Da Panorama del 26/06/2003

Al gran bazar della morte

Dai depositi delle repubbliche ex sovietiche partono forniture per tutti i conflitti: dal Medio Oriente alla Cecenia. Grazie a personaggi noti e meno noti. E a complicità insospettabili.

di Elisabetta Burba

Sembra una spy story di Frederick Forsyth. Invece in Moldova è la storia del giorno. Agli inizi del 2003 da Chisinau è partito un cargo contenente una cinquantina di missili terra-aria Strela 2M di fabbricazione russa. Destinazione: Sud del Libano, la zona controllata da Hezbollah. Il trasferimento è stato organizzato dall’ex console onorario libanese in Moldova Mahmoud Hammoud, genero di Dumitru Diacov, il presidente del Partito democratico moldovo, espulso da Chisinau nel 2001 perché accusato di appartenere a un’organizzazione terroristica sciita. In un primo momento Hammoud era riparato in Germania, dove la moglie lavora come diplomatico, Ma a Panorama risulta che ora sia rientrato in Moldova, dove si dedica a vari traffici. Grazie alla copertura del suocero, alleato di Vladimir Voronin, il presidente comunista del paese ex sovietico.

La vendita dei missili Strela è l’ultima tessera di un puzzle che, osservato nel suo insieme, svela una realtà inquietante. L’Europa orientale è diventata la stazione di rifornimento dei più pericolosi trafficanti del pianeta. La merce proviene dai depositi delle vecchie basi sovietiche: armi leggere, munizioni, granate, missili, autoblindo, elicotteri da combattimento. Ma anche materiali bellici di nuova produzione. Fra i clienti di questi mercanti di morte, organizzazioni terroristiche come la rete di Al Qaeda, i guerriglieri albanesi dell’Uck, gli integralisti filippini di Abu Sayyaf, i ribelli ceceni, gli estremisti islamici di Hamas e i terroristi irlandesi dell’Ira. E poi regimi come quello dei talebani, fazioni armate come quelle della Sierra Leone, della Liberia e dell’Angola e addirittura Cosa nostra.

Lo scorso agosto, due cechi e un russo sono stati arrestati nella Repubblica Ceca con l’accusa di aver organizzato una vendita illegale di armi verso il Medio Oriente. Le autorità ceche si sono rifiutate di indicare i paesi, ma un parlamentare ha rivelato che si trattava di Siria, Iran e Iraq. In ottobre sono venuti alla luce rapporti secondo i quali gli Stati Uniti sospettavano che la Jugoslavia avesse venduto tecnologia missilistica alla Libia. Lo stesso mese l’Onu ha rivelato che oltre 200 tonnellate di armi, per lo più provenienti da depositi jugoslavi, erano state vendute alla Liberia. E a novembre le autorità bulgare hanno scoperto un piano per esportare illegalmente parti di ricambio per autoblindo, ma solo quando una fornitura era già stata recapitata in Siria.

Una panoramica agghiacciante, che ha indotto Human rights watch a lanciare l’allarme. «La Nato dovrebbe mettere al primo posto la lotta contro il traffico d’armi nell’Europa centro-orientale» ha dichiarato l’organizzazione Usa che indaga sulle violazioni dei diritti umani. Perché i paesi dell’Est europeo autorizzano (o consentono) esportazioni di armi nei punti del globo dove vengono violati i diritti umani. Il paradosso è che questi paesi sono parte integrante della comunità occidentale. Alcuni (Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca) sono già entrati nella Nato. Altri (Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania, Romania, Slovenia e Slovacchia) stanno per entrarci.

La Romania, per esempio, sebbene neghi ogni coinvolgimento, ha per lungo tempo autorizzato l’uso dell’aeroporto militare Otopeni come transito per le compagnie aeree che trafficano in armi. La più nota si chiama Flying Dolphin. Registrata in Liberia, ha il quartier generale a Sharja, negli Emirati Arabi Uniti, e una società sorella a Bucarest: la Flying Dolphin Romania srl, aperta nel 1998 con un capitale sociale di 10 mila dollari. La società è posseduta dallo sceicco Abdullah Zayed Saqr al Nayhan, membro della famiglia reale di Abu Dhabi ed ex ambasciatore degli Emirati a Washington.

