Da Corriere della Sera del 17/09/2003

«L’autonomia dell’università è in pericolo»

I rettori: c’è una bozza di riforma del Tesoro e dell’Istruzione. «Controlli su stipendi, cattedre e programmi»

di Maria Latella

ROMA - Sta per crollare lo jus cathedrae , il diritto sacro e inviolabile a nominare un ordinario qua, un ricercatore là. E’ a rischio quel delicato e complicato sistema di potere grazie al quale si sono costruite carriere e magari anche alimentati amori clandestini, d’accordo. Vero è che, proprio usando in autonomia le risorse, i rettori più bravi son riusciti, in questi anni, a far galleggiare le università italiane, nonostante tutto. Sotto accusa, nei rettorati d’Italia, è oggi la coppia governativa più ascetica e lombarda, Letizia Moratti e Giulio Tremonti, attualmente sospettata di aver ordito un colpo di mano, una mossa spregiudicata che «loro», i rettori, non faranno passare perché, dicono, «di fatto cancella la nostra autonomia».

Il golpe sta tutto in due sottili paginette e in una dozzina di commi: una bozza stilata, si dice, da due stretti collaboratori dei ministri. Al comma 2 si spiega che il ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, sentiti i rettori e il consiglio degli studenti universitari, determina con proprio decreto - nei limiti stabiliti dalla finanza pubblica - le risorse da destinare al perseguimento degli obiettivi. Al comma 3 si precisa che, previa intesa con il ministro dell’Economia e della Finanza, «si determinano le risorse destinate al reclutamento del personale docente, ricercatore e tecnico amministrativo delle Università». Al comma 4 si illustra come dovranno comportarsi le Università: adotteranno «programmi triennali scorrevoli, coerenti con le linee generali di indirizzo», tendenti a individuare «il fabbisogno di personale docente, i corsi di studio da attivare, il programma di sviluppo della ricerca, i programmi di internazionalizzazione».

Ogni programma triennale elaborato da ciascuna università verrà «monitorato», c’è proprio scritto così, dal ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e «gli esiti del monitoraggio saranno comunicati anche al ministero dell’Economia e delle Finanze, ai fini della verifica dell’andamento della spesa».

Secondo i capi dell’università italiana in quei due fogli c’è la prova provata che il ministro dell’Economia Tremonti, d’accordo questa volta con Letizia Moratti, ha intenzione di avocare al suo ministero non solo la gestione degli stipendi del personale docente e non docente dell’università, ma, di fatto, gran parte delle scelte finora lasciate ai rettori. I gradi della preoccupazione conoscono, ovviamente, una vasta gamma di sfumature: si va da chi dissente per metà dalla proposta Tremonti-Moratti a chi dissente in toto e, memore delle clamorose dimissioni di massa minacciate l’anno scorso, si dice disposto a ripresentarle formalmente. In ogni caso, il giorno della rivolta è vicino: il 23 settembre, quando Letizia Moratti incontrerà tutti i rettori d’Italia.

Massimo Egidi, a capo dell’università di Trento, non è tra i più critici, riconosce la saggezza di «voler mettere sotto controllo la crescita dei salari». «Altra cosa, però, è gestire il denaro che resta una volta pagati gli stipendi. La questione è delicata: chi deciderà, per esempio, la politica delle cattedre?».

Le cattedre, già: suolo sacro e inviolabile dei rettori, un vasto territorio sul quale si costruiscono ascese e discese, amicizie, carriere. L’università non accetta, si dice, un controllo così invasivo. Per di più imposto attraverso un articolato della finanziaria: «Questa è una vera e propria riforma e non si può farla passare con un trucco. Una riforma si discute e si vota in Parlamento», protestano i più irritati.

Enrico Decleva, rettore della Statale di Milano, non è tra questi, ma riconosce di essere allarmato: «Se questa bozza passasse così com’è, sarebbe, di fatto, la fine dell’autonomia universitaria». Tutto nasce, si capisce, dal solito problema di soldi. Prima i rettori procedevano a pagare gli aumenti di stipendio quasi automaticamente. Da qualche tempo, invece, il sistema è in sofferenza. Cercando un soluzione, al ministero della Moratti avrebbero trovato questa: gli stipendi li pagherà il ministero dell’Economia, inclusi quei benedetti aumenti. In cambio, ogni altra scelta dovrà essere attentamente valutata.

I rettori, ovviamente, diffidano e, come Massimo Egidi, si chiedono perché, per far passare gli stipendi universitari sotto il controllo del ministero di Tremonti, a Tremonti si debba dare anche il controllo delle altre decisioni. Finora ogni università poteva contare sul fondo ordinario di finanziamento col quale pagava gli stipendi. Se poi le restavano denari, si decideva come investirli. Accanto a istituzioni virtuose come il Politecnico di Milano, che agli stipendi devolve solo il 63 per cento del proprio budget, ve ne sono altre che per i dipendenti prosciugano quasi tutto il finanziamento, ma sono una minoranza. «Per colpa loro, ci rimetteremo tutti?», si interrogano i rettori buoni. Quelli «cattivi», è vero, magari hanno finanziato l’apertura di cattedre a destra e a manca, talvolta pure demenziali, ma «si colpiscano loro, non noi».

Il professor Decleva sintetizza: «Un’università finora poteva decidere se aumentare il numero dei ricercatori o invece assumere un professore ordinario. Se comprare un macchinario o un altro. Con questa proposta, il meccanismo sarebbe molto più farraginoso. Bisognerebbe presentare un piano triennale, farlo valutare dal ministero dell’Istruzione, sperare che il monitoraggio del ministero dell’Economia non lo blocchi... Qualcuno, in questi anni, ha sgarrato? Si intervenga sul singolo errore. Non sull’autonomia di tutta l’università».

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