Da Il Sole 24 Ore del 17/07/2003

Powell: un ruolo Onu più forte in Irak

di Mario Platero

NEW YORK - Per il 16 luglio, uno degli anniversari più importanti del regime di Saddam Hussein, la ricorrenza della fondazione del partito Baath, ci si aspettava l'ennesima provocazione da parte della "resistenza" irachena. E difatti i fedelissimi dell'ex dittatore hanno colpito più duramente che in passato. Intanto hanno attaccato un convoglio nella zona occidentale di Baghdad, di nuovo con granate lanciate da razzi e hanno fatto un morto e tre feriti fra gli americani. In altri due attacchi, uno in una banca con una esplosione e un altro con una mina anticarro che ha fatto saltare un camion carico di soldati, sono stati feriti almeno altri tre soldati americani. L'intensificarsi della guerriglia sta incidendo profondamente sul morale delle truppe americane. Ma l'attacco più spettacolare è stato quello con un missile terra-aria diretto contro un caccia americano in perlustrazione. La complessità dell'operazione conferma, se ancora potevano esserci dubbi, che questi attacchi non sono rappresentativi di una resistenza popolare, ma di un'azione di guerriglia organizzata che fa capo direttamente a Saddam Hussein, ai suoi due figli e ad alcuni altri luogotenenti del vecchio regime. Secondo fonti raccolte dal «Sole-24 Ore» in ambienti vicini al Pentagono, la strategia è chiara. Nel momento della fuga da Baghdad, Saddam e i figli si sono appropriati di una cifra impressionante di danaro in contante prelevato direttamente dalla banca centrale irachena. La cifra potrebbe anche essere vicina al miliardo di dollari, quanto basta per poter oliare una macchina di mercenari e di fedelissimi, per comprarsi la lealtà di guardie del corpo e di un entourage, e per poter vivere anche a lungo in rifugi preorganizzati. Emerge anche chiaramente, soprattutto dopo gli attacchi continui di lanciarazzi e ieri dopo l'attacco del missile, l'esistenza di depositi di armi segreti, costruiti in località remote del Paese nei mesi in cui Saddam si preparava all'attacco. La sua strategia è chiara: dopo aver consentito agli americani una facile presa di Baghdad, gli renderà impossibile il controllo del Paese. Secondo le fonti Saddam vuole procedere con un'escalation degli attacchi fino a coinvolgere nelle azioni almeno parte della popolazione civile confusa sul suo destino e timorosa dalla possibilità di un suo ritorno. Il suo obiettivo è quello di rendere i massacri dei marines in Somalia, che costrinsero gli americani a una frettolosa ritirata, un piccolo assaggio di quello che attende i 165mila soldati oggi di stanza in Irak per favorire la transazione. Il pericolo, secondo alcuni, è che Saddam possa riuscire nella sua azione. I vertici americani a Baghdad infatti hanno chiarito che il grosso della ritirata delle truppe Usa avverrà subito dopo l'installazione di un governo regolarmente eletto a Baghdad. La stima è che per questa operazione ci vorrà un anno di tempo. E se pensiamo al luglio dell'anno prossimo, per Bush non sarebbe occasione migliore quella di poter annunciare prima della convenzione repubblicana e della sua nomination di aver portato a termine l'operazione in Irak. Se per allora Saddam non sarà stato catturato però il rischio sarà quello di un tentativo di un colpo di stato e di un ritorno al potere del raìs e dei suoi figli contro un nuovo governo che potrebbe risultare debole e impreparato. Anche per questo gli americani vogliono preparare il terreno perché in appoggio al nuovo Governo iracheno possa esserci una forza delle Nazioni Unite. Non è un caso se ieri Colin Powell si è detto aperto all'ipotesi di riconsiderare un nuovo mandato dell'Onu: «Alcuni Paesi hanno espresso interesse per questa soluzione, e la stiamo considerando» ha detto Powell poco dopo l'incontro con il ministro degli Esteri tedesco Joschka Fischer. Il segretario generale dell'Onu, Kofi Annan, conferma: «Ne stiamo discutendo. Ci chiediamo se il Consiglio di Sicurezza non possa aiutare a migliorare la situazione». Se oggi Bush è in difficoltà a trovare alleati disposti a condividere l'onere dell'occupazione e della ricostruzione irachena, la bandiera dell'Onu potrebbe convincere alcuni Paesi a inviare truppe. Ma intanto sale la polemica sulla questione dell'uranio: il senatore democratico Joseph Lieberman, uno dei candidati per la Casa Bianca del 2004 ha chiesto le dimissioni del capo Cia Tenet, che ieri si è difeso durante una audizione in Congresso.

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