Da Corriere della Sera del 03/09/2003

Najaf, il giorno dell' orgoglio sciita

La situazione di anarchia strisciante aumenta il potere delle milizie «autogestite» volute dai religiosi

Mezzo milione di persone ai funerali dell' ayatollah ucciso. Bremer promette più sicurezza. Il presidente americano Bush ha messo a punto una bozza di risoluzione per ampliare il mandato Onu

di Lorenzo Cremonesi

NAJAF - Si battono il capo, piangono il loro nuovo «martire» in paradiso, si frustano la schiena a sangue con catene di ferro al ritmo dei tamburi, poi chiedono vendetta e pregano per il «trionfo dell' Islam». Così, oltre 400.000 sciiti hanno seguito ieri mattina la bara dell' ayatollah Mohammed Baker Al Hakim nel terzo giorno di corteo da Bagdad e sono giunti a Najaf, la loro città santa, dove l' hanno sepolto nel piccolo cimitero di Al-Hindie, meno di 500 metri dalla moschea-mausoleo dedicata all' imam Alí. Piangono per provare la loro forza. «Abbiamo tanti altri martiri pronti al sacrificio. Vogliamo massacrare Saddam Hussein e i suoi assassini», gridano in questo gigantesco rito collettivo che ripete all' infinito il mito fondatore dell' universo sciita: l' idea di essere vittime dell' ingiustizia cosmica, del tradimento, del dolore. Al Hakim, assassinato assieme a oltre cento fedeli mentre usciva dalla preghiera del venerdì, va ad aggiungersi ai padri fondatori della loro fede. Primo fra tutti l' imam Alí, il quarto califfo, pugnalato alle spalle nella guerra di successione dopo la morte di Maometto. E poi suo figlio Hussein, la cui tomba è nella vicina città santa di Karbala, a sua volta tradito e ucciso nel 680 dopo Cristo. In questo modo il funerale di ieri è stato in effetti il rilancio politico degli sciiti in piena armonia con la loro identità religiosa. Prova più evidente sono le centinaia di uomini armati di pistole e Kalashnikov agli angoli delle strade, lungo il centro, sul tetto delle moschee. Appartengono alle «brigate Badr», la milizia voluta dalle massime istanze sciite di cui si vedevano già i primi segni ai tempi delle cerimonie per l' Ashura (la massima ricorrenza religiosa sciita) lo scorso 22 aprile, ma che ora di fronte alla situazione di anarchia montante stanno davvero assumendo i contorni di un piccolo esercito privato. Arrivando da Bagdad, ieri mattina, abbiamo contato almeno 9 posti di blocco, i primi 5 erano tutti controllati dalla nuova polizia irachena, ma gli ultimi 4 erano appannaggio esclusivo degli uomini delle Badr. Verso le undici il corteo arriva dalla vicina città di Kufa avvolto da una gigantesca nuvola di polvere. La bara di Al Hakim viaggia su di un camion scoperto, è avvolta in un grande drappo verde, sul coperchio è appoggiato il turbante nero ritrovato semicarbonizzato sul luogo dell' esplosione. Dalla folla piovono decine di copricapi, le guardie del corpo (iraniani che sono rimasti con lui nei 22 anni di esilio a Teheran) li afferrano al volo, poi sfiorano il feretro e li rilanciano ai loro proprietari. Il lutto è composto, nonostante gli appelli alla violenza, siamo ben lontani dalla disperazione carica di rancore e rabbia che ha dominato le piazze di Najaf venerdì e sabato. «Dove eravate o uomini delle brigate Badr, quando il nostro eroe santo veniva massacrato?», si lamenta un imam dall' altoparlante. A portare il loro cordoglio arrivano una delegazione curda, alcuni membri del Consiglio del governo ad interim, persino Ahmad Chalabi, il nuovo presidente di turno dell' amministrazione provvisoria nazionale nominata dagli americani. Convinzione più comune tra gli sciiti è che gli assassini vadano cercati tra le file del vecchio regime. L' altra sera la troupe della tv araba Al Jazira è stata minacciata di morte qui a Najaf, dopo che aveva diffuso un messaggio audio attribuito a Saddam Hussein, in cui si negava qualsiasi responsabilità nella morte di Al Hakim. Ed è subito tornata a Bagdad. Gli sciiti iracheni non possono dimenticare di essere stati perseguitati per oltre 30 anni dal regime Baath: come dimenticare gli oltre 50 mila loro morti nelle repressioni delle rivolte seguite alla guerra del 1991? Ma c' è anche chi non dimentica aspetti più controversi del leader assassinato. Per esempio, la sua cieca fedeltà all' Iran durante la guerra tra i due Paesi dal 1981 al 1988. E il fatto che per molti anni si recò metodicamente dagli ufficiali iracheni prigionieri in Iran per convincerli a unirsi al suo esercito e combattere l' Iraq. Un elemento che lo ha reso sempre malvisto anche dalle autorità religiose sunnite più moderate, che pure ora vorrebbero stringere un patto di non belligeranza con gli sciiti. Ma c' è poco tempo per il lutto. Ancora non si è concluso il funerale a Najaf, che dopo mezzogiorno una nuova autobomba esplode di fronte all' accademia di polizia a Bagdad. In serata si registravano un morto e 18 feriti iracheni. E' il secondo attentato contro gli agenti del nuovo corpo di polizia creato dagli americani con la speranza che si occupi progressivamente di garantire la sicurezza nel Paese. Per i «Feddayn Saddam» sono pericolosi «collaborazionisti» da eliminare in ogni modo. Non c' è tregua neppure nella catena di imboscate antiamericane. Lunedì sera, sono morti due soldati mentre viaggiavano in convoglio nelle province meridionali. Il governatore americano Paul Bremer (appena tornato d' urgenza a Bagdad) fa buon viso a cattivo gioco. «La forza di polizia irachena è in continua crescita. Ci sono ormai circa 60.000 uomini impegnati nella sicurezza del Paese, speriamo di arrivare a 75.000 poliziotti entro la fine del 2004. Abbiamo anche rimesso in funzione 49 delle 151 prigioni del vecchio regime», ha spiegato ieri durante una conferenza stampa. Da Washington fonti vicine all' amministrazione fanno sapere che il presidente George W. Bush ha messo a punto una bozza di risoluzione per estendere il mandato Onu in Iraq e facilitare la partecipazione di altri Paesi nella forza di stabilizzazione. Nei prossimi giorni il progetto sarà sottoposto al Consiglio di Sicurezza.

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