Da Il Sole 24 Ore del 11/07/2003

Bush ammette: l'Irak è un problema

di Mario Platero

NEW YORK - Due soldati americani sono rimasti uccisi in due imboscate diverse nella tarda serata di mercoledì in Irak. La responsabilità degli attacchi è stata attribuita da Washington a forze di resistenza coordinate e finanziate da Saddam Hussein. Il primo incidente è avvenuto nelle vicinanze di Al Mahmudiya, dove un convoglio militare americano è stato improvvisamente attaccato da artiglieria leggera. Gli americani hanno risposto al fuoco che è quasi immediatamente cessato. Uno degli americani però è rimasto colpito a morte. Il secondo attacco è avvenuto in una località ancora imprecisata: truppe americane sono state colpite da una granata lanciata da un razzo, un soldato è rimasto ucciso e un altro è stato gravemente ferito. La dinamica dei due episodi conferma una preparazione strutturata degli attacchi e non la ribellione casuale e spontanea di alcuni civili nostalgici di Saddam o insofferenti davanti all'occupazione americana. «Non c'è dubbio che in Irak abbiamo un problema di sicurezza - ha detto il presidente George W. Bush parlando dal Botswana durante il viaggio africano - continueremo nel nostro lavoro di controlli persona per persona e dobbiamo restare duri e determinati. Dobbiamo anche essere coscienti che ci vorrà tempo prima che gli iracheni comprendano che con la libertà ci saranno responsabilità aggiuntive». L'imbarazzo e la difficoltà di questa amministrazione nella gestione dell'Irak nel post-Saddam riguardano almeno tre problemi distinti. Il primo è quello della vulnerabilità costante per i soldati in missione. L'ammissione di Bush del pericolo per le truppe è in netto contrasto con la sicurezza con cui il presidente annunciò il 1° maggio scorso la vittoria contro Saddam e la conclusione della guerra. La seconda riguarda il costo. Il segretario al Pentagono Donald Rumsfeld ha ammesso al Senato che il costo dell'occupazione sarà doppio rispetto alle previsioni e ha detto che non vi sono per ora scadenze per un ritiro dei 145mila soldati americani ancora schierati sul campo. La terza è il mancato recupero di armi per la distruzione di massa, da mostrare a un'opinione pubblica sempre più convinta invece che il pericolo rappresentato dalle armi fosse una scusa per eliminare Saddam. «Non abbiamo agito in malafede, è stato il Consiglio di sicurezza, nella risoluzione 1441 a riconoscere che Saddam aveva programmi per la costruzione di armi di sterminio di massa e chiunque pensi che le sue intenzioni non erano quelle è semplicemente un ingenuo» ha detto Colin Powell. Il segretario di Stato, in viaggio al seguito del presidente in Africa, ha difeso le dichiarazioni di Bush, ha escluso che fossero state fatte con l'intenzione di fuorviare l'opinione pubblica e ha promesso che presto ci saranno le prove dell'esistenza di un arsenale chimico e biologico iracheno. Ieri, intanto, uno dei candidati presidenziali democratici, John Kerry, ha attaccato Bush: «È giunto il momento che il presidente ci dica la verità sulle armi e ci spieghi che tipo di coinvolgimento ci sarà da parte degli alleati». L'America ha confermato di essere disponibile ad avere l'appoggio di altri Paesi nell'operazione di «Nation Building» in Irak. Rumsfeld ha persino aperto a Francia e Germania. Ma il ministro degli Esteri francese ha risposto che la Francia rifletterà su un suo coinvolgimento solo dopo una modifica delle attuali risoluzioni Onu. Ipotesi neppure lontanamente contemplata da Washington. La posizione ufficiosa dell'amministrazione del resto è chiara. Si distingue fra la guerra e l'operazione di ricostruzione, che potrebbe durare anni e che farà inevitabilmente vittime fra gli americani. Secondo il Pentagono, tuttavia, una volta catturato o eliminato Saddam gli attacchi finiranno. Resta il fatto che la gestione americana in Irak, a tre mesi dalla presa di Baghdad, non ha prodotto risultati soddisfacenti. E non cala la tensione nemmeno sul fronte dell'Iran. Ieri 18 aziende americane sono state perquisite da agenti federali, impegnati in un'indagine su un traffico di armi per Teheran, che hanno consegnato sette mandati di comparizione ma senza effettuare arresti. Le società sono sospettate di aver violato l'"Arms export control act", la legge dei controlli sull'esportazione di armi: avrebbero fornito attrezzature militari, compresi pezzi di ricambio per missili Hawk, per caccia F-14 e F-4, per aerei da trasporto Hercules C-130 e per radar militari, a una società ombra con sede a Londra che rifornisce le forze militari iraniani. La società, la Multicore, è oggetto di un'indagine congiunta Usa-Gb dal 1999.

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