Da La Repubblica del 25/07/2003

Saddam chiede vendetta uccisi tre marines a Mosul

I feddayn: “Pagherete per Uday e Qusay.”

di Attilio Bolzoni

MOSUL — Nei territori che si estendono a nord dell’Iraq è cominciata la grande caccia del raìs. E le prede sono i marines, i marines che hanno ucciso i suoi figli. Sulle rive del Tigri che lontano da Bagdad scende tra i gorghi e bagna piccole isole verdi, Saddam ha sguinzagliato i suoi sicari e li ha scatenati contro i soldati della 101° Divisione Aviotrasportata, quelli che l’altro giorno avevano cinto d’assedio il covo di Mosul dove erano nascosti Uday e Qusay. La vendetta si è abbattuta proprio su di loro, sugli americani del Reggimento “colpevole” di avere stanato e fatto fuori i due terribili fratelli, una rappresaglia “all’irachena”, granate Rpg lanciate contro un convoglio che avanzava lentamente sulla strada che attraversa i boschi di eucaliptus della provincia di Ninive.

Agguato alle porte del villaggio di Gayyarah, erano pressappoco le due di notte, esplosioni, spari di kalashnikov, blindati in fiamme, tre i marines morti. Riferiscono testimoni che qualcuno nell’assalto contro i soldati gridava: «Vi faremo rimpiangere quanto avete fatto a Uday e a Qusay».

Come in un regolamento di conti, a quattrocento chilometri più su di Bagdad i commando dei fedelissimi del dittatore fanno imboscate contro gli «assassini» che hanno bombardato la villa dello sceicco diventata rifugio dei figli di Saddam. E’la prima ritorsione in un angolo di lraq dove fino a stanotte – se si esclude un altro soldato della 101° Divisione ammazzato alla periferia di Mosul a poche ore dal clamoroso blitz – non era mai accaduto nulla. Nemmeno un incidente. Mai un ferito neanche per sbaglio. Gli osservatori delle vicende irachene raccontano che l’assalto di Gayyarah è solo l’inizio di una guerra nella guerra.

Dal suo nascondiglio il raìs avrebbe ordinato massacri nella regione rimasta fino ad ora fuori dai combattimenti, una sorta di zona franca, area “protetta” forse proprio per quei latitanti eccellenti che vi avevano trovato riparo. E’ la guerriglia che adesso si estende dal “triangolo sunnita” di Balad-Ramadi-Tikrit verso nord e poi giù ancora verso Bagdad che in queste settimane è una polveriera. Un morto americano al giorno, un attentato ogni dodici ore. Anche ieri un fuoristrada blindato è saltato in aria proprio lungo una delle vie più centrali della capitale, non si sa nulla dei militari che c’erano sopra, gli americani come al solito hanno «sigillato» il quartiere con il filo spinato e non hanno fatto avvicinare nessuno. Poco dopo, due iracheni che non si erano fermati a un checkpoint sono stati colpiti a morte, la loro auto è bruciata in una manciata di secondi. Lì intorno i soldati stavano perquisendo la moschea di Al Gilani, voci raccontano che i due iracheni fossero dell’ex milizia paramilitare di Saddam.

Sono dappertutto i feddayn del rais. Sono nella Bagdad occupata a ogni incrocio dagli americani e sono nelle sterminate piantagioni di palme tra il Tigri e l’Eufrate. Si mostrano anche sulle tv arabe, il volto coperto, un messaggio minaccioso da diffondere ogni sera nelle case degli iracheni. Uno di loro, anche ieri, ha parlato dall’emittente Al Arabiya di Dubai: «Promettiamo che continueremo la guerra santa contro gli infedeli, l’uccisione di Udaye Qusay sarà vendicata». Giurano vendetta. Contro gli americani. E anche contro i «collaborazionisti», gli iracheni che non si ribellano agli invasori.

Dietro ogni parola di quei «combattenti» c’è lui, c’è l’imprendibile dittatore che tutti cercano e nessuno trova. Si fa sentire con messaggi audio che invitano alla resistenza (anche l’ultimo appello è autentico, dice la Cia), ma non si fa trovare. Sono passati quasi quattro mesi ormai dalla fine della guerra ma il raìs non ha lasciato una sola traccia. E’ in Iraq, dicono tutti, nelle zone sopra Bagdad, la sua roccaforte, i luoghi dove può contare ancora sui fedelissimi e sfuggire agli americani. Trenta giorni fa lo segnalavano intorno a Tikrit, che è la sua città. Venti giorni fa immaginavano che fosse a Failuja, il villaggio simbolo della “resistenza” irachena. Dieci giorni fa qualcuno sosteneva che fosse a Dhuluiya, novanta chilometri da Bagdad e a una dozzina dagli orti di Balad. E l’altro ieri qui a Mosul erano convinti che fosse proprio da queste parti, vicino o addirittura vicinissimo a Uday e a Qusay in quella villa dello sceicco sulla strada che porta verso le montagne del Kurdistan. Ci raccontava un vecchio di Tikrit il 17 luglio, giorno del trentacinquesimo anniversario del colpo distato del partito Baath: «Saddam è dappertutto perché ogni iracheno in questo momento rappresenta lui».

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