Da L'Osservatore Romano del 18/01/2003
Il discorso di Giovanni Paolo II al Corpo Diplomatico
La vera questione: non lasciare solo il mondo che soffre per le guerre
di Marco Impagliazzo
Il Papa è rimasto solo a parlare di pace? Severe critiche e affrettate solidarietà si fanno attorno al più recente messaggio di Giovanni Paolo II sulla pace nel mondo. Forse è necessario fare chiarezza su quello che il Papa ha ultimamente detto a proposito degli equilibri mondiali. Bisogna prendere in mano il suo testo meditato per la Giornata della Pace, che rilancia la Pacem in terris, e si deve riguardare con attenzione il discorso al Corpo Diplomatico, ampiamente commentato sul nostro giornale. Ci troviamo di fronte a una posizione che non si riassume in un grido isolato, un no o un sì, ma innanzi a un pensiero estremamente articolato, quanto mai opportuno in un momento in cui la comunità internazionale ha perduto i suoi punti di riferimento ideali e si muove tra impressionanti fluttuazioni. C'è, infatti, tutto un pensiero e un costume internazionale da ricostruire, se non vogliamo che il mondo del XXI secolo cada nella logica del più forte, del più arrogante o del più folle. E le parole del Papa offrono indicazioni e orientamenti proprio nel senso di una rifondazione delle relazioni tra i popoli.
La Chiesa ha sempre parlato di pace nel XX secolo. Lo ha fatto anche quando era costoso e impopolare, perché ha sentito che questa era la sua missione. Forse mai nella storia cristiana il magistero di pace è suonato così limpido e forte. Anzi all'inizio del Novecento il parlare di pace da parte di Benedetto XV risultò scandaloso, tanto che quel Papa visse un momento di grande isolamento dopo la Nota del 1917 sulla "inutile strage". Grazie a Dio oggi il Papa non è solo, quando parla di pace anche se non tutti sono d'accordo con lui! Gli sono intorno non solo i cattolici, ma tanti cristiani di altre confessioni assieme a molti uomini e donne di buona volontà. La Pacem in terris, nel 1963, sbocciò proprio nel cuore di Giovanni XXIII, quando sentì che i popoli e gli uomini cominciavano a prestare ascolto alla voce del Papa quando parlava di pace. E si deve dire che le parole del Papa hanno risuonato coerenti e costanti sui grandi temi della pace e della guerra.
Dalla tribuna dell'ONU alle singole situazioni nazionali, i rappresentanti della Santa Sede (i Vescovi e i cristiani tutti) si sono fatti carico del messaggio di pace della Chiesa. Si può dire che non ci sia stata situazione di conflitto in cui la Chiesa abbia taciuto a partire dai dimenticati paesi africani sino a Timor Est, paese lontano e sperduto, negli anni in cui nessuno avrebbe scommesso su di un futuro libero di quel paese. Purtroppo spesso la grande stampa non ha fatto eco alle posizioni di Giovanni Paolo II sui tanti paesi in guerra, perché si trattava di terre di scarso interesse mediatico; mentre ha messo in luce solo alcuni suoi pronunciamenti rispetto a paesi più "interessanti". Non è la Chiesa che non ha parlato; forse è stata una parte dell'opinione pubblica che non ha recepito o che non ha avuto modo di sentire.
Oggi non è il momento di contare chi è pro o contro il messaggio di Giovanni Paolo II. Non è il momento di sofismi interpretativi, mediazioni attenuanti, adattamenti alla propria parte politica, consensi di maniera... Il problema non è prima di tutto non lasciare solo il Papa, con cui sono tanti. La vera questione - e l'ha più volte indicata Giovanni Paolo II - è non lasciare solo il mondo che soffre, travolto dalle guerre, da quelle dimenticate e da quelle più dibattute. Sì, la questione è proprio non lasciare solo il mondo che soffre per le guerre! Questo oggi è il grande compito: "Ma tutto può cambiare. Dipende da ciascuno di noi" - ha detto il Papa con un invito alle responsabilità dei singoli, dei politici e degli Stati. Il suo articolato pensiero sulla pace e sull'organizzazione della comunità internazionale offre ragioni e motivi di impegno. Qui bisogna cimentarsi con decisione, facendo avanzare questo pensiero, dibattendolo, provando a realizzarlo. C'è bisogno di portare avanti questi temi, di sviluppare il ragionamento sulla pace, di concretizzarlo in un impegno deciso. Si apre allora un grande campo per chi ama la pace ed è interessato alle parole di Giovanni Paolo II.
