Da Corriere della Sera del 21/08/2003

Nel triangolo dei feddayn di Saddam

Nel triangolo degli irriducibili dove i feddayn aspettano Saddam

Gli americani: è gente abile con le armi, capace di dileguarsi nei villaggi. La patria dei fedelissimi comincia nel deserto. Da qui sono partiti i commandos che hanno fatto brillare il quartier generale dell' Onu, l' ambasciata giordana, l' oleodotto verso la città turca di Ceyhan e l' acquedotto della capitale. Qui anche gli adolescenti sanno usare i lanciarazzi

di Gianni Riotta

TIKRIT (Iraq) - «Il sole sorge radioso, l' Iraq si leva laborioso, onore a Saddam Hussein, della Palestina difensore, dell' America vincitore », Fatima, 6 anni, sguardo furbo e gonnellina corta, recita la cantilena in onore dell' ex dittatore iracheno.Fatima recita davanti al padre e alla madre orgogliosi, allo zio che applaude, ai tre fratellini ammirati. Lo stesso Saddam sorride compiaciuto, dal calendario 2002 che lo raffigura davanti alla nazionale di calcio. Fatima andrà in prima a ottobre e non le chiederanno più le strofe. Ma Tikrit è patria di Saddam, nato nel villaggio dietro l' angolo, al Oja. «Per noi è il presidente. Se venisse in casa mia lo accoglierei e difenderei dagli americani. Se mi chiamasse alle armi combatterei per lui. Se un feddayn vuol nascondersi qui avrà ospitalità» dice papà Omar Hassan, sicuro che «il raìs è vicino». Tikrit è il vertice nord del triangolo della guerriglia, chiuso a ovest dalla città ribelle di Falluja e a est da Bagdad. Dal triangolo sono partiti i commandos che hanno fatto brillare il quartier generale dell' Onu, l' ambasciata giordana, l' oleodotto verso la città turca di Ceyhan e l' acquedotto della capitale. Per capire forza militare, ragione politica e strategia finale della guerriglia contro gli angloamericani occorre sedersi a bere tè zuccherato, mangiare gallette dolci e ascoltare Omar, sua moglie Sajida e suo fratello Alì.

«Io facevo le pulizie nel palazzo presidenziale di Saddam, che ora è diventato il comando americano. Sei Baath mi hanno detto, licenziata. Mio marito era un doganiere, adesso ha un posticino in ospedale che gli ha trovato mio cognato con una raccomandazione. Noi speriamo che Saddam ritorni, lo straniero americano se ne deve andare. Lo sa che una volta un vecchietto andava a prendere la sua razione di cibo con la tessera annonaria. Passa Saddam in auto. Dove va presidente? chiede il vecchio. A prendere anche io le razioni con la tessera. Almeno lei ha la macchina. E' giusto, dice Saddam, e gli regala l' auto. Noi lo aspettiamo, ritornerà». Il palazzo presidenziale che Sajida lucidava è difeso dal fante Portillo, della IV Divisione: «Mai stato dentro? Ci vada, si sentirà Indiana Jones». Vero: un' area di 40 chilometri quadrati, padiglioni di marmo di Carrara, atri splendenti, l' ansa dolce del Tigri che lambisce la riva con un isolotto, un giardino confinante di palme e agrumi. Portillo non si volta neppure: «Qui sorgeva la scuola dei feddayn, addestrati al sabotaggio e all' insurrezione. Vede quell' edificio desolato? Da lì ogni notte ci tirano addosso, colpi di mortaio, razzi, pallottole. Quattro volte l' artiglieria ha centrato il campo, senza vittime per fortuna. Noi spariamo, ma il buio è pesto e quando arriviamo, nessuno». Un nemico fantasma anche per gli analisti dell' esercito. Il maggiore Josslyn Aberle prova a disegnare l' ordine di battaglia avversario: «Ci sono gli ex Baath arrabbiati. Molti addestrati alle armi, parecchi esperti di esplosivo. Ci sono feddayn, gente abile con le armi leggere e capace di dileguarsi nei villaggi, dove almeno un capofamiglia su dieci tiene il ritratto di Saddam al posto d' onore. Ci sono fondamentalisti islamici, chi dice al Qaeda, chi Ansar al Islam». Un nome è segnato in rosso nei dossier del comando, giù a Bagdad, dove il governatore Paul Bremer e il generale Ricardo Sanchez provano la controffensiva, militare e psicologica, dopo la strage all' Onu: Muhammad Khtair al Dulaimi. Era il direttore delle operazioni speciali del regime, bombe, rapimenti, sabotaggi. Non l' hanno catturato, è da queste parti con milioni di dollari in contanti, documenti falsi, una rete di contatti, la base dei fedelissimi come Omar ed Alì, nel triangolo sunnita Tikrit, Falluja, Bagdad. La patria degli irriducibili comincia nel deserto, dove i campi di lava al confine con la Giordania lasciano luogo prima a sterminate lande coperte da sacchetti di plastica, che volano come pipistrelli dell' inquinamento, e quindi, a sorpresa alle palme e ai pozzi d' acqua di Falluja. L' avvocato al Juwaili spiega: «Il 28 aprile, giorno del compleanno di Saddam, la gente è scesa in piazza a Falluja per chiedere il ritiro dei soldati della 82esima aerotrasportata. C' è stato un confronto duro, poi gli americani hanno aperto il fuoco uccidendo 17 cittadini e ferendone 70. Da allora Falluja è la capitale morale della «resistenza». Lei viene da Tikrit, ha visto che musi lunghi eh? Gente abituata ai privilegi, per essere nata nella città di Saddam. A Tikrit si combatte una battaglia di retroguardia, a Falluja sono fieri, si credono l' avanguardia del nuovo Iraq che umilierà gli Usa».

