Da Wired News del 22/10/2002
Originale su http://www.wired.com/news/medtech/0,1286,55921,00.html

Come va la chemio? Vediamolo allo scanner…

di Mark Baard

I MEDICI CHE utilizzeranno i nuovi macchinari per la risonanza magnetica saranno in grado, d'ora in poi, di prevedere i risultati di un'eventuale chemioterapia, prima di prescrivere ai propri pazienti malati di cancro una terapia così aggressiva. È questo il caso della specialista israeliana Yael Mardor, che sta attualmente usando una tecnica denominata risonanza magnetica pesata in diffusione (Dwmri) per calcolare la mobilità e velocità delle molecole d'acqua nelle cellule cancerose. In più, il personale medico elabora immagini diagnostiche degli organi interni dei malati con tecniche standard, senza radiazioni ionizzanti. La Mardor ha spiegato nel corso di un recente convegno medico (http://www.esmo.org/congress/congress.htm) che si è tenuto in Francia, a Nizza, che dalla mobilità, o diffusione, delle molecole d'acqua nelle cellule tumorali dipende la risposta, positiva o meno, dell'organismo alla chemioterapia. I medici già usavano la Dwmri (http://www.peoria-radiology.com/ptinfo/diffusion_m...) per diagnosticare le ischemie: ora la Mardor sfrutta la stessa metodica per misurare l'efficacia di eventuali terapie contro il cancro nei primi stadi del trattamento. «Stiamo cominciando a ottenere i primi riscontri», ha aggiunto la dottoressa. «La Dwmri è in grado di predire quel che sarà della patologia prima ancora di iniziarne la cura».

In un recente esperimento effettuato presso il Chaim Sheba Medical Center (http://www.sheba.co.il), la Mardor è riuscita a realizzare le immagini diagnostiche, a distanza di cinquanta o cento millisecondi l'una dall'altra, degli spostamenti delle molecole d'acqua all'interno delle cellule cancerose di alcuni topi, calcolandone così la diffusione e il volume, importanti indicatori della reattività alla chemioterapia. «Le cellule cancerose ancora vitali, che tendenzialmente presentano dei volumi maggiori, rispondono alla chemio meglio di quelle ormai in necrosi (che stanno morendo o addirittura già morte)», spiega. Con l'ausilio delle Dwmri, secondo la studiosa israeliana, i medici potrebbero riuscire a formulare programmi terapeutici individualizzati. Immagini successive, realizzate a pochi giorni dall'inizio del trattamento, potrebbero dire se le cure stanno funzionando secondo le aspettative. «Prima riusciamo a capire se una terapia non sta andando per il verso giusto, meglio è», osserva la Mardor. «Preferiamo tentare approcci diversi, piuttosto che uccidere i pazienti con la chemioterapia». Comunque, prima che la tecnica possa essere introdotta nelle comuni strutture sanitarie, bisognerà considerarne il risvolto negativo più importante: la sua estrema sensibilità al più impercettibile movimento interno dell'organismo.

«La Dwmri riesce a captare la maggior parte degli spostamenti che avvengono all'interno di un oggetto», spiega Arthur Gmitro (http://www.optics.arizona.edu/gmitro/default.asp), docente di radiologia e scienze ottiche all'Università dell'Arizona. Quindi è praticamente impossibile esaminare con questa tecnica il cuore, i polmoni, il fegato e l'intestino. Perdipiù, secondo Gmitro, anche tumori circoscritti e diversificati potrebbero risultare difficili da analizzare approfonditamente con una metodologia che misura la diffusione dell'acqua. «I tumori spesso sono composti di diverse parti, e comprendono sia tessuto vitale che in via di necrosi», aggiunge. «Ma credo che attraverso una Dwmri sia difficile distinguere tra i due». Molti scienziati però, tra cui i ricercatori dell'Università dell'Arizona, stanno lavorando a un nuovo software in grado di aumentare la risoluzione dei macchinari, abbastanza da poter misurare la diffusione dell'acqua senza tenere conto dei movimenti organici interni. La Mardor, per adesso, utilizza un programma dell'Harvard University per migliorare le immagini ottenute. Attualmente, comunque, le sue ricerche si concentrano sul cervello, che è un organo abbastanza statico. Al convegno di Nizza la ricercatrice ha presentato una relazione relativa solo ai suoi studi recenti sulle cavie di laboratorio, ma entro la prossima primavera ha intenzione di presentare i risultati dei test sugli umani. «Quello da me ideato non è ancora uno strumento clinico», spiega, «ma la prassi ospedaliera è l'obiettivo che ci prefiggiamo».
Annotazioni − Articolo in italiano edito su Boiler: http://www.enel.it//magazine//boiler//arretrati/112focus1.shtml

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