Da Il Messaggero del 19/03/2003
Originale su http://ilmessaggero.caltanet.it/hermes/20030319/01_NAZIONALE/1/EMIL.htm

Il dittatore venderà cara la pelle

di Marcella Emiliani

NELLA TESTA di Saddam: quanti vorrebbero entrarci in questo momento cruciale nella storia dell’Iraq, del Medio Oriente e forse del mondo intero. Basterebbe che si facesse da parte e la tensione insopportabile di questa vigilia di guerra si smorzerebbe. Ma Saddam non ragiona in termini di stabilità internazionale e neanche di ragionevolezza, per come la intendiamo noi, “cani dell’Occidente". Anche se si rende conto che questa volta per lui non ci sono prove d’appello, è intenzionato ad arrivare fino in fondo nella sua sfida agli Stati Uniti e a tutto quel “mondo di infedeli" che — con la guerra — vuole umiliare lui, il valoroso popolo iracheno e l’intera galassia araba. E’ suo radicato parere che Allah abbia una predilezione particolare per gli arabi, un amore che si è spinto al punto da regalare agli stessi arabi il petrolio perché lo trasformassero in uno strumento della loro e della Sua grandezza, uno strumento di potere e di ricatto contro i nemici del mondo arabo-musulmano. Già punito con l’embargo proprio sulle esportazioni di greggio, la sua ultima furia potrebbe scatenarsi proprio contro gli impianti di estrazione in Iraq, in una riedizione apocalittica di quanto ordinò di fare ai suoi militari in ritirata dal Kuwait nel 1991.
Nel fumo nero e acre dei pozzi trasformati in immense torce si consumerebbe così la vendetta del novello Sansone contro i nuovi filistei. Già da vivo Saddam si è incensato come dio di un empireo pasticciato in cui convivono la divinità sumera Tammuz, il grande re legislatore Hammurabi, il terribile Nabucodonosor di Babilonia che nel VI secolo avanti Cristo distrusse il primo Tempio di Gerusalemme, il “feroce" Saladino che inflisse la peggiore sconfitta ai crociati e persino Hussein, il nipote di Maometto che nel 680 dopo Cristo venne ucciso a Kerbala — proprio in Iraq — ed è venerato come il primo martire-fondatore dell’Islam sciita. L’uomo in altre parole aspira all’eternità in un pantheon mesopotamico, arabo e islamico; la sua uscita di scena dunque dovrà esser degna del monumento che si è già costruito da solo in vita. Non gli basterà la semplice ribalta irachena; in vista della fine punterà a far sollevare le masse dei paesi arabi contro i “regimi empi e imbelli" che non hanno saputo resistere alle pressioni americane. Probabilmente darà in pasto alle truppe d’assalto Usa il solito esercito straccione per trincerarsi con la fida Guardia repubblicana in postazioni strategiche, da cui tentare una resistenza estrema, confidando che nel frattempo l’