Da La Repubblica del 23/05/2003

Parla il ministro dell'Interno dopo gli ultimi attentati "I paesi islamici moderati sono nel mirino"

"L'Italia dialoga con l'Islam. No ai maestri del terrorismo"

Pisanu: fuori dalle moschee chi predica violenza

di Magdi Allam

ROMA - "A la guerre comme à la guerre". Se guerra deve essere, ebbene guerra sia. Guerra. Una parola che pesa. Una decisione più che impegnativa. Il ministro dell'Interno Giuseppe Pisanu reagisce in modo sereno ma determinato all'offensiva globale del terrorismo di matrice islamica. Alle decine di kamikaze islamici che si fanno esplodere in Israele, Arabia saudita e Marocco la risposta non può essere che ferma. Una guerra da sferrare "con tutti i mezzi di prevenzione e contrasto di cui disponiamo". Cominciando da un obiettivo cruciale e ambizioso: "Liberare le moschee d'Italia". Sarà questo il terreno concreto del confronto interno: "Voglio dirle chiaro e tondo che le moschee italiane devono essere totalmente liberate dai predicatori della violenza, dai reclutatori della "Guerra santa" e dagli agenti di interessi stranieri nel nostro Paese".

Pisanu tiene a sottolineare che non ha affatto rinunciato né al Patto con l'islam moderato né alla proposta di una Consulta dei musulmani d'Italia: "La linea del governo italiano ha due obiettivi da realizzare simultaneamente: il primo, dialogare costruttivamente con la stragrande maggioranza dei musulmani pacifici e, il secondo, isolare gli estremisti e piegarli alla ragione con le buone o con le cattive maniere. Chi confonde la nostra disponibilità al dialogo con un atteggiamento debole e remissivo non ha capito nulla di questa politica".

Quando il ministro mi riceve di prima mattina nel suo ufficio al Viminale, sta ancora sistemando gli appunti scritti a mano. Pagine e pagine di un block-notes che l'hanno impegnato per lunghe ore della notte. Un interesse diretto e un'attenzione scrupolosa che confermano un coinvolgimento personale che va al di là della dimensione politica. Per Pisanu l'affermazione di un "islam italiano" compatibile con le nostre leggi e i nostri valori, è un dovere essenzialmente morale.

Ci troviamo in mezzo a una sconvolgente offensiva terroristica di matrice islamica. L'Italia, piaccia o meno, vi è coinvolta. Una delle vittime degli attentati di Casablanca è un cittadino italiano. Altri tre italiani sono rimasti feriti negli attentati di Riad. Pare che uno degli autori superstiti degli attentati di Casablanca sia un marocchino immigrato in Italia. Voi avevate previsto un'offensiva terroristica di questa portata?
"Per la verità già da tempo circolava in sedi qualificate la previsione che dopo la guerra in Iraq, Al Qaeda e, più in generale, il terrorismo islamico si sarebbero scatenati contro i paesi arabi moderati e specialmente contro quelli governati da monarchie che il fondamentalismo considera corrotte o troppo laiche o asservite all'Occidente. I fatti di Riad e Casablanca sembrano confermare quella previsione, anche se gli obiettivi colpiti richiamano evidentemente l'avversione agli Usa, ad Israele e all'Europa. Osservo, comunque, che si tratta di obiettivi indifesi, facili da attaccare, sui quali i terroristi potevano andare a colpo sicuro".

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L'aspetto più raccapricciante e preoccupante di questa offensiva terroristica è il massiccio impiego di kamikaze islamici. Come vede il fatto che ci siano decine di giovani pronti a sacrificare la propria vita pur di infliggere il maggior numero di vittime tra i loro "nemici"?
"Lo vedo come la manifestazione di un fanatismo politico-religioso senza limiti e quindi di un terrorismo che, proprio per le sue motivazioni religiose, può accendersi anche a prescindere dagli stimoli del contesto sociale e politico. Nell'immediato, il terrorismo islamico va combattuto con tutti i mezzi di prevenzione e contrasto di cui disponiamo. Ma nel medio-lungo periodo, l'arma migliore è il dialogo tra i moderati delle tre grandi religioni monoteistiche e tra i governi laici dell'Europa, dell'America e del mondo islamico. Solo col dialogo interreligioso e politico si possono tagliare le radici del fanatismo".

Al riguardo lei ha proposto, per il semestre italiano, di riservare un "grande evento" al dialogo interreligioso. Può illustrarci questa sua idea?
"Ho proposto ai 25 ministri dell'Interno europei di riservare una discussione al seguente tema: "Il dialogo interreligioso come fattore di coesione sociale in Europa e strumento di pace nell'area Mediterranea". I colleghi francese, tedesco, spagnolo ed inglese, che ho incontrato a Jerez de la Frontera, hanno dato una adesione calorosa alla mia iniziativa, perché sono convinti come me che la discussione tra le tre grandi religioni monoteiste tocca le corde più profonde di problemi attuali e brucianti come l'immigrazione e la questione mediorientale".

