Da La Stampa del 20/03/2003

Saddamiana

Satrapie e dittature

Due modi di interpretare i regimi del terrore

di Mimmo Candito

LE riunioni di gabinetto che la tv di Baghdad ci mostra con costanza hanno facce e modi da funerale. I ministri stanno tutti seri, rigidi nelle loro uniformi di panno spesso, sembrano bloccati dal terrore; e ne hanno motivo. Qualche tempo fa Saddam, che è uno che va per le spicce, ha tirato fuori la pistola durante una seduta del consiglio e ha ammazzato - lì, sul posto - un suo ministro.

«Stava complottando contro di me», ha detto tranquillo, riponendo l'arma nella fondina. In quelle riunioni è l'unico che sorrida. Stalin, se avesse avuto la televisione, non si sarebbe mostrato molto diverso; nei filmati in bianco e nero sopravvissuti al disgelo e a Kruscev, il dittatore georgiano sorride sempre, e sempre i cortigiani che gli stanno d'attorno se ne stanno distanti, rigidi, impauriti dal «piccolo padre».

Baghdad o Mosca, quelli sono i modi e le forme delle satrapìe orientali. I dittatori che invece l'Occidente ama non sorridono mai, sono troppo occupati a parlare di Cristo e di civiltà da salvare. La misura dell'apprezzamento verso i dittatori è data comunque dal tornaconto, sempre. Quando al Presidente Roosevelt un funzionario del Dipartimento di Stato disse che, però, quel Somoza dittatore del Nicaragua non era indossabile, che era proprio «un figlio di puttana», l'antenato di Bush gli rispose: «Si ricordi che però è il "nostro" figlio di puttana».

Saddam ha fatto parte della stessa categoria d'appartenenza, fin che è servito a fermare l'espansione della rivoluzione khomeinista; ora è tornato a essere soltanto un satrapo orientale. E la «notizia» che intanto aveva fatto fuori Tarek Aziz è parsa subito credibile. Però non era vera. Saddam resta comunque «un figlio di puttana». Ma prepariamoci a leggerne delle belle, la guerra dell'informazione è già partita.

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