Da La Repubblica del 27/07/2003

Tra gli uomini schierati dagli Usa in Iraq uno su cinque è al soldo di compagnie private

I nuovi mercenari del Pentagono, un business da 100 miliardi

di Alix Van Buren

IN IRAQ un soldato su cinque è un mercenario, dipendente delle grandi compagnie private della guerra. Secondo la stima di Peter Singer, esperto della Brookings Institution, al fianco dei 150mila soldati Usa nel deserto iracheno vi sono circa 30mila uomini delle Mpc, le military private companies. Il corporate warrior, il mercenario senza faccia e senza nome, al soldo delle multinazionali della guerra è diventato il Big Business, un Grande Affare, che vale circa 100 miliardi di dollari l’anno sul mercato globale.

Il lungo braccio del Pentagono è un esercito mercenario – al soldo del governo – gestito dai colossi della tecnologia, dell’informazione, dei servizi, spesso quotati in Borsa e accolti nella lista compilata da Fortune delle 500 imprese più ricche d’America. Come la Saic (Science Applications International Corporation) e la Halliburton (spesso citata per via dei legami con il vicepresidente Dick Cheney, ex amministratore delegato della società), cui si affiancano imprese più modeste dai nomi più o meno noti – DynCorp, Vinneil, Mpri, Cubic, Ici – insediate in uffici anonimi nelle periferie della Virginia, a due passi dal Pentagono.

Guidate da veterani delle forze armate – generali a quattro stelle, forze d’élite o semplici soldati – le Pmc, le Private Military Companies offrono i propri servigi in cambio di lauti contratti. Forniscono consulenze strategiche, ma anche battaglioni d’assalto. Curano la manutenzione delle armi di punta delle forze armate Usa – dal bombardiere invisibile B-2 al Global Hawk – ma anche il vitto dei soldati fino al ricambio della biancheria. Combattono là dove Washington non può, o non vuole, impegnare i propri eserciti, e senza far notizia: «Le compagnie private assunte dal Pentagono non sono soggette allo scrutinio del Congresso», riassume un veterano delle forze speciali, che vuole rimanere anonimo. Se un uomo delle Pmc muore, o viene fatto prigioniero, la vicenda è affare della cronaca locale. Privi di uniforme ufficiale, i corpi paramilitari non sono riconoscibili all’occhio inesperto. Liberi, allo stesso modo, da ogni codice di disciplina militare, le loro azioni sono sottoposte soltanto al giudizio della legge del mercato.

Come accadde in Croazia dove gli “esperti” della DynCorp addestrarono – aggirando l’embargo imposto dalle Nazioni Unite – le milizie di Zagabria. Le stesse che poi si sarebbero macchiate di crimini contro l’umanità.

I nuovi “uomini d’armi” vorrebbero disfarsi della qualifica di mercenari, ma come i “mastini della guerra” – che prosperavano sulla disfatta degli imperi coloniali – sono affiorati anche essi dai resti di un impero, dalle ceneri della Guerra Fredda, da quell’enorme serbatoio di soldati e ufficiali espulsi da un apparato bellico sfinito, che ha riversato sul mercato sei milioni di disoccupati.

Come un tempo l’arruolamento avviene attraverso gli annunci pubblicati dalle compagnie militari. Una volta i bandi comparivano sul Figaro, o sulla stampa specializzata. Oggi si leggono su internet. Ad esempio sul sito della DynCorp, dove il bando di reclutamento arruola «uomini d’esperienza» necessari per «reimporre l’ordine nell’Iraq del dopoguerra». L’annuncio esordisce con queste parole: «Nel nome del Dipartimento di Stato americano...».

Le compagnie private sono diventate tanto importanti da entrare nel mirino di Al Qaeda. Come è accaduto alla società che in questi giorni si è aggiudicata l’appalto per la formazione del nuovo esercito iracheno, la Vinnel Corp. Era lei l’obiettivo dell’attentato dello scorso 12 maggio a Riad: due quintali di esplosivo al plastico in un elegante quartiere della metropoli saudita. Si disse che Al Qaeda aveva colpito alla cieca, un compound di stranieri. Invece l’attentato di Riad nascondeva una logica brutale, agghiacciante, chiara. Colpire i soldati invisibili di un nuovo esercito, che si espande nel mondo.

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