La preoccupa il fatto che l'Italia possa diventare bersaglio di attentati terroristici di matrice islamica?
"L'opinione più diffusa tra gli analisti è che questa nuova ondata terroristica voglia colpire essenzialmente i paesi moderati e più vulnerabili del mondo islamico, mentre i paesi europei, molto più vigili e meglio attrezzati alla difesa, verrebbero almeno per ora risparmiati. Ma io non mi fido. So, per amara esperienza, che la storia del terrorismo è una storia di sottovalutazioni politiche fino alla vigilia della tragedia. E so peraltro che, per quanto possiamo premunirci, nessuno in Europa è in grado di proteggere tutto e tutti. Perciò anche nelle settimane scorse, quando l'allarme terrorismo sembrava attenuarsi, ho continuato a sostenere, anche pubblicamente, che dovevamo tenere alta la guardia".

Ci sono delle indicazioni secondo cui l'Italia è a rischio terrorismo? Quali sono gli obiettivi più a rischio? Quale strategia di prevenzione avete adottato?
"No, se si escludono le note dichiarazioni di Bin Laden che chiamavano in causa anche l'Italia, non c'è nessuna indicazione precisa di attacchi imminenti al nostro Paese. Gli obiettivi sensibili, i possibili bersagli sono molti, oltre ottomila, e stiamo facendo di tutto per proteggerli. Ma di questo, per ovvie ragioni, non posso parlare".

Il 30 aprile scorso un kamikaze britannico di origine pachistana si è fatto esplodere in Israele. Per la prima volta l'Europa è emersa come terra di esportazione di kamikaze islamici. È ipotizzabile che in Italia possano esserci e operare dei kamikaze islamici?
"Sì, quel giovane di origine pachistana, allevato e cresciuto nel benessere e nella cultura inglese degli ultimi venti anni, che si fa esplodere a Tel Aviv, è una novità sconvolgente e segna un drammatico punto di svolta nella storia del terrorismo islamico. Egli è infatti il primo terrorista di formazione europea che sceglie la via del "martirio". Questo dimostra quanto sia forte la spinta religiosa al terrorismo. L'episodio però mi sembra circoscritto ai soli due di Tel Aviv (il secondo non è riuscito a farsi esplodere) e non mi sembra facilmente ripetibile. Oggi mi preoccuperei di più dei combattenti islamici che rientrano in Europa dalle zone di guerra e dei giovani sbandati nordafricani che sono arrivati clandestinamente con la disponibilità a far di tutto".

Non è un mistero che negli ultimi anni dei combattenti islamici siano partiti dall'Italia per partecipare alle guerre in Bosnia e Afghanistan. I servizi segreti e i magistrati italiani hanno individuato delle cellule legate a Al Qaeda che preparavano attentati. Di fatto è un salto di qualità. Si è andati oltre la fase del supporto logistico alle reti del terrorismo internazionale. Tutto ciò che cosa significa per voi? C'è stata una ridefinizione della strategia di prevenzione e di repressione di questo terrorismo?
"In questo campo l'Italia ha fatto notevoli progressi e ha colto risultati di grande rilievo, come hanno ripetutamente riconosciuto i nostri più importanti partner internazionali. Abbiamo inferto colpi duri al terrorismo islamico e abbiamo acquisito molte conoscenze sulla sua consistenza, le sue modalità di azione e i suoi collegamenti internazionali. Insomma, conosciamo il nemico, sappiamo come combatterlo e, naturalmente, cerchiamo di adeguare la nostra strategia di contrasto alla sua evoluzione".

Nella nostra precedente intervista lei, dalle pagine di Repubblica, aveva lanciato la proposta di un Patto con l'islam moderato. E' ancora valida alla luce di quanto sta accadendo? Pensa che sia necessario un ripensamento sulla disponibilità al dialogo mentre dilaga l'offensiva del terrorismo islamico?
"Al contrario, l'offensiva in atto mi rafforza nelle mie convinzioni. Come le ho già detto, nel medio-lungo termine il dialogo con i moderati, è l'arma migliore contro l'estremismo. Questo, naturalmente, non ci impedisce oggi di contrastare con ogni possibile mezzo, ogni possibile attacco terrorista: à la guerre comme à la guerre".