Il Vescovo di Roma, che ha alle sue spalle una grande tradizione di impegno per la pace, non ha bisogno di essere definito in questa sua azione o inquadrato nell'una o nell'altra categoria. Lo dicano pacifista, lo dicano utopista... Sono attribuzioni irrilevanti per chi conosce la parola del Papa. Il mondo sa, con quanta partecipazione ma senza interessi di parte, il Papa cerchi la pace e lanci idee per un nuovo rapporto tra le nazioni non basato sulla forza o non ridotto all'ignoranza della sofferenza di alcuni. Infatti resta il testimone fedele di quel messaggio di pace, che sgorga dal Vangelo e che parla al nostro tempo, troppo confuso, spesso poco responsabile di fronte ai destini del mondo. È un Maestro di pace che non vuole che sia sparso il sangue degli uomini e che violente minacce turbino il futuro di questo nostro secolo.
La Chiesa ha sempre parlato di pace nel XX secolo. Lo ha fatto anche quando era costoso e impopolare, perché ha sentito che questa era la sua missione. Forse mai nella storia cristiana il magistero di pace è suonato così limpido e forte. Anzi all'inizio del Novecento il parlare di pace da parte di Benedetto XV risultò scandaloso, tanto che quel Papa visse un momento di grande isolamento dopo la Nota del 1917 sulla "inutile strage". Grazie a Dio oggi il Papa non è solo, quando parla di pace anche se non tutti sono d'accordo con lui! Gli sono intorno non solo i cattolici, ma tanti cristiani di altre confessioni assieme a molti uomini e donne di buona volontà. La Pacem in terris, nel 1963, sbocciò proprio nel cuore di Giovanni XXIII, quando sentì che i popoli e gli uomini cominciavano a prestare ascolto alla voce del Papa quando parlava di pace. E si deve dire che le parole del Papa hanno risuonato coerenti e costanti sui grandi temi della pace e della guerra.
Dalla tribuna dell'ONU alle singole situazioni nazionali, i rappresentanti della Santa Sede (i Vescovi e i cristiani tutti) si sono fatti carico del messaggio di pace della Chiesa. Si può dire che non ci sia stata situazione di conflitto in cui la Chiesa abbia taciuto a partire dai dimenticati paesi africani sino a Timor Est, paese lontano e sperduto, negli anni in cui nessuno avrebbe scommesso su di un futuro libero di quel paese. Purtroppo spesso la grande stampa non ha fatto eco alle posizioni di Giovanni Paolo II sui tanti paesi in guerra, perché si trattava di terre di scarso interesse mediatico; mentre ha messo in luce solo alcuni suoi pronunciamenti rispetto a paesi più "interessanti". Non è la Chiesa che non ha parlato; forse è stata una parte dell'opinione pubblica che non ha recepito o che non ha avuto modo di sentire.
Oggi non è il momento di contare chi è pro o contro il messaggio di Giovanni Paolo II. Non è il momento di sofismi interpretativi, mediazioni attenuanti, adattamenti alla propria parte politica, consensi di maniera... Il problema non è prima di tutto non lasciare solo il Papa, con cui sono tanti. La vera questione - e l'ha più volte indicata Giovanni Paolo II - è non lasciare solo il mondo che soffre, travolto dalle guerre, da quelle dimenticate e da quelle più dibattute. Sì, la questione è proprio non lasciare solo il mondo che soffre per le guerre! Questo oggi è il grande compito: "Ma tutto può cambiare. Dipende da ciascuno di noi" - ha detto il Papa con un invito alle responsabilità dei singoli, dei politici e degli Stati. Il suo articolato pensiero sulla pace e sull'organizzazione della comunità internazionale offre ragioni e motivi di impegno. Qui bisogna cimentarsi con decisione, facendo avanzare questo pensiero, dibattendolo, provando a realizzarlo. C'è bisogno di portare avanti questi temi, di sviluppare il ragionamento sulla pace, di concretizzarlo in un impegno deciso. Si apre allora un grande campo per chi ama la pace ed è interessato alle parole di Giovanni Paolo II.
Il Vescovo di Roma, che ha alle sue spalle una grande tradizione di impegno per la pace, non ha bisogno di essere definito in questa sua azione o inquadrato nell'una o nell'altra categoria. Lo dicano pacifista, lo dicano utopista... Sono attribuzioni irrilevanti per chi conosce la parola del Papa. Il mondo sa, con quanta partecipazione ma senza interessi di parte, il Papa cerchi la pace e lanci idee per un nuovo rapporto tra le nazioni non basato sulla forza o non ridotto all'ignoranza della sofferenza di alcuni. Infatti resta il testimone fedele di quel messaggio di pace, che sgorga dal Vangelo e che parla al nostro tempo, troppo confuso, spesso poco responsabile di fronte ai destini del mondo. È un Maestro di pace che non vuole che sia sparso il sangue degli uomini e che violente minacce turbino il futuro di questo nostro secolo.
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