L’Fbi ha accusato la Flying Dolphin di aver rifornito d’armi i talebani. A partire dall’ottobre 2000, la compagnia aerea fu autorizzata dall’Onu a fare la spola fra Sharja e Kandahar per il trasporto di passeggeri. Invece, assieme agli uomini barbuti, portava armi romene e bulgare agli uomini del mullah Omar.

Ma le complicità non finiscono qui.

La Ancesiac, agenzia romena per il controllo sugli export strategici e l’interdizione delle armi chimiche, ha rivelato che la società Aerofina le aveva chiesto una licenza per esportare equipaggiamenti aeronautici, tramite la Flying Dolphin. L’Aerofina è l’azienda statale romena specializzata in tecnologia militare. Dipende dal ministero dell’Industria e già nel 1995 era stata accusata di aver fornito componenti di motori missilistici all’Iraq.

Dietro la Flying Dolphin c’è Victor Bout, il più potente trafficante d’armi al mondo. Due rapporti Onu lo hanno definito il massimo «mercante di morte» dell’Africa. E il Centro di analisi delle strategie e delle tecnologie di Mosca lo ha messo al primo posto nella lista dei trafficanti d’armi nell’ex Urss. Nato a Dushanbé, in Tagikistan, si è laureato al prestigioso istituto militare di lingue straniere di Mosca. Dopo aver lavorato per l’aviazione sovietica, nel 1987 si è riciclato come interprete per l’Onu in Angola. Lì ha gettato le basi per la sua ascesa.

Nel 1995 Bout inizia a vendere armi nelle zone più calde del globo. Nel 1996 crea la società di trasporti Air Cess. Fra il 1997 e il 1998 vende anni ai ribelli del Congo, all’Unita in Angola e al Fronte unito rivoluzionario della Sierra Leone, in palese violazione dell’embargo Onu. Nel frattempo Bout si stabilisce negli Emirati, da dove organizza i traffici con l’Afghanistan (secondo i servizi belgi, fino al 1998 ha venduto armi in Afghanistan per 50 milioni di dollari). Nel periodo di massimo splendore, la sua flotta era composta da una sessantina di aerei: Ilyushin, Antonov e Yakovlev e Boeing 707. Parecchi sono intestati a società con sede negli Emirati: la Air Cess Liberia, la Air Cess Equatorial Guinea di Sharja e la Centrafrican Airlines di Ras-al-Kheimah. Altri alla Air Pass Swaziland, con sede a Pietersburg, Sud Africa.

I guai di Bout cominciano subito dopo l’li settembre 2001, con la chiusura di una sua società di Miami. La batosta però arriva nel febbraio 2002, quando il suo braccio destro, l’indo-kenyota Sanijvan Ruprah, viene arrestato in Belgio (sarà poi arrestato a Crema il 2 agosto 2002) e comincia a parlare. Risultato: Bout diventa uno degli uomini più ricercati al mondo. E sparisce. Ma continua a fare business in mezzo mondo. Oggi, a 36 anni, vanta un giro d’affari di 15 miliardi di dollari l’anno. Alla base del suo successo, un’intuizione: scambiare armi con diamanti. Il suo ex braccio destro ha confessato di aver organizzato per suo conto il baratto armi-pietre preziose con i ribelli di Congo, Angola e Sierra Leone. Un modello perfezionato da un gruppo alleato di Bout: i fratelli Mutaliev. Tamerlan, Timur e Alican sono nati in Cecenia, ma vivono in Moldova. E secondo i servizi segreti occidentali sono a capo di una autentica holding criminale e fra i più potenti trafficanti della regione. Una società che compare spesso nei rapporti è la Valeologia, riconducibile ai fratelli Mutaliev, sospettata di coinvolgimento in traffici di armi e sostanze radioattive. Registrata alla Camera di commercio dì Chisinau, in Moldova, ha il centro operativo in Yemen e diramazioni anche in Romania.

Un’altra società legata ai fratelli Mutaliev è la compagnia aerea Renan: secondo l’intelligence occidentale era usata da Bout per i suoi traffici. Apparteneva alla Renan il cargo sovietico An 72 costretto ad atterrare in Angola da un guasto nel 1997: trasportava armi, cinque passeggeri liberiani e parecchi diamanti. Destinati alla Romania che, dalla metà degli anni Novanta, si è specializzata nella lavorazione di queste pietre. Spesso insanguinate.

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