Da La Repubblica del 21/03/2003
Originale su http://www.repubblica.it/online/esteri/iraqattaccodue/zucconi/zucconi.html

La campagna choc e terrore

di Vittorio Zucconi

COME è già vecchia, la faccia di questa guerra neonata, la prima guerra del XXI secolo. Siamo appena al secondo giorno dell'invasione "per disarmare Saddam" e lo scenario di sempre si dispiega in tutta la sua desolante verità, i quartieri in fiamme nelle nove città bombardate ieri notte, i duelli di artiglieria, le bugie della propaganda, le colonne in marcia nella polvere, i primi morti, quattro soldati iracheni, le avanguardie dei marines arrivate ad appena 50 chilometri da Bassora e dai suoi pozzi in fiamme, senza resistenza. Vediamo Bagdad bruciare per la seconda notte, nella caccia a distanza di Saddam Hussein inseguito dal "piccolo Bush", come lo chiama lui. Ma il piccolo Bush dalla Casa Bianca finge che tutto sia normale, business as usual, che lui abbia consumato il mattino di guerra discutendo di pensioni per garantire, con le armi e con le leggi, "la sicurezza dell'America". Non ci crede nessuno.

Eppure ormai è guerra vera, laggiù. Le colonne corazzate della prima Forza di Spedizione dei marines hanno già occupato un porto e sono in marcia verso Bassora, nel Sud, e dunque l'invasione è in atto. I missili e le bombe piovute su Bagdad sono raddoppiati in due notti, 72 ieri, 43 nella prima notte; e, infallibile come il fumo dalle rovine, si alza l'immancabile nebbia della verità, Saddam è morto, no, è morto suo figlio Qusay, no, è vivo ma fa parlare i sosia, è vivo ma ferito. I generali si innervosiscono per la valanga di notizie false che volano dalle radio alle tv ai giornali e dal Pentagono si rialza l'antico avvertimento di Rumsfeld a ufficiali americani e a giornalisti: "disciplina e riservatezza". Taci, il nemico ti ascolta. Non abbiamo ancora visto niente e già ci sembra di avere visto tutto.

È guerra vera eppure non lo è ancora, perché queste prime 48 ore di bombe e la marcia verso la presa di Bassora, sono soltanto l'ouverture del dramma, l'assaggio di quello che il segretario alla Difesa Rumsfeld ci ha descritto ieri, entusiasticamente, come "un bombardamento di una violenza e intensità quale il mondo non ha mai visto per scioccare e terrorizzare". Mai visto? Peggio di Coventry, di Londra, di Dresda, di Hiroshima, di Berlino, di Tokyo? Quale bombardamento il mondo non ha mai visto prima?
"Shock and awe", sarà il suo obbiettivo, scioccare e sconvolgere. Guerra psicologica, per ora. Poi, Armageddon.

Tutto vuole sembrare nuovo e tutto è già sentito e già visto. Quattro pozzi ardono nelle paludi di Bassora sopra il più grande cimitero di dinosauri decomposti al mondo, il giacimento di Ramihilya, uno degli obbiettivi della "liberazione" dell'Iraq, come in Kuwait nel '91. Da quel rottamaio che è ormai l'esercito iracheno, quello che 12 anni or sono la propaganda alleata ci aveva descritto come una colossale macchina da guerra che si sfasciò in tre giorni, partono salve alla cieca di missili in direzione del Kuwait, che non sono neppure Scud, che sarebbero proibiti, ma catorci di altro tipo che cascano direttamente in mare, si disintegrano in volo, se centrano il bersaglio lo fanno per caso o vengono abbattuti, almeno in un caso, dai missili cacciatori, i Patriots.

I soldati americani indossano in gran fretta le tute e le maschere "nbc", anti nucleare, biologico e chimico, ma non ci sono finora tracce di gas, in quei ferrivecchi; e tutti si domandano se Saddam le abbia davvero queste "armi di distruzione di massa" che siamo andati a distruggere con un'armada colossale e se le ha, che cosa aspetti a usarle, essendo quell'Hitler sanguinario, quel mostro senza coscienza che va eliminato a ogni costo per rendere il mondo migliore. Sarebbe un problema militare grave, se le avesse. Sarebbe un problema politico serio, per Bush, se non le avesse.

Non si capisce bene neppure che cosa abbia spinto Bush e i suoi generali a questo attacco anticipato, cominciato nella notte di mercoledì, e non di giovedì, come avevano chiesto i militari; e perché, poi, con questo bombardamento che già sembra massiccio, ma sarà una puntura di vespa, rispetto all'operazione "shock e terrore" in arrivo. La versione ufficiale indica che sarebbe stata la Cia con il suo direttore Tenet, uno che Bush sopporta ma non ama, a dire che le loro spie avevano individuato Saddam, quello vero, tra i nove doppelganger, i sosia, e sarebbe stata "un'opportunità preziosa" per eliminarlo, anzi "per decapitarlo" come piace dire a questa presidenza molto affezionata al patibolo. Ma i veri piani di guerra, non le bugie disseminate sui giornali e nelle tv dagli specialisti della disinformatsija americana, non li conosce nessuno.

È fuori di dubbio soltanto, dopo questo antipasto, che l'obbiettivo resta Saddam Hussein: tagliare la testa a lui e ai suoi figli è la vittoria che il figlio di George Bush cerca disperatamente, per non ripetere la tragica commedia della caccia a Osama e della fuga in motorino del Mullah Omar.

Devastare una nazione, conventrizzare Bagdad per farsi sfuggire il raìs sarebbe una sconfitta propagandistica enorme. E la scompagnata coalizione di "chi ci sta", di "chi ci sta ma sta a guardare" come l'Italia, di "chi ci sta ma preferisce non dire che ci sta", come gli altri regimi arabi della regione, si sfalderebbe. Ma proprio nella personalizzazione della guerra - Bush contro Saddam -, più che nell'arsenale di rottami iracheni, è il vero, temibilissimo nemico.

Ogni giorno nel quale lo "Hitler della Mesopotamia" resta vivo, è un giorno di vittoria per un personaggio che vuole soltanto sopravvivere e portare l'America impaziente, delle vittorie instant, al limite della pazienza, come ha detto alla tv in quell'allucinato discorso Saddam stesso o uno dei suoi impersonatori. Il tassametro della guerra ha cominciato a scattare alle 5 del mattino di ieri e ogni giorno senza "vittoria" va sul conto di Bush, non di un Saddam che tutti sanno e indicano per finito.

Ogni giorno senza risultati trionfali, e senza la testa decapitata di Hussein, porta la guerra americana con la compagnia dei non belligeranti su una strada che i meno giovani vedono riaprirsi con un brivido di orrore. Sempre più bombe, sempre più colonne in marcia, sempre più vittime, sempre più costi. Una guerra "a rate", passo per passo, sulla strada di una parola che sembrava sepolta nel cimitero delle tragedie del XX secolo, la via della escalation.

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