In Italia ci sono delle moschee dove si propaganda la Jihad, intesa come Guerra santa, dove si esalta il "martirio" dei palestinesi che massacrano i civili israeliani, dove si pratica il takfir, la condanna di apostasia nei confronti dei musulmani che non condividono le tesi radicali e violente. Alcune moschee in Italia operano come centri di indottrinamento e arruolamento dei combattenti islamici. Pensa che sia giunto il momento di affrontare in modo più diretto e severo la realtà di queste moschee sovversive?
"Come le ho già detto, la linea del governo italiano sulla questione islamica interna ha due obiettivi da realizzare simultaneamente: il primo, dialogare costruttivamente con la stragrande maggioranza dei musulmani pacifici; il secondo, isolare gli estremisti e piegarli alla ragione con le buone o con le cattive maniere. Chi confonde la nostra disponibilità al dialogo con un atteggiamento debole e remissivo non ha capito nulla di questa politica. Lo ripeto per l'ennesima volta: nel medio-lungo periodo il dialogo con i moderati - si tratti di musulmani immigrati o di governi dell'area islamica - è l'arma più efficace contro l'integralismo. Per l'immediato voglio dirle chiaro e tondo che le moschee italiane devono essere totalmente liberate dai predicatori della violenza, dai reclutatori della "guerra santa" e dagli agenti di interessi stranieri nel nostro Paese. Su questo c'è la massima intesa con tutti i colleghi europei".

Avete delle proposte specifiche al riguardo?
"La legge sulla libertà di religione, ora all'esame del Parlamento, getterà le basi giuridiche per il riconoscimento di un "Islam italiano" e per garantire al meglio il normale svolgimento delle pratiche religiose. Ma l'Islam dovrà riconoscere e rispettare i nostri ordinamenti, la laicità dello Stato, il valore insostituibile delle istituzioni democratiche.".

Con chi ritenete potreste dar vita a una Consulta dei musulmani d'Italia? Il modello francese ha messo insieme le varie sigle dell'islamismo associativo. È questo il vostro orientamento? In Francia coloro che frequentano abitualmente le moschee rappresentano il 10% del totale dei musulmani. In Italia la stima è del 5%. Non pensa che si faccia un regalo agli integralisti consacrandoli a rappresentanti dell'insieme della comunità musulmana, che è nella stragrande maggioranza sostanzialmente laica?
"Condivido le sue stime. In effetti del milione di musulmani oggi presenti in Italia, solo 50 mila frequentano abitualmente le moschee e solo una parte di essi è esposta alla predicazione estremista. Tutti gli altri cercano soprattutto pane, lavoro e pacifica convivenza con i cittadini italiani. Vogliamo farci carico dei loro problemi e discuterne pacificamente con loro. Per questo penso alla costituzione di una Consulta Islamica presso il Ministero dell'Interno, che non avrà la pretesa di rappresentare democraticamente tutti i musulmani italiani, ma potrà dare voce ai loro problemi ed alle loro esigenze, anche in materia di pratiche religiose che fanno parte del loro abituale costume di vita (luoghi di culto dignitosi e sicuri, macellazione halal, assistenza religiosa negli ospedali, aree di sepoltura nei cimiteri). In definitiva, vogliamo che i musulmani italiani possano convivere pacificamente con la società civile, rispettare le istituzioni democratiche e costruirsi una esistenza dignitosa, tenendosi alla larga dalle tentazioni estremistiche".

Ci sono elementi per sostenere l'esistenza di un legame tra il terrorismo interno italiano e quello internazionale?
"Non c'è niente di preciso, fatti salvi occasionali contatti in carcere tra detenuti di entrambe le parti e taluni proclami, come quello della Lioce e di altri gruppi marxisti-leninisti, che evocano l'alleanza tra proletariato urbano e immigrati musulmani per la costituzione di un fronte comune antimperialista".

Dopo la sparatoria di Arezzo del 2 marzo, lei annunciò: "Siamo alla svolta". Come mai questa "svolta" non c'è ancora?
"La svolta c'è stata, anche se, per nostra fortuna, non se ne parla. Le indagini infatti hanno bisogno di silenzio e di rispetto rigoroso del segreto investigativo per procedere nel miglior modo possibile. Posso assicurarle che forze dell'ordine e magistratura lavorano bene, su piste importanti che ci porteranno a risultati importanti in tempi ragionevolmente brevi".

Quando dopo circa due ore ci lasciamo, ho l'impressione che Pisanu sia al tempo stesso determinato e rassegnato. Da un lato è consapevole che anche in Italia l'allerta deve essere massima. Il nostro Paese non è immune dal rischio del terrorismo globale islamico. Dall'altro sa bene che è praticamente impossibile garantirsi al cento per cento dagli attentati. Ma Pisanu è soprattutto un uomo fiducioso sul primato della politica. È convinto che alla fine le grandi scelte della politica prevarranno sui diktat del terrorismo. Le sue parole non lasciano dubbi: per l'Italia è suonata l'ora della grande sfida.

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