Il comando di Sanchez ha ordinato, per prudenza, alle truppe di ripiegare fuori dal centro abitato e sta trattando con i capi tribù «il prezzo del sangue». Nell' antico codice iracheno un delitto si può estinguere, senza che inneschi una faida, se i parenti delle vittime accettano le scuse e un dono in danaro da parte degli aggressori, «il prezzo del sangue». Falluja è la rivolta di popolo, Tikrit l' ultima battaglia del regime. A Falluja usano i lanciarazzi anche gli adolescenti, a Tikrit ex militari. Ovunque vengono avvistati e da nessuno vengono individuati, invece, i trecento combattenti di Ansar al Islam, i partigiani dell' Islam. Durante la guerra il loro accampamento, al confine con la zona curda, era stato bombardato dall' aviazione e i superstiti avevano cercato rifugio in Iran. Poi, mentre il presidente George W. Bush annunciava in tv la fine delle ostilità, hanno riguadagnato alla spicciolata le posizioni, anche grazie a un sito Internet segreto di al Qaeda che elenca ogni giorno le direzioni più sicure e che l' intelligence americana ricerca invano. Almeno in 150 ce l' hanno fatta, secondo Ahmed Majed, capo della sicurezza curda. A Sulaimaniya, uno dei centri più tranquilli in Iraq, è stato organizzato la scorsa settimana uno dei primi concerti, musica classica europea ed araba, per l' Orchestra sinfonica di Bagdad. Felice festival di pace, se nelle stesse ore Ansar al Islam non avesse infiltrato una cellula anche a Sulaimaniya. Dalla Norvegia, il leader del gruppo, mullah Mustapha Kreikar, predica alla rete televisiva libanese Lbc, popolarissima a Bagdad: «Fedeli, non c' è differenza tra l' invasione dei russi in Afghanistan e quella degli americani in Iraq. Devono fare la stessa fine». I musulmani iracheni sono divisi tra i sunniti, minoranza ligia al capo Saddam Hussein, e la maggioranza degli sciiti, a lungo perseguitati dal regime perché sospetti di simpatia per l' Iran. La divisione affonda le radici nella storia dell' Islam, ma è anche di classe, di ceto: Saddam City, il quartiere popolare degli sciiti a Bagdad, un mercato di poveri ortaggi e baracchette dove i fedeli ascoltano prediche al computer, è chiamata con disprezzo dai sunniti «Hong Kong». Tra le due confessioni c' è astio, coltivato ad arte dagli inglesi e dal Baath: i sunniti si collegano ogni sera alla rete al Jazeera, adorandone le denunce contro l' occupazione militare. Tra gli sciiti al Jazira è insultata come «TeleSaddam». Finché i ribelli islamici saranno ridotti ai commandos di Ansar al Islam, potranno compiere azioni clamorose ma non accendere un vero fuoco di guerriglia. Diversa la partita se gli sciiti, il 60% del Paese, cominceranno ad odiare gli angloamericani. Non solo i musulmani son divisi, ma gli stessi sciiti contano fedeli secolari e arrabbiati, pronti a collaborare con gli Usa e pronti alla rivolta. L' ayatollah al Sistani, uno dei più autorevoli, sembra indicare la linea né aderire né sabotare, implicando che le fatwa, gli editti religiosi, devono concentrarsi su questioni di fede e non di amministrazione politica. Così anche il prestigioso ayatollah Muahammad Baqir al Hakim: per anni sembrava evocare un governo islamico anche in Iraq, sul modello di Ruollah Khomeini a Teheran. Poi però, studiato l' esempio del libanese Muhammad Hussein Fadlallah, ha preferito accettare un governo con partiti religiosi e laici. L' armonia è combattuta dal giovane ayatollah Muqtada al Sadr. Nessuno ne conosce l' età, 22 anni o 30? Suo padre fu assassinato da Saddam e il volto dei due Sadr, papà e figliolo, adorna i muri di ogni catapecchia di «Hong Kong», pomposamente chiamata ora «Sadr City». Muqtada non accetta l' occupazione, l' ha detto e lo ripete. E investe con i suoi discorsi polemici i vecchi ayatollah, in nome della linea dura. Poiché al Sistani non ha accettato lo scontro con gli Usa, Muqtada al Sadr l' ha fatto circondare da cinquanta