Da La Repubblica del 23/06/2003
Originale su http://www.repubblica.it/online/politica/telescontrodiciotto/riforma/r...

Il ddl in settimana al Senato. Il capo dello Stato da tempo ha segnalato il problema al governo. Il nodo Retequattro

Ciampi boccia la legge sulle tv "È incostituzionale, non la firmo"

Il presidente pronto a non promulgare la riforma Gasparri

di Massimo Giannini

"ALTRO che Lodo, il vero problema è la legge sulle televisioni...". Mentre l'attenzione dei partiti e dell'opinione pubblica si concentra sulla firma concessa dal presidente della Repubblica al provvedimento di sospensione dei processi per le alte cariche dello Stato, sulle scrivanie del Quirinale c'è un'altra legge alla quale il Capo dello Stato è pronto a negare la sua firma. E' la riforma Gasparri sul riassetto del sistema radiotelevisivo. Il testo originario presentato dal ministro (al contrario del Lodo Schifani) è "manifestamente incostituzionale". Viola i principi del pluralismo. Se il Parlamento non lo emenderà, rispettando le sentenze della Consulta, stavolta Ciampi non lo promulgherà. E lo rinvierà alle Camere, aprendo un delicato conflitto politico-istituzionale.

Per Berlusconi il "core business" dell'etere è non meno importante delle sue vicende giudiziarie. Qui in ballo c'è l'integrità del suo impero mediatico, che rischia di perdere una delle sue ammiraglie, Retequattro. "Quella legge va cambiata. Se passa nella formulazione originaria io non la firmo...". Ciampi lo ripete da giorni, a tutti gli interlocutori che sono andati a trovarlo sul Colle, anche nei momenti più roventi del dibattito sulla giustizia. La sua sembra un'impuntatura, o secondo alcuni una rivincita postuma che si prenderebbe nei confronti del Cavaliere, dopo avergli concesso il "salvacondotto" al processo Sme.

Le cose stanno diversamente. Il Capo dello Stato ha segnalato da tempo il problema, al governo. Ne ha discusso riservatamente con i leader della maggioranza e dell'opposizione. Ma ora il nodo arriva al pettine. A metà di questa settimana, la riforma Gasparri riprende il suo cammino al Senato, in Commissione lavori pubblici. E il primo punto all'ordine del giorni sarà quello cruciale: si discuteranno e si voteranno gli emendamenti all'articolo 15, quello che riguarda i limiti antitrust ai titolari di concessioni radiotelevisive. E' il tema che tocca il portafoglio di Mediaset, e quindi quello che sta più a cuore al premier.

Il testo originario presentato dal ministro delle Comunicazioni prevede, all'articolo 12, un generico "divieto di cumulo dei programmi televisivi e radiofonici": uno stesso concessionario, secondo questa norma "non può essere titolare di autorizzazioni che consentano di diffondere più del 20% dei programmi televisivi". Questo limite è formalmente compatibile con i vincoli antitrust fissati dalla legge 249 del 1997. Ma sostanzialmente li aggira, applicando il tetto non più a un parametro certo e quantificabile, ma alle "risorse complessive del settore integrato delle comunicazioni".

Una scelta che serve a tutelare i privilegi attuali e dunque a perpetuare i guasti del conflitto di interessi, come hanno scritto diversi costituzionalisti interpellati dal Colle, a partire da Alessandro Pace: "Il divieto di posizione dominante è fissato al 20% delle risorse complessive, ma gli 'ingredienti' che compongono il sistema sono tali e tanti che in sostanza il divieto è divenuto di più difficile applicazione: Retequattro e Telepiù nero continueranno ad utilizzare le frequenze terrestri; sono caduti tutti i limiti per l'acquisizione di quotidiani da parte di Mediaset. A parte ogni altra questione il disegno di legge è favorevole al mantenimento dello status quo...".

Durante il dibattito alla Camera, l'Ulivo è riuscito a fare un blitz, approfittando di uno dei tanti momenti di distrazione del Polo. Un emendamento del diessino Giulietti ha cambiato la norma. Ne è uscito fuori il nuovo articolo 15, che ripristina il rispetto dei principi della legge 249/97 e prevede che "in nessun caso un soggetto privato può essere destinatario di più di due concessioni televisive in tecnica analogica". Se la legge passasse così, il Cavaliere dovrebbe vendere Retequattro (o trasferirla su satellite) come gli impongono da quasi quindici anni le leggi e la giurisprudenza costituzionale.

