Da La Repubblica del 25/03/2003
Originale su http://www.repubblica.it/online/esteri/iraqattaccosei/zucconi/zucconi.html

E' una corsa contro il tempo

di Vittorio Zucconi

NIENTE di nuovo, sul fronte orientale. Si combatte, si muore, si aggiungono altri prigionieri, i due elicotteristi esibiti dalla tv irachena. La novità è qui, sul fronte occidentale. Si comincia a sentirla nelle voci che la raccontano, nelle immagini che passano sugli schermi. Al sesto giorno, la guerra ha cambiato segno. Non è più questione di invasione giusta o di guerra sbagliata, ma è un brivido che si riassume nelle due parole con le quali il New York Times titola il suo editoriale dopo il "giorno orribile" dei rovesci e dei prigionieri: questa è una "New War". Una guerra nuova.
Una nuova guerra vuol dire una guerra lunga e viene riesumato dallo sgabuzzino dove era stato messo in castigo dopo la figuraccia all'Onu anche Colin Powell, il vecchio generale che si era opposto a questa strategia del "blitzkrieg" su Bagdad. "Ci attendono giorni duri. A mano a mano che ci avviciniamo, le forze nemiche si comprimono e diventa più facile difendersi".

Il network Fox di Rupert Murdoch porta in studio il suo generale in pensione per buttare lì che la guerra durerà un mese, e che per schiodare Saddam da Bagdad serviranno "dai cinque ai sette giorni". Addio "cake walk", passeggiata per la torta, che la retorica preinvasione aveva accreditato e che, un po' tardi, un po' troppo timidamente, Bush sta ora cercando di contrastare. "Ma chi ha mai detto che sarebbe stata breve?", scatta il portavoce Fleischer, nel capannello informale coi reporter del mattino presto alla Casa Bianca. "Sottolineare i progressi e ammonire che la battaglia dura deve ancora venire", è scritto nella velina dei talking points della Casa Bianca per chi va ai talk show in tv. "Evitare eccessivo pietismo per i caduti e in prigionieri", fa sapere il dipartimento della Difesa ai comandanti.

Nella base da dove erano partiti i 5 meccanici caduti in mani irachene, una conferenza stampa annunciata per commiserarli viene cancellata dal Pentagono. E il videotape raccapricciante di quei morti, non passa e non passerà. Neppure il più catastrofista osa pensare che l'invasione possa impantanarsi a Bagdad e ora Washington si culla nella certezza che se anche Saddam avesse quelle famose e introvabili armi devastanti, i generali non ubbidiranno all'ordine di usarle. Tutte le guerre hanno una formidabile capacità di trasformare i sogni della vigilia nella realtà del campo di battaglia. In queste ore si capisce un po' meglio perché il vecchio Bush, consigliato proprio dal generale Powell, rinunciò alla marcia sulla capitale. Sembrava un timido. Forse era un saggio.

Ci sono le prime indicazioni, dalla Cnn, dalla Abc, persino dalla Fox di Murdoch, che i sondaggi cominciano a cedere dopo l'euforia e l'esaltazione del "si parte". Nella cultura del microonde, una campagna militare che dura una settimana, contro le 72 ore della liberazione del Kuwait, sembra già la guerra dei 100 anni. Dal podio della "Disneywar" o della "Hollywar", come alcuni reporter americani hanno già ribattezzato il fantastico centro stampa del Central Command nel Qatar, l'altissimo e grifagno comandante in capo, Franks, risponde brusco e nervoso ai giornalisti che vorrebbero fargli dire che la marcia verso Bagdad non è poi così trionfale, ed esalta "le drammatiche avanzate" verso la capitale ormai stretta nella tenaglia. Ma non smentisce le notizie che raccontano di una squadrone intero di elicotteri Apache Longbow, 30 dei più moderni, che deve ritirarsi dopo averne perduti due e di dover combattere per il controllo di cittadinE e paesi già dati per presi, località dai nomi ignoti fino a ieri, Umm Kasr, Bassora, Faw, Nassiriya, Nayaf, che rischiano di diventare celebri come Anzio o Bastogne. Irritato, seccato, Franks deve sgonfiare anche la grancassa della "fabbrica d'armi chimiche" trovata dalle avanguardie. Non c'era nessuna arma chimica.

