Da Corriere della Sera del 01/09/2003

Decine di migliaia in processione per commemorare Al Hakim

La lunga marcia sciita

Tre giorni di corteo funebre da Bagdad a Najaf

di Lorenzo Cremonesi

BAGDAD - L'Iraq sciita è in lutto. Scendono in piazza le moltitudini per iniziare il funerale dell’ayatollah Al Hakim, che percorrerà in tre giorni i 175 chilometri tra la capitale e la città santa di Najaf. Funerale simbolico, volto a rassicurare gli sciiti, comunità maggioritaria (il 65 per cento dei 26 milioni di iracheni), che però si sente perseguitata dalla minoranza sunnita. Funerale con una bara praticamente vuota: gli stessi medici di Najaf ammettono che l'esplosione nell'attentato di venerdì è stata talmente potente che il corpo di Al Hakim si è disintegrato. «Abbiamo trovato la mano sinistra e poco altro», ci diceva l'altro ieri il direttore dell’ospedale principale. E funerale delle speranze americane di normalizzare velocemente l'Iraq del dopoguerra: a quasi cinque mesi dall'arrivo dei marines a Bagdad gli antichi conflitti tribali e religiosi sono in crescita, le milizie locali prendono il posto dell'esercito nazionale e la strategia della destabilizzazione appare vincente.

Ecco cosa rappresenta questo gigantesco corteo di gente che grida, prega, piange e chiede vendetta: il ritorno al conflitto più grave che da sempre lacera questa terra di confine tra il mondo arabo e quello persiano, lo spettro della guerra fratricida tra sciiti e sunniti. Lo noti subito quando parli con i leader religiosi e la gente per la strada. «Noi siamo un popolo solo. Siamo per l'unità», si affrettano a dire, quasi più per rassicurare se stessi che l'interlocutore. Poi però se la prendono con i wahabiti, cioè la setta di fanatici che dal Diciottesimo secolo esalta il purismo sunnita. E ultimamente è identificata con l'Arabia Saudita. Oppure con i fedayn di Saddam: ovvero le milizie di fedelissimi all'ex dittatura. O, ancora, con Osama Bin Laden e Al Qaeda. «Sono le forze del male, terroristi che vogliono massacrare gli sciiti», spiega per esempio un giovane imam incontrato nella moschea Husseniah Al-Ansar, nel mezzo di Sadr City (prima si chiamava Saddam City), che è il quartiere sciita più popoloso della capitale.

Ieri mattina si sono ritrovati in oltre 30.000 dietro la bara sovrastata da un grande ritratto dell'ayatollah assassinato contornato di rose rosse e bianche. Ancora non è stato reso noto il bilancio ufficiale delle vittime dell'attentato, gli ultimi bollettini parlano di 125 morti e oltre 400 feriti. E rimangono confusi i dettagli degli arresti effettuati dalla polizia locale. Dopo gli annunci trionfanti due giorni fa, quando si diceva che era stata fermata la cellula terroristica composta anche da sauditi e pachistani, ieri l'inchiesta sembrava in alto mare. Di certo si sa solo che nelle prossime ore inizierà a investigare anche un'unità del Fbi. «Vendetta, Saddam te la faremo pagare», gridano di fronte alla Kademieh, la più importante moschea sciita nel cuore della capitale. «Oh santo Hakim, benvenuto in paradiso a fianco di Hussein», ripetono riferendosi all’imam fondatore della religione sciita assassinato nel 680 dopo Cristo sulla piana tra Karbala e Najaf. Il loro numero andrà aumentando con lo svolgersi del corteo, molti andranno a piedi percuotendosi il capo in segno di penitenza, e si prevede che saranno oltre 300.000 quando martedì arriveranno al cimitero di Najaf.

Ma ciò che colpisce di più è il folto gruppo di uomini armati che segue il feretro. Non c'è ombra di militari americani o forze della coalizione. Il Paese si arma. Nell'insicurezza generale nascono le milizie. Il consiglio supremo sciita di Najaf ha già creato una forza di 400 agenti, che d'ora in poi pattuglieranno i luoghi santi. A Bagdad anche il maggior tempio sunnita, la moschea Abu Hanifah, ha transennato il marciapiede di fronte all'entrata contro lo spauracchio delle auto-bomba e appostato sentinelle con il Kalashnikov.

Tali avvenimenti eccezionali mettono in ombra i bollettini della violenza, che comunque restano parte integrante della vita quotidiana in Iraq.

Ieri nel primo pomeriggio un convoglio americano è stato attaccato a colpi di bazooka nella zona di Tikrit. I portavoce Usa segnalano il ferimento di due tra i loro soldati e l'uccisione di almeno 6 guerriglieri iracheni. E le emittenti arabe dedicano particolare attenzione alle notizie provenienti da Mosul, nell'Iraq settentrionale, dove unità speciali americane, «con la copertura di tank ed elicotteri» stanno rastrellando il quartiere di Al-Arabi. «Non è escluso sia stato individuato il covo di Saddam Hussein», riporta il canale arabo della Bbc . Proprio a Mosul il 22 luglio erano stati scoperti e uccisi i due figli del raís, Uday e Qusay.

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