Se la legge passasse così, Ciampi la firmerebbe, perché verrebbe ripristinato il rispetto dei principi del "pluralismo esterno" fino ad oggi violati, in un Far West dell'etere nel quale l'unico a guadagnarci è stato il presidente del Consiglio. Ma quasi sicuramente la legge non passerà così. "La ricambieremo al Senato", ha annunciato Gasparri, e con lui i plenipotenziari del premier nel settore televisivo.

E ora che la legge è effettivamente arrivata al Senato per la seconda lettura, e la Commissione lavori pubblici ha approvato gli articoli da 1 a 9 più l'articolo 13, governo e maggioranza confermano: "Ripristineremo il testo originario". Mediaset non molla, Berlusconi non può darla vinta all'opposizione. E' convinto di avere dalla sua gli italiani, e continua a "usare" strumentalmente la vittoria ai referendum del '96: come sempre, per un "populista mediatico" l'investitura popolare conta più dei tribunali, delle leggi e della Costituzione.

Ma stavolta, su questo nuovo tentativo di piegare le regole, il Quirinale è pronto a sbarrargli la strada. Ciampi ha fatto del "ritorno alla Costituzione", sul fronte televisivo, uno dei tratti salienti del suo settennato. Il 23 luglio 2002 ha trasmesso il suo primo e unico messaggio alle Camere, per sollecitare l'immediato recupero dei principi costituzionali del "pluralismo, l'obiettività, la completezza e l'imparzialità dell'informazione". Mai messaggio presidenziale è stato più snobbato.

Oggi il Capo dello Stato intende far valere le sentenze della Corte costituzionale, sistematicamente ignorate dal legislatore, e adesso clamorosamente disattese dalla riforma Gasparri. La sentenza 420 del 1994 ha richiamato "il vincolo, imposto dalla Costituzione, di assicurare il pluralismo delle voci, espressione della libera manifestazione del pensiero, e di garantire il fondamentale diritto del cittadino all'informazione": quella pronuncia ha dichiarato incostituzionale il limite del 25% (pari a tre reti televisive) che la legge Mammì del '90 aveva previsto come massimo consentito a ciascun concessionario, con la motivazione che "non garantisce la livertà e il pluralismo informativo e culturale".

La sentenza 155 del 2002 ha ribadito "l'imperativo costituzionale" secondo cui "il diritto di informazione garantito dall'articolo 21 della Costituzione deve essere qualificato e caratterizzato, tra l'altro, sia dal pluralismo delle fonti cui attingere conoscenze e notizie... sia dall'obiettività e dall'imparzialità dei dati forniti, sia infine dalla completezza, dalla correttezza e dalla continuità dell'attività di informazione erogata": quella pronuncia ha quindi implicitamente confermato l'illegittimità della posizione degli operatori televisivi che possiedono più di due reti su scala nazionale.

Poi c'è la sentenza 466 del 20 novembre 2002, l'ultima, quella che affronta direttamente la vicenda del limite delle due reti che ogni concessionario dovrebbe rispettare. Questa pronuncia fotografa un peggioramento del pluralismo informativo, visto che "dalla previsione di 12 reti nazionali (di cui 9 private) si è passati a 11 reti (8 private) e ciò non garantisce l'attuazione del principio del pluralismo informativo esterno". Ma soprattutto stabilisce che il regime transitorio dell'assetto radiotelevisivo (quello che ha permesso a Berlusconi di possedere tre reti private in tutti questi anni) "non può eccedere il termine del 31 dicembre 2003.

Entro questa data, Mediaset deve vendere Retequattro, o trasferirla su satellite. Tutto dipende da quale riforma uscirà nel frattempo dal Parlamento. Per questo la settimana che si apre è diventata cruciale. La legge Gasparri, varata nella sua stesura iniziale, comporterebbe un nuovo aggiramento del giudicato costituzionale. Ecco perché, stavolta, Ciampi non può firmare. Lo strappo sarebbe palese.

Il Capo dello Stato ha già esperito i suoi tentativi, con la formula consueta della "moral suasion", per convincere il Polo a cambiare il testo. A questo punto tutto è nelle mani del premier. Se vuole andare a una nuova sfida, può farlo. Ma stavolta deve sapere che il Colle sarà il suo Rubicone. Il Lodo Schifani "non è un problema" perché non era "manifestamente incostituzionale". Al contrario, la legge Gasparri "è un grosso problema" perché è "palesemente incostituzionale" e deve essere modificata. In caso contrario tornerà in Parlamento. E stavolta "senza la mia firma": più che una promessa, quella di Ciampi è una minaccia.

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