Da Il Sole 24 Ore del 21/05/2003

Lamy: niente rischi da super-euro

di Adriana Cerretelli

BRUXELLES - Il minidollaro non è per l'Europa quella iattura che molti paventano. Le tensioni euro-americane per ora non toccano il commercio per ragioni di interesse reciproco. E il Doha Round non è messo per niente male. Lo afferma in questa intervista al "Sole-24 Ore" Pascal Lamy. Il commissario Ue al Commercio stasera arriverà a Roma per incontrare il ministro degli Esteri Franco Frattini, il presidente di Confindustria Antonio D'Amato e forse anche il ministro dell'Economia Giulio Tremonti, anche in vista del semestre italiano di presidenza dell'Unione. Da quando è esplosa la crisi irachena "rien ne va plus" tra Stati Uniti ed Europa. Quasi non passa giorno senza nuovi attriti e molte punzecchiature. Non teme che i negoziati commerciali del Doha Round finiscano per diventare ostaggio di questo clima? No. Perché commercio, investimenti e relazioni economiche non sono stati contaminati dalla questione irachena. Come fa a esserne così certo? Per tre ragioni. Primo, le nostre economie sono talmente interdipendenti che la barca resta stabile anche quando soffia il vento. Ci sono quattro milioni di posti di lavoro americani che dipendono da imprese europee e viceversa. Metà della flotta delle compagnie aerea europee è fatta da Boeing e metà di quella americana da Airbus, che non sono acquistati per cortesia ma per motivi di business, investimenti, divisione internazionale del lavoro. Ogni giorno tra le due sponde dell'Atlantico ci sono scambi per un miliardo di euro. Il sistema è ben zavorrato. Le altre ragioni? In fatto di politica commerciale l'Europa è un blocco, ben diversamente da quello che è in politica estera e di sicurezza. Quindi pesa quanto gli Stati Uniti. Infine? C'è una politica implicita che tende a distinguere tra problemi geo-strategici e problemi commerciali, bilaterali o multilaterali che siano. Non a caso 15 giorni fa all'Ocse ci siamo messi d'accordo con gli Stati Uniti per spingere, in vista dell'appuntamento di Cancun in settembre, il Doha Round mettendo sul tavolo la stessa lista di argomenti da discutere. Del resto non solo Europa e Usa restano gli sponsor del Round ma non ci sono stati segni di disimpegno unilaterale da parte americana. E nemmeno da parte europea. C'è chi vede nel dollaro debole la miccia di una guerra monetaria transatlantica, che metterà ulteriormente alle corde l'economia europea dalla crescita già stentatissima. Il dollaro debole non è stata una sorpresa per nessuno. Quando l'euro era debole dicevamo che era un problema, ora che è forte diciamo che è il dollaro che è debole. Personalmente non credo a una grande macchinazione che indurrebbe gli americani a far scendere il dollaro per mettere in difficoltà gli europei. Perché? Perché il dollaro basso crea loro problemi sul fronte dell'inflazione e dei tassi. Anche se è vero che nel medio termine gli Stati Uniti si sono indebitati quando il dollaro era alto e hanno rimborsato quando era basso. Questo oggi non è più possibile. Da due anni gli economisti prevedevano un dollaro più basso e un euro più forte, complici i loro deficit giganteschi e un tasso di risparmio basso. Non sarà la congiura del mini-dollaro, però l'impatto sull'economia europea rischia di farsi sentire. O no? Per non più del 10%. Perché l'economia europea è stata desensibilizzata al dollaro basso. Dobbiamo smetterla di ragionare secondo vecchi schemi mentali che si sono formati quando avevamo monete nazionali e il cambio del dollaro aveva un impatto del 30% sul nostro interscambio. Oggi non è più così. Davvero fine delle preoccupazioni su questo fronte? Ripeto, i due terzi della nostra economia è vaccinata ma non lo sono ancora le nostre teste. Non che l'andamento dei tassi di cambio non sia importante, però lo è tre volte meno di quanto lo fosse soltanto dieci anni fa. È vero che il dollaro basso ha un impatto sulla competitività delle nostre esportazioni, però ci consente di importare energia meno cara e l'energia entra nel nostro export. È anche vero che non tutte le economia dell'euro sono egualmente sensibili al dollaro. Quella tedesca lo è più delle altre. Comunque mi sembra normale che il dollaro scenda con il mega-deficit commerciale che si porta dietro. Gli americani hanno minacciato di punire la Francia per la posizione che ha preso sul conflitto iracheno... Seguiamo con attenzione l'evoluzione delle cose, ma per ora non vedo nulla di significativo. C'è stata qualche gesticolazione nel Congresso americano. Ancora una volta, non sono cose con le quali si gioca alla leggera. Ci sono grossi interessi dietro, posti di lavoro, azionisti, salariati. Non siamo nel settore dei gesti diplomatici, dove un comunicato cambia le cose. Però c'è in Europa chi sostiene che questa amministrazione americana non è come le altre, è molto ideologizzata, e visto che l'Europa non ha voluto seguirla in Irak... Non direi Europa in questo caso, perché non c'è l'Europa. D'altra parte la riprogrammazione della politica esterna americana all'insegna del pensiero neo-conservatore non include il commercio perché non è nell'interesse degli Stati Uniti, Che hanno bisogna di un'economia competitiva e aperta, di una disciplina internazionale. Quindi la Wto è nel loro interesse. Quindi il commercio per lei resta una sorta di isola felice? Diciamo che è un continente per il momento sfuggito alle tensioni, ma restiamo all'erta. C'è un pessimismo diffuso sulle prospettive di Cancun. È d'accordo? No. È il solito pessimismo ginevrino. In questi 18 mesi dal lancio del Round abbiamo fatto dieci volte più strada di quanto non era stata fatta a Punta del Este. Ci sono 140 Paesi che partecipano, 20 dossier da dirimere e la scadenza di fine 2004. Vedremo a Cancun se la rispetteremo o no. Non si può comunque dire che non siano stati fatti progressi. Se tra Stati Uniti ed Europa c'è una certa intesa, i Paesi del Terzo Mondo appaiono sul piede di guerra. Non le sembra? I Paesi in via di sviluppo devono rendersi conto che dentro il Round ci sono cose di grande interesse per loro. Forse in giugno ci sarà l'accordo sulla riforma agricola europea. Basterà a Usa, Australia, Brasile, Paesi emergenti? Se ci sarà, ci darà un credito negoziale che sarebbe stupido non usare. Peccato che la riforma si faccia sotto la pressione di Cancun e che gli altri vedano così fin troppo bene le nostre carte. Ma non basterà per il futuro, perché non c'è lo zucchero. Quali sono gli scogli negoziali più difficili per l'Europa? Uno riguarda le indicazioni geografiche che hanno una certa protezione nel testo attuale della Wto ma l'attuazione è troppo complicata. Non sarà facile semplificarla. Tessile? Sarà più difficile per gli americani che per noi. Oggi l'Europa è il maggiore esportatore mondiale, anche se è vero che importiamo molto. Però non siamo a caccia di T-shirt da esportare ma di moda e valore aggiunto. Quindi c'è spazio per fare accordi che accontentino tutti.

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