Da Corriere della Sera del 24/04/2003
«Il terrorismo si vince solo combattendo le ingiustizie»
di Orsola Riva
«Eroe io? Immagino che Time, facendo il mio nome, abbia voluto segnalare l’opera svolta dalla Comunità di Sant’Egidio in tutti questi anni. Io non parlerei di eroismo, ma del lavoro paziente di tante migliaia di persone». Andrea Riccardi è uno dei 36 «eroi» europei segnalati dalla rivista americana. Ma soprattutto è il fondatore della Comunità di Sant’Egidio, organizzazione laica di ispirazione cattolica nata a Roma nel 1968, all’indomani del Concilio Vaticano II: un movimento che oggi conta 40 mila volontari in tutto il mondo impegnati nella lotta alla povertà, nel dialogo religioso e soprattutto nella ricerca della pace.
Anche la dottrina di Bush della guerra preventiva ha un’ispirazione religiosa, cristiana, almeno nelle parole del suo paladino. L’Iraq di Saddam era «il male» rispetto al quale Dio non poteva essere «neutrale»...
«La domanda da farsi è come combattere il terrorismo e rendere più sicuro questo mondo. Io mi sento molto vicino al messaggio del Papa incentrato sull’importanza del dialogo e della pace. Nelle parole di Giovanni Paolo II non c’è soltanto l’eco della "vecchia Europa", ma di un’esperienza storica che è stata condivisa da tutto l’Occidente. E cioè che le guerre non rendono migliore il mondo. Non si può essere felici ma neppure sicuri da soli».
Non crede che di fronte al rischio rappresentato dalle armi di distruzione di massa e dal terrorismo si possa invocare il principio dell’autodifesa?
«Il fatto è che nel mondo ci sono milioni e milioni di persone, anche alfabetizzate, che vivono nella disperazione e nella miseria. Questa non è soltanto un’ingiustizia, ma anche una terribile minaccia. Al giorno d’oggi, proprio perché esistono queste armi terribili, bastano piccoli gruppi per tenere in scacco grandi potenze. Di fronte a questa situazione non si può che immaginare un’opera paziente di sviluppo e di dialogo».
Pensa che la democrazia di stampo occidentale sia un modello esportabile?
«Parafrasando Churchill, penso che sia un pessimo sistema ma il migliore su piazza. In Africa (dove Sant’Egidio conta 22 delle sue 62 comunità, ndr ) potrei fare l’esempio del Senegal e del Mozambico, dove noi stessi undici anni fa abbiamo reso possibile la fine di un conflitto che era costato la vita a un milione di persone. Oggi i marxisti sono al governo e la guerriglia ha accettato di stare all’opposizione».
Questo vale anche per il mondo islamico?
«E’ la grande sfida che abbiamo di fronte: riuscire a conciliare Islam e democrazia. C’è un pluralismo democratico in Marocco e in Giordania. E anche in Turchia, dove pure sono andati al potere i fondamentalisti, la democrazia regge».
In Iraq in questi giorni stiamo assistendo alla prova di forza degli sciiti a lungo repressi dal regime di Saddam. Pensa che ci sia un rischio di radicalizzazione religiosa?
«Certo. Già gli inglesi negli anni Venti faticarono a domare i religiosi sciiti. Il fatto è che gli Stati nazionali nati sulle ceneri dell’Impero Ottomano sono stati ritagliati in fretta e furia dalle potenze occidentali alla fine della prima guerra mondiale in un modo che non teneva conto dei problemi di convivenza che potevano crearsi. L’Iraq è un Paese traumatizzato da trent’anni di dittatura feroce del partito Baath e ora rischia lo smembramento territoriale. A sud ci sono gli sciiti, a nord i curdi».
Qual è l’alternativa?
«Bisogna costruire un ethos della convivenza. Recuperare un valore che in fondo faceva già parte dei grandi imperi islamici. Questa non è solo una responsabilità anglo-americana, ma di tutta la comunità internazionale. L’Europa innanzitutto, ma anche i Paesi arabi che durante la guerra sono stati del tutto assenti, quasi dei fantasmi».
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Non crede che di fronte al rischio rappresentato dalle armi di distruzione di massa e dal terrorismo si possa invocare il principio dell’autodifesa?
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Pensa che la democrazia di stampo occidentale sia un modello esportabile?
«Parafrasando Churchill, penso che sia un pessimo sistema ma il migliore su piazza. In Africa (dove Sant’Egidio conta 22 delle sue 62 comunità, ndr ) potrei fare l’esempio del Senegal e del Mozambico, dove noi stessi undici anni fa abbiamo reso possibile la fine di un conflitto che era costato la vita a un milione di persone. Oggi i marxisti sono al governo e la guerriglia ha accettato di stare all’opposizione».
Questo vale anche per il mondo islamico?
«E’ la grande sfida che abbiamo di fronte: riuscire a conciliare Islam e democrazia. C’è un pluralismo democratico in Marocco e in Giordania. E anche in Turchia, dove pure sono andati al potere i fondamentalisti, la democrazia regge».
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