Una "New War" è cominciata. Una guerra vera. "Invece di folle festanti - scrive il New York Times - cominciamo a vedere civili che sono in realtà guerriglieri e soldati travestiti per imboscate micidiali, mentre intere zone dell'Iraq del sud che ci davano per sicure tre giorni fa ancora vedono combattimenti accaniti. La guerra vera è appena cominciata". Sono scatti di nervi e di pessimismo, certamente, di impazienza o di semplice realismo dopo le telemarcette intonate dai reporter "embedded", messi a letto con i reparti.

Anche loro, da quando piovono proiettili sulla parata, hanno la voce quieta e affannata. Di colpo, il "casinò di Wall Street" come lo chiamava Ben Bradlee il direttore del Washington Post, ora punta anch'esso, crollando nei listini, sulla "lunga guerra", sulle brutte notizie.

Non è pensabile che Saddam possa vincere questa guerra, certamente non nel senso di respingere l'invasione e spuntare dalle sue topaie blindate per annunciare il trionfo. Ma l'implacabile equazione di tutti gli scontri impari fra i colossi e i nani scatta ancora una volta. Il regime, Saddam, non hanno bisogno di vincere, devono soltanto sopravvivere un altro giorno, un'altra ora, come i Vietminh e i Vietcong, come Aidid a Mogadiscio, come Milosevic a Belgrado, come i rottami dei Taliban e di Al Qaeda. Ogni giorno senza cadere è un trionfo.

C'era stata troppa fretta di proclamare vittoria, come se la velocità della vittoria fosse la conferma che la guerra era giusta. La propaganda ha anch'essa la sua doppia lama e oggi fa male a chi la brandiva. Dire che Tareq Aziz è morto, quando è vivo, che Saddam è stato portato via in barella, quando non è vero, che l'Iraq ha lanciato missili Scud proibiti, quando non è vero, che radio e tv di Stato sono state zittite, quando non è vero, sono boomerang psicologici, come la Casa Bianca ha capito benissimo. "È solo la fase iniziale", "la guerra sarà lunga e dura", "avevo avvertito che ci sarebbero stati sacrifici" ripete adesso George W. Bush per cercare d'invertire a suo favore la spirale psicologica delle aspettative. Se avvertiamo che la guerra sarà lunga, e tra una settimana Bagdad cade, sembrerà un trionfo. Esattamente come sembra una sconfitta il fatto che al sesto giorno ancora la capitolazione non sia venuta.

Si alzano le prime voci che criticano la strategia di Rumsfeld e del generale Franks, il "mad dash", la corsa pazza verso Bagdad lasciandosi alle spalle sacche di resistenza, come fece l'ammiraglio Nimitz nel Pacifico quando scavalcava le isole occupate, per correre verso il cuore del nemico, il Giappone. L'analista militare del Washington Post, Tom Ricks scrive che forse questa nuova tattica molto pubblicizzata dello "shock and awe", di rintronare e terrorizzare il nemico, non abbia funzionato. La guerra, anche nell'epoca dei missili astuti, si vince "quando i miei soldati fanno la guardia al tuo palazzo", diceva Eisenhower.

Spunta, nei briefing del Pentagono, un'altra parola che fa accaponare la pelle: "guerriglia". "Non sono più regolari, questi, sono fedayn" dice Franks, guerriglieri, con il disprezzo dell'alto ufficiale per gli irregolari in ciabatte e kafya. "Abbiamo informazioni che truppe irachene si sono travestite da giornalisti e si fingono tali per infiltrarsi tra le truppe", ammonisce la portavoce del Pentagono. Pur non essendo chiarissimo quale sarebbe "il travestimento da giornalista", il sospetto è che i brandelli delle divisioni che s'arrendono si trasformino in guerriglieri. "Avvertiamo i corrispondenti al fronte di restare dentro le unità alle quali sono stati assegnati, per la loro sicurezza". E per evitare qualche notizia non autorizzata.

E' cominciata una corsa a distanza, tra le truppe che marciano su Bagdad e gli umori degli americani a casa, tra il fronte orientale e il fronte interno. E l'America non è l'Italia, dove la colpa può sempre essere scaricata su un altro governo, anche se Bill Kristol, direttore di un settimanale di Murdoch, va alla tv di Murdoch, la Fox, per dire che "queste difficoltà sono il risultato dei tagli alla difesa fatti da Clinton". Questa è la guerra di Bush. E sarà dunque la vittoria o la sconfitta di Bush.

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