Da La Stampa del 25/03/2003

Diario Arabo

Perchè Baghdad esibisce gli americani catturati

di Igor Man

INDIGNAZIONE, stupore, pietà, maledizioni; è un fiume di e-mail eccetera quello che inonda il mio tavolo di lavoro: «Perché, come mai questa vergognosa ostentazione dei prigionieri americani da parte degli iracheni... E costoro sarebbero i musulmani tolleranti...
Vergogna». Il Vecchio Cronista che di guerre ne ha fatte tante (armato solo di biro e taccuino) confessa d’aver ricevuto un cazzotto in bocca alla vista di quelle immagini. Gli occhi, il tremore, la voce incerta, il sospetto, il timore, la paura: antico logo di tutte le guerre, la sintesi dell’Urlo di Munch. Poveri figliuoli, ‘sti soldati americani privati non soltanto della libertà ma, soprattutto della dignità. (E quelli morti? Come non pensare alle Fosse Ardeatine, di cui proprio il 23 di marzo cadeva l’anniversario, uno sull’altro, a mucchio?). Nell’islàm i doveri verso l’ospite e il prigioniero sono identici a quelli riservati agli orfani. Infatti nella Sura (capitolo) IX (del Corano), al versetto cinque, si legge: «Se i prigionieri si convertiranno, lasciateli tranquilli». Attenzione: il convertirsi non comporta obbligatoriamente l’abbracciare la religione maomettana. Convertirsi, nel caso specifico, vuol dire rassegnarsi.

Di più: «O Profeta - recita il Corano - dì ai prigionieri: se Dio scorgerà nel cuore vostro buone cose vi darà in cambio cose migliori di quelle che vi sono state tolte e vi prenderà con Lui. Dio è indulgente, clemente, misericordioso» (VIII, 70). Ancora: nel diciannovesimo secolo l’Emiro Abd el Kader, colui che Napoleone III intendeva far nominare Imperatore degli Arabi, si privava del proprio cibo per nutrire i prigionieri. Altri tempi, si dirà: certamente, oggi l’islàm non è più quella cultura (in senso sociale) che fu, non fosse altro perché è cambiata anche la cultura dell’Altro. Esibendo i prigionieri americani, terrorizzandoli, gli iracheni li hanno «convertiti». Non voglio giustificarli, coloro che han tanto orribilmente mortificato i cinque americani, ma va detto come sia nella tradizione musulmana il «vantarsi del bottino, l’esibirlo». Gli ostaggi, al contrario, sono stati sempre usati, nell’islàm, ma non esibiti: e infatti dopo l’ignobile cattura degli impiegati dell’Ambasciata americana, a Teheran, una volta sola ce li fecero vedere, bendati, nel giardino del «nido di spie». Una volta sola perché Khomeini rimproverò ai suoi «studenti» «scarsa pietà e nulla sensibilità politica». Khomeini tuttavia violò la Convenzione di Ginevra, lui che predicava giustizia e accusava il Grande Satana di nequizie. Come la violarono (in diversa misura) gli inglesi in India infliggendo ai prigionieri italiani che rifiutavano Badoglio (quelli del campo 23) non un trattamento infame ma «diverso». E in Texas? Quanti soldati tedeschi non sono morti nei campi alleati, diciamo, «per incuria» dei loro democratici sorveglianti? Nessuno, tuttavia, si obbietterà, ha umiliato i prigionieri in tal miserabile modo. Non è così: i vietnamiti hanno umiliato i G.I. prigionieri e Cesare per umiliarli faceva sfilare i prigionieri dietro il carro del vincitore, insultati dalla plebe. «E’ giusto indignarsi, non vale stupirsi». La guerra è lurida: in ogni tempo, sotto tutti i cieli. Loro, gli iracheni, esibendo i cinque prigionieri sapevano di realizzare «una grossa operazione di immagine» (come già nel ‘91). Cinicamente han tenuto conto della scissione mentale araba (l’apparenza - il fatto), e, lucidamente, della «sofferenza etica» di noi occidentali. Esibendo i prigionieri gli iracheni hanno adrenalizzato le masse arabe dimostrando che gli americani sono uomini non supermen. Last but non least han colpito alla bocca dello stomaco l’America materializzando il fantasma del Vietnam, e l’undici di settembre. Ma tutto ciò non pagherà. Recita il Corano: «Temete Dio perché Egli è attento nel tenere i suoi conti» (V, 4).

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