dei suoi militanti, prendendolo in ostaggio. Solo l' intervento dei capi tribù ha messo freno all' ambizione del ribelle. L' uomo che ogni sera elogia, in toni epici, la resistenza antiamericana a milioni di arabi è l' analista di Al Jazira, Yasser abu Hilala. Occhiali da intellettuale, un ufficio nascosto al piano nobile dell' hotel «Lago dei cigni», Yasser non ha dubbi: «E' vero che la resistenza è divisa. La rabbia però si condenserà contro gli occupanti, ognuno userà il suo risentimento, poveri contadini, professori, imam, sunniti e sciiti. La repressione Usa non saprà mai incutere timore come lo spettro del ritorno di Saddam. Sta per scattare una trappola grande come l' Iraq e gli alleati resteranno presi dentro. Già oggi non possono muoversi all' interno del triangolo. Sono prigionieri». «La solita Al Jazira - e la maggiore Josslyn Aberle alza gli occhi all' immenso lampadario in cristallo di Murano che adorna il palazzo di Saddam, ora sede del comando alleato a Tikrit - semmai è vero il contrario, la divisione degli avversari persuaderà la popolazione a collaborare con noi». Chi ha ragione? Con pazienza straordinaria, il Centro di Studi Strategici di Sadoun al Durame ha condotto un sondaggio tra gli iracheni, interrogandoli sulla «guerra a bassa intensità». Il 32% crede che la lotta armata abbia dietro partigiani di Saddam Hussein, come nella casa di Omar a Tikrit. Il 24% ritiene invece che sia animata nel popolo dalle stragi e dalle umiliazioni seguite alla guerra: modello Falluja dunque. Il 24% crede che l' obiettivo sia il ritiro immediato delle truppe Usa e solo il 10% crede alla legione straniera islamica. «al Qaeda in Iraq è una vecchia leggenda urbana dei media» taglia corto Yasser, ma la maggiore Aberle replica: «Abbiamo catturato un commando di Ansar al Islam: 5 iracheni, 2 palestinesi, un tunisino». A Bagdad, nel suo soggiorno con il pavimento sconnesso, lo studioso Nasir Tabit ascolta gli ultimi rapporti da Tikrit e Falluja, e scuote la testa: «Per noi occupazione è uno stigma di vergogna, fin dai banchi di scuola. L' altra sera ho visto il film "Malena" di Giuseppe Tornatore,a proposito che donna la Bellucci! Non ho capito perché voi italiani detestavate i tedeschi e poi avete applaudito i carri armati americani: io mi sarei vergognato dell' uno come dell' altro dominio straniero. Noi iracheni siamo pazienti, la prima rivolta contro gli inglesi è scoppiata dopo due anni e li abbiamo cacciati dopo quaranta. Sarebbe bene che gli americani se lo ricordassero». A ricordarlo ci pensano i morti, ogni giorno una vittima, e l' isolamento sul territorio. Il soldato Theodore, della IV Divisione, aguzza la mira dietro i sacchi di sabbia e bofonchia: «Se potessi direi scusi signor presidente Bush, mi dimetto e vado a casa». Dentro il fortilizio che fu di Saddam a Tikrit, la maggiore Aberle guida i suoi uomini da una Little America, aria condizionata, vietato fumare, sulle garitte il cartello: «E' obbligatorio usare in ogni azione il minimo di forza necessaria, nessuna se possibile» e perfino alle latrine si ammonisce «gli insulti contro omosessuali e donne saranno puniti come molestie sessuali». La guerra politicamente corretta. Fuori però, basta entrare nel giardino dove Saddam andava a passeggiare, tra le ville saccheggiate dei suoi figli, per incontrare la «resistenza». Nessun militare si azzarda, il visitatore straniero non fa in tempo ad arrivare ai palmizi brillanti, che spunta dal nulla un camioncino con tre giovani, «Via da qui, non si entra». E se continuate imperterriti, fischiano sull' asfalto rovente i copertoni di una vettura bianca, con tre uomini a bordo, armati, che chiudono la strada. Sarà Omar, il gentilissimo paladino di Saddam, a spiegare: «I ragazzi del camioncino sono feddayn, quelli dell' auto ex Baath. Non vogliono intrusi nel bosco».

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