri studi di Washington tifano contro il dialogo. Ma la realtà «senza viva e senza abbasso», cara a Elio Vittorini, dimostra che in America tanti, dal segretario di Stato Colin Powell, ai senatori repubblicani Hagel e Lugar, ai candidati democratici alla presidenza, sono disposti a condividere il dopoguerra in Iraq con una coalizione ampia sul modello di Schröder.
Sabato scorso a Bagdad un commando terrorista ha ferito gravemente la ministro irachena Hakila al-Hashimi, colpevole di lavorare con passione alla rinascita del suo Paese, con libertà per tutti, donne incluse. Era in partenza per New York, voleva mostrare all’Onu il volto migliore del nuovo Iraq. Hakila non parlerà, lotta tra la vita e la morte in ospedale. Non è più tempo di esami su chi avesse ragione sulla guerra, è tempo di decidere con chi stare tra Hakila al- Hashimi e i suoi killer, tra l’Onu e chi ne sabota gli uffici con le stragi. Se in Iraq la guerriglia prevale sulla democrazia non perderanno solo gli uomini di George W. Bush, ma tutti gli occidentali, europei inclusi. Il Dalai Lama, profeta buddhista della tolleranza e premio Nobel per la Pace, in pellegrinaggio a New York, predica: «Il terrorismo del macellaio Osama Bin Laden si combatte con la compassione ma è legittimo ricorrere anche alla violenza». A chi gli chiede: «La guerra in Iraq è stata un errore?», il Dalai Lama risponde: «È ancora presto per dirlo». Se i leader raccolti da oggi alle Nazioni Unite, dove il Dalai Lama non può parlare, bandito dalla Cina, condivideranno la sua umiltà, alla primavera di guerra può seguire un autunno di ricostruzione.
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