Da Il Sole 24 Ore del 25/07/2003

Usa: «Parte la ricostruzione irachena»

di Mario Platero

NEW YORK - Donald Rumsfeld e Paul Bremer hanno confermato ieri che il processo di rilancio economico dell'Irak entrerà da qui alle prossime settimane a pieno regime e che il ritorno a un'economia produttiva per il Paese è essenziale per raggiungere gli altri due obiettivi, quello di una stabilità politica e quello della sicurezza. «L'ambasciatore Bremer - ha detto Rumsfeld - ha un piano molto preciso per tornare alla piena produzione del petrolio iracheno, un passaggio obbligato per ricostruire le strade, le infrastrutture, gli impianti elettrici». «Il piano prevede controlli sul progresso compiuto sui tre fronti principali, quello politico, della sicurezza e dell'economia - ha aggiunto Bremer, apparso insieme a Rumsfeld al Pentagono - avremo scadenze e controlli a 60, 90, 120 e 160 giorni». La giornata di ieri è stata caratterizzata da forti polemiche per la diffusione delle fotografie dei due figli di Saddam Hussein, uccisi a Mosul. Rumsfeld ha difeso la decisione presa: «Lo dovevamo al popolo iracheno - ha detto Rumsfeld - si tratta di una circostanza eccezionale». «La situazione era tale - ha spiegato Bremer ricostruendo la dinamica degli eventi che hanno portato all'uccisione di Udai e Qusai - che i due non sarebbero mai usciti vivi da quella villa». Secondo Bremer la resistenza al fuoco degli americani era tale, da far capire che chi era all'interno aveva solo due possibilità: l'arrivo di rinforzi e un tentativo di fuga o farsi uccidere. E non si poteva correre il rischio di vedere la missione fallire. Rumsfeld non parlava ai giornalisti dal mese di giugno. Un'assenza lunga per le sue abitudini. Ieri ha anche parlato della questione irachena, dopo un lungo periodo di assenza, il vicepresidente Dick Cheney. Entrambi hanno riaffermato con fermezza, ma lo ha fatto soprattutto Cheney, che l'operazione militare andava fatta per difendere la sicurezza americana: «I critici della liberazione dell'Irak non rispondono a una domanda centrale, cioè quale sarebbe oggi la situazione nel Paese se non fossimo intervenuti? Il presidente ha deciso con coraggio per evitare che il sangue si spargesse per le nostre strade». La linea dunque è quella di difesa assoluta della guerra: c'era il pericolo delle armi per la distruzione di massa, c'era il pericolo di una ricostituzione del progetto nucleare. È la prima vera risposta diretta dei due “ falchi” dell'amministrazione alle accuse di aver strumentalizzato l'opinione pubblica americana usando con leggerezza informazioni poi risultate fasulle. La loro apparizione congiunta potrebbe dunque non essere casuale. Circolano indiscrezioni secondo cui vi saranno “ristrutturazioni” al Pentagono con il licenziamento di alcuni personaggi di livello medio alto. E sono in molti a insistere che alla fine Bush potrebbe scegliere come nuovo vice presidente il suo compagno di corsa Colin Powell, un volto molto più amichevole, riflessivo e amato dagli americani rispetto all'immagine più conservatrice e dura di Cheney. La polemica è esplosa dopo un attacco di Newt Gingrich che accusava Powell di aver distrutto la politica estera americana. Gingrich è vicino agli ambienti più conservatori del partito repubblicano. Powell avrebbe avuto un incontro con Bush che gli ha riaffermato – per poi farlo anche pubblicamente – la sua più totale fiducia. È chiaro che con la cattura dei due figli di Hussein e con il progetto di ricostruzione che avanza, il duo Cheney-Rumsfeld si sente molto più forte. Non bisogna dimenticare però che Bremen, che sta raccogliendo grande successo per il suo approccio morbido e intelligente ai problemi iracheni («visione strategica chiara – ha detto – ma flessibilità tattica») è un ex diplomatico appoggiato da Powell. Jay Garner, la scelta originaria del Pentagono e di Cheney, ha invece fallito nella sua missione ed è stato rapidamente richiamato in patria.

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