Da La Repubblica del 10/04/2003
Originale su http://www.repubblica.it/online/esteri/iraqattaccoventiquattro/zucconi...

In attesa del V-Day

di Vittorio Zucconi

NEL GROVIGLIO di emozioni che scorrono nella mattina del grande sollievo, l'immagine della Storia sarà per sempre l'impiccagione simbolica del colosso vuoto di Bagdad. Ma è un'altra inquadratura che ci racconta la storia di questa guerra e ci ricorda perché continuiamo a sentirci un po' americani, anche in questo loro tempo così prepotente e arcigno.

È la scena di sette fanti della Terza Divisione, ancora con elmetto e giubbotto di kevlar addosso, seduti sul cordolo di cemento di una mezzeria stradale accanto alla piazza conquistata, esausti, senza le armi a braccio, quasi poggiati l'uno all'altro, ragazzi che un bambino piccolo in canottiera passa e sfiora uno per uno, come per sincerarsi che siano veri e umani come lui. Torneremo, quando Bush e i suoi ideologhi avranno finalmente il coraggio di proclamare il V-Day anche senza l'esecuzione pubblica di quel Saddam che Bush tanto gradirebbe, a dibattere di strategia e di futuro, per questa operazione militare che sembra finita ieri e comincia soltanto domani.

Ma l'America dei fanti stracchi, senza retorica e senza arroganza, ci dice che nonostante i neo conservatori e i post atlantici che oggi spadroneggiano, questo rimane un popolo profondamente non militarista. Un'America ancora di cittadini e non di caste prussiane. Poiché la vittoria ha sempre molti padri, molti hanno già cominciato a sgomitarsi per attribuirsi il "ve l'avevo detto", a cominciare da quel Donald Rumsfeld che ha ritrovato ieri tutta la sua boria dopo lo spavento dell'avanzata insabbiata.

L'imminente "victory speech" di Bush ci dirà se questo presidente che aveva promesso una politica estera "saggia, umile e prudente", saprà gestire con saggezza, umiltà e prudenza il suo momento di gloria e il popolo sconfitto che da ieri gli appartiene. Ma il vero vincitore è lui, il soldato, o la soldatessa, che si è sorbito una marcia di 500 chilometri in 20 giorni, che ha "succhiato sabbia", come dicono nel gergo dei reparti, notte e giorno, che ha dormito nell'interno dei blindati Bradley per il trasporto truppe dove il condizionamento d'aria, racconta il sergente Frank Aquillo del Rhode Island, è "un portello aperto", che non ha mangiato un pasto caldo per tre settimane.

Questi uomini e queste donne, a volte riservisti, come 173 mila dei 350 mila in campo, hanno confermato che sotto le tecnologie e le brochures dei fornitori di armi, anche nel 2003 la vittoria arriva soltanto quando un soldato entra nella città nemica e si accampa nelle sue piazze. Il piano del generale Franks, la corsa a Bagdad, la classica "blitzkrieg" ispirata alle tattiche del maresciallo Guderian, ha funzionato perché una piccola forza combattente, non più di 145 mila uomini in una nazione grande una volta e mezza l'Italia, ha mangiato sabbia a chili, senza mai fermarsi.

Chi ha il timore che la vertigine del trionfo militare possa dare alla testa di Bush e dei suoi falchi che oggi volano altissimi, può ascoltare le invariabili dichiarazioni fatte finalmente senza timore di prendersi un cicchettone come si è preso il marine che ha coperto la faccia del Saddam di bronzo con una bandiera Usa, dimenticando gli ordini del servizio guerra psicologica. "Voglio una doccia, quel carro era diventato una fogna", (carrista del Settimo cavalleria, III Divisione), "Non voglio più neanche vedere una spiaggia" (Lance Corporal, della Forza Rapida dei marines), "Sono contento di avere liberato questa povera gente, ma io non ricordo più la faccia di mio figlio" (sergente della Military Police, 101esima divisione, poliziotto nel Bronx e in Iraq da 16 mesi). "Non avevo mai ammazzato nessuno e non mi sono divertito a far saltare i carri irakeni con chi c'era dentro" (pilota di F 16, nella vita civile impiegato della Delta Airlines).

E senza dimenticare Jessica, la prigioniera, che si era arruolata in fanteria a 18 anni per potersi permettere di studiare da maestra, un privilegio che evidentemente il sistema scolastico di una potenza che spende 474 miliardi di dollari l'anno per le armi non le poteva concedere gratis. Le voci dei cittadini soldati dicono che sono loro il limite alle tentazioni e alle ideologie che si intravvedono dietro il successo della spedizione punitiva contro Saddam e quelle, per ora fantomatiche, armi di distruzione di massa.

L'immensa superiorità delle armate americane non sta soltanto nei loro congegni, ma nella convinzione e nella motivazione civile dei militari che si sono spinti fino a quel surreale piazzale Loreto di Bagdad, senza che nessun "zampolit", commissario politico sovietico, li spingesse. Ma proprio loro sono il freno democratico alle prepotenze e alle dottrine imperiose, perché senza la libera disponibilità al sacrificio in cambio di un salario da cameriere, le bombe "intelligenti" non avrebbero mai demolito il regime.

Saddam e i suoi orridi cloni sono spariti, chissà dove e fino a quando, soltanto quando il soldato Johnny è arrivato in piazza con la sua stanchezza mortale. Lui, e lei, sono stati l'arma segreta della presa di Bagdad e sono la promessa (la speranza?) che neppure l'America di Bush e del suo maresciallo Rumsfeld diventi mai la Prussia di Federico il Grande.

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