Da La Repubblica del 21/05/2003

Michail Bletsas, guru informatico del Mit: piccole violazioni sono accettabili e inevitabili

"Il rischio? Un Grande Fratello che raccolga tutti i dati sparsi"

di Riccardo Staglianò

ROMA — Il pericolo è nella concentrazione. Finché Amazon sa che libri legge il Signor X, Visa e Mastercard quali acquisti ha effettuato e Telepass le sue tratte abituali e queste informazioni rimangono, separate e ben custodite, nelle rispettive banche dati, non c’è troppo da preoccuparsi. Ma se le tessere sparse vengono riunificate in un archivio unico quello che ne risulterà sarà un identikit dettagliatissimo. Michail Bletsas, direttore del dipartimento di informatica al Media Lab del Massachusetts Institute of Technology, ha un approccio molto laico verso la privacy al tempo di internet: «Una dose di violazioni è inevitabile e accettabile. L’importante è che i dati sul nostro conto non finiscano tutti in mano a una sola persona o istituzione. Altrimenti diventa davvero pericoloso».

Pensa a qualcosa di specifico?
«Certo, penso al Total Information Awareness, il progetto dell’amministrazione Bush di mettere ogni dato personale dei cittadini di tutto il mondo in un singolo calderone dentro il quale frugare a piacimento. Facendo leva sulle paure post 11 settembre il neonato ministero della Homeland Security è riuscito a far saltare quelle salvaguardie che prima vigevano negli Stati Uniti presso i distinti titolari (Telecom, società di carte di credito, gestori di videocamere, etc.) nella conservazione e nell’uso di quegli stessi dati».

L’idea di “aggregare” i dati alletta sia aziende che Stati. Quali sono I rischi?
«La tecnologia che setaccia questi database in funzione anti-terrorismo (come succede con il Tia in Usa e potrebbe accadere domani in altri paesi) cercando parole chiave o indizi di comportamenti sospetti non è infallibile. E la quantità d’informazioni da passare in rassegna è mostruosa. Si verificherebbero
spessissimo “falsi positivi”, ovvero segnalazioni di persone ritenute potenziali criminali solo perché avevano un nome simile o abitavano vicino ai veri sospetti. Alla fine si scatenerebbe un’attività investigativa indiscriminata, tendenzialmente preventiva (un po’ come nei poliziotti”precog”di Minority report, ndr) e molto spesso inutile. Personalmente sono spaventato a morte dall’idea di una tale massa di dati nelle mani di un’agenzia unica».

Ma i cittadini sono consapevoli di essere spiati?
«Credo di no, e questo è uno dei problemi principali. Ci sono sempre pro e contro da soppesare. Se avessi un incidente sarei ben contento che chi mi soccorre con l’ambulanza possa avere subito accesso alla mia storia medica, magari conservata da qualche parte online. Viceversa non vorrei affatto che quei dati fossero consultabili dalle assicurazioni. La vita quotidiana offre una vasta casistica di questo bilanciamento di interessi. Io, ad esempio, ho un telepass in auto per pagare il pedaggio in automatico. Il vantaggio è che mi evita di andare in giro con un sacco di monetine, lo svantaggio è che monitora in continuazione i miei spostamenti. L’analisi costi-benefici, nel mio caso, è positiva. Ma per farla bisogna essere consapevoli».

Vanno solo avvertiti o anche protetti?
«L’una e l’altra cosa. Sul secondo versante l’Unione europea fa un lavoro assai migliore degli Stati Uniti. Voi non avete paura di legiferare mentre gli americani lasciano che il mercato si regoli da solo... e poi vanno a raccogliere le vittime. Entrambi gli approcci potrebbero migliorare se prendessero un po’l’uno dall’altro».

Si può dire che il web sia, dal punto di vista della privacy, terreno minato?
«Di certo su internet ogni azione lascia traccia. Se uno avesse parlato male, 10 anni fa, del suo futuro datore di lavoro oggi basterebbe una rapida ricerca su Google per ritrovare quell’imbarazzante dichiarazione. Ma anche qui la consapevolezza è il discrimine: basta sapere che esistono — ed eventualmente usare — software per rendersi anonimi e i rischi si riducono, sino a sparire».

Molti, in rete, cedono la loro riservatezza in cambio di servizi gratuiti...
«In questo senso la privacy diventa la nuova moneta di scambio. I poveri si sobbarcano il riempimento di lunghi questionari con tanto di numero di telefono e hobby per conquistarsi un indirizzo di posta elettronica gratuita. I ricchi, che possono permettersi di pagare, non sono tenuti a dire niente a nessuno». I proletari d’antan avevano solo i loro figli come patrimonio, quelli digitali mettono in gioco direttamente brandelli della loro biografia.

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