Da La Stampa del 21/03/2003

Diario arabo

Dodici anni dopo la Storia riprende dal Tiranno graziato

di Igor Man

RICOMINCIAMO da dove - dodici anni fa - abbiamo concluso questa rubrica: da Saddam. Allora venne risparmiato, dopo una caccia accanita. Adesso la caccia al tristo (walid) è ripresa e sembra che l’attacco-non-attacco, insomma la prima mossa, prologo all’iradiddio, mirasse a catturare il Tiranno. Mancato per un soffio, come al solito, ancorché, pare, ferito. Dodici anni fa, dunque: grazie ad apparecchiature da fantascienza, gli Americani individuarono il vero Saddam (ha sempre avuto almeno nove sosia), il rifugio dove s’era intanato e stavano per incenerirlo quando giunse l’alt: direttamente dal generale Schwarzkopf.

Bush s’apprestava a proclamare, unilateralmente, il cessafuoco, lui, il vincitore: non era mai successo nella Storia; sicché bisognava graziare Saddam Hussein. Di più: come ha rivelato l’altra sera a «Porta a Porta» il generale Arpino, al momento di firmare l’inopinato cessafuoco, un generale iracheno obiettò a Schwarzkopf che sarebbe stato impossibile far giungere viveri, medicine eccetera alla popolazione civile poiché il Paese era un cratere. Se gli Americani volevano veramente aiutare il popolo iracheno, bisognava lasciare a Saddam l’uso degli elicotteri. Un generale saudita, presente all’incontro, disse qualcosa, in arabo: e nessuno capì. Gli Alleati concessero la restituzione degli elicotteri sebbene il saudita gridasse «attenzione, sono armati»; ma lo disse in arabo, «non c’era traduttore, nessuno capì».

La Storia, la Grande Storia è condita anche di accadimenti grotteschi, come quello. Si vuole che il generale italiano, spedito da Badoglio a Cassibile per «trattare» l’armistizio (invero una resa senza condizioni) non fosse affatto padrone della lingua inglese. Ma perché Bush Senior, il vincitore, fermò le ostilità così salvando il Tiranno? Qualcuno ha scritto che il presidente resosi conto che non era stato pianificato il «dopo-Saddam» e dunque temendo un vuoto nella regione, gravido di nefaste conseguenze, preferì il male minore, l’acciaccato Saddam convinto ch’egli non sarebbe, infine, sfuggito alla resa dei conti in seno al Partito Baas. Invece Saddam la sfangò e quegli elicotteri gli servirono, qualche anno dopo, per massacrare i curdi e gli sciiti incitati a rivoltarsi proprio dagli Usa. Io, a suo tempo, avanzai una tesi, definita «corretta» prima dal sovietico Primakov, successivamente dallo stesso Gorbaciov. Nella notte fatale, Gorbaciov telefonò a Bush dicendogli d’essere, in fatto, «ostaggio dell’Armata Rossa».

L’allora potentissma Armata, che aveva costruito l’Iraq postmoderno, «non poteva subire l’insulto: i marines a Baghdad». Sicché, se Bush voleva salvare Gorbaciov affinché il loro progetto di pacifica e feconda convivenza prendesse corpo, assicurando al mondo un avvenire di pace e di benessere, altro non doveva fare se non fermare le sue truppe, già a 80 miglia da Baghdad. Adesso è diverso, non c’è più l’Urss, e Putin non è Gorbaciov il visionario-positivo, come lo definiva George Baker, né ci sono in vista scenari incoraggianti poiché su tutto e tutti s’allunga l’ombra del mostro che sta cambiando la nostra vita: il terrorismo. C’è chi crede che questa guerra fortissimamente voluta da Bush figlio darà una mazzata agli uomini di mano di Al Qaeda. C’è chi sostiene il contrario, temendo che questa guerra inneschi una nuova spirale terroristica, devastante. Recita il Corano: «Sia che l’invochiate come Allah, o come Al Rahmàn, il Misericordioso, comunque lo invochiate, a Lui appartengono i vostri destini» (XVII,110).

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