Da Corriere della Sera del 19/09/2003

«Allah ci ha liberato da Saddam. E’ soltanto lui il nostro salvatore»

Il filo-iraniano Moqtada al-Sadr: «Quando gli statunitensi se ne andranno sarà troppo tardi»

di Lorenzo Cremonesi

NAJAF - «A liberarci dalla dittatura di Saddam non sono stati gli americani. E' stato Allah. E' lui, Dio, il nostro salvatore. Gli americani sono gli invasori». Intabarrato nel suo lungo scialle nero, sotto il turbante in perfetto stile iraniano, la camicia bianca intrisa di sudore, Moqtada al-Sadr snocciola il suo credo. Un credo che per alcuni in questa città-santuario degli sciiti in tutto il mondo, e per tanti in Iraq, significa faida interreligiosa, fondamentalismo islamico, e che potrebbe persino avere motivato il gruppo terrorista autore dell'attentato-carneficina del 29 agosto (un centinaio di morti) in cui rimase ucciso l'ayatollah moderato Mohammad Baqr al-Hakim.

Tornare a Najaf tre settimane dopo il massacro per l'intervista con al-Sadr aiuta a comprendere il cuore del dibattito che in questo momento lacera nel profondo questa che è la comunità religiosa più importante dell’Iraq (gli sciiti sono oltre il 65 per cento dei circa 25 milioni di iracheni). In poche parole: come considerare gli americani e cosa fare con i 25 membri iracheni del governo provvisorio nominati dall'amministrazione Usa per traghettare il Paese verso le elezioni? «Con i 25 non ho alcun rapporto. Qualche tempo fa mi hanno invitato a una loro riunione. Ma ho rifiutato». E gli americani? «Quando se ne andranno sarà sempre troppo tardi. Perché sono venuti per rubarci il petrolio, per i loro stretti interessi. Non credo che in verità vogliano neppure le elezioni».

Dichiarazioni bellicose che non possono essere ignorate tanto facilmente. Perché la forza di Moqtada al-Sadr sta soprattutto nel suo nome, quello di una delle famiglie più note dell'universo sciita. Lui ha solo 29 anni, ma il nonno Mohammed al-Baqir è stato uno dei leader-filosofi più importanti del Ventesimo secolo. Consapevole dell'impatto che il comunismo ebbe sulle masse sciite negli anni Cinquanta, studiò a fondo i principi marxisti con il proposito di combatterli. Poi cercò di importare il vento della rivoluzione khomeinista in Iraq, sino ad architettare l'assassinio dell'ex ministro degli esteri iracheno, Tarek Aziz. Fu allora che Saddam Hussein lo fece assassinare. Una sorte toccata nel 1999 anche al padre di Moqtada, Mohammad, eliminato dai servizi segreti assieme ad altri due figli maschi.

Oggi Moqtada sembra deciso a prevenire chiunque cerchi di eliminarlo. Si muove scortato da decine di guardie del corpo armate. Sono il meglio della «Jeish al-Mahdi», la sua milizia privata che fronteggia per le strade di Najaf gli uomini delle «brigate al-Badr», un'altra milizia pagata e sostenuta dai notabili sciiti legati dal grande Ayatollah Ali Sistani. Al sermone di un venerdì a fine luglio Moqtada aveva sfidato apertamente la nomenklatura sciita (e gli americani) quando aveva annunciato di aver reclutato «un esercito di Maometto forte oltre 10.000 uomini armati».

Nell'intervista al Corriere cerca però di minimizzare. «I miei fedeli sono armati solo della loro fede. Non siamo una milizia, perché la guerra santa può venire decretata solo da una fatwa (un decreto religioso ndr.) promulgata dai nostri massimi capi spirituali», specifica. L'assassinio di al-Hakim lo ha in qualche modo isolato. Najaf al momento è controllata da un massiccio dispiegamento della nuova polizia irachena, affiancata dai 400 agenti della «guardia religiosa», scelti dai capi sciiti e addestrata dagli americani.

Camicia bianca e pantaloni grigi, sono tutti armati, molti hanno anche sfollagente, stazionano in particolare sul luogo devastato dalle esplosioni e controllano accuratamente sacchi e borse. L'intero centro della città è stato transennato, possono transitare solo le auto della polizia. Le «brigate al-Badr», rigorosamente tutti in nero, mantengono una presenza discreta, nascondono i fucili sotto i mantelli, evitano le pattuglie americane, che a loro volta sono visibili solo fuori dal centro della città, sebbene formalmente gli ordini siano quelli di sequestrare qualsiasi arma trovata fuori da case e uffici in ogni luogo. Moqtada resta defilato e prepara la riscossa. «Il processo democratico potrà avvenire solo quando gli americani se ne saranno andati», dice misurando le parole.

E' evasivo anche quando le domande si fanno più dirette. Lei era contrario alle aperture filo-americane volute da al-Hakim. Come risponde a chi sospetta che lei possa aver complottato la sua morte? «Gli assassini di al-Hakim sono tra i nemici dell'Islam: israeliani, americani, occidentali, massoni. Dobbiamo cercare l'unità dei musulmani per batterli».

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