Da Corriere della Sera del 05/09/2003

Chalabi: «Per le Nazioni Unite un ruolo politico e umanitario»

Il capo del governo provvisorio di Bagdad sostiene che la priorità è restituire la sovranità al suo Paese

«Per le nostre forze di sicurezza mi interessa il modello dei Carabinieri italiani. Stiamo preparando un viaggio a Nassiriya per visitare il campo del loro contingente»

di Lorenzo Cremonesi

BAGDAD - «In verità non ci servono più truppe straniere in Iraq. Che siano americani o un contingente dell'Onu, non importa. Ciò che conta è l' intelligence sul terreno», dice Ahmed Chalabi nel suo ufficio super-protetto da guardie armate nel centro di Bagdad. Ci ha ricevuto, ieri sera, in quella che qui è chiamata la «casa cinese», una grande villa a 2 piani fatta costruire da Saddam Hussein in stile pagoda orientale negli anni Ottanta per ospitare i comandanti del famigerato «Mukabbarat» (il servizio segreto) che si sono succeduti sino allo scoppio della guerra il 20 marzo. Cecchini a ogni finestra, quelle del salone sono state murate. C'è persino un passaggio sotterraneo lungo 300 metri che dalle cantine conduce agli uffici dove lavoravano i fedelissimi del vecchio regime. Ma Chalabi prende ogni precauzione. Quando esce, il suo convoglio di gipponi blindati sfiora sgommando i marciapiedi, procede a zig zag per evitare possibili attentati. Sa bene che c'è un mucchio di gente che vorrebbe fargli la pelle. Da cinque giorni è diventato presidente del governo provvisorio iracheno. Ma soprattutto è un uomo controverso: condannato in absentia a 22 anni di carcere in Giordania per essersi impadronito di 288 milioni di dollari dalla Petra Bank di Amman nel 1989, è leader dell'Iraqi National Congress, il partito fondato tra la diaspora irachena negli Stati Uniti.
Cosa pensa dello scontro tra americani e franco-tedeschi sulla questione dell'invio di nuove truppe internazionali in Iraq sotto l'ombrello dell'Onu?
«In tutto questo dibattito, che è prima di tutto politico tra Stati Uniti ed Europa sui futuri rapporti di forza sul piano internazionale, mi sembra importante sottolineare la necessità che l'Iraq riacquisti al più presto la propria sovranità. Il nostro Consiglio del governo provvisorio ha appena nominato i propri ministri. Un passo avanti importante, siamo tutti concordi che dobbiamo rafforzare il nostro ruolo indipendente».

Ma lei sarebbe favorevole all'arrivo di un contingente Onu?
«La questione è irrilevante. Le truppe Onu in verità non servono e anche la loro eventuale presenza a fianco dei soldati Usa non muterà la situazione in Iraq».

Perché?
«Dal punto di vista militare i contingenti dell'Onu sono inefficienti. I soldati americani in Iraq bastano e avanzano per i compiti relativi alla sicurezza. Non penso che debbano abbandonare, diminuire o condividere con altri il loro ruolo. Dovranno essere le nuove forze di sicurezza irachene a ricoprire presto compiti centrali. Invece il ruolo politico e umanitario dell'Onu sarebbe fondamentale, aiuterebbe il Paese a far crescere le proprie istituzioni e a risolvere i problemi economici».

Ma, dopo l'assassinio dell'ayatollah Mohammed Baqer Al Hakim una settimana fa a Najaf, lei non aveva pubblicamente criticato l'inefficienza americana?
«Sono stato citato male dai media. Io avevo detto che gli americani sono responsabili della sicurezza su tutto il Paese. Ma avevo anche aggiunto che in passato a Najaf i marines avevano offerto di pattugliare i luoghi santi sciiti e però era stato risposto dalle autorità religiose locali che ne avrebbero fatto volentieri a meno».

E ora pensa che cambierà?
«Occorre tornare a consultare i leader sciiti in loco. Forse adesso ci sarà meno opposizione alla presenza americana a Najaf. Però resto convinto che ciò non risolverà il problema attentati. Ne parlavo oggi con l'ayatollah Mohammad Rozek Alì Sestanti (uno dei massimi dirigenti religiosi a Najaf, ndr.) e anche lui concorda sul fatto che si deve rafforzare il sistema di intelligence. Non servono più soldati per le strade, bensì informatori efficienti tra i gruppi del terrorismo».

A quando le elezioni in Iraq?
«Entro un anno, forse 9 mesi. Prima si devono preparare le liste degli elettori e, soprattutto, stilare la Costituzione».

Che modello di Costituzione preferisce?
«Forse quello tedesco. E' fondato su di un sistema federale, che però mantiene un rilevante potere centrale».

E il modello per le forze di sicurezza?
«Mi interessa quello dei Carabinieri italiani. Stiamo preparando un viaggio a Nassiriya per visitare il campo del loro contingente in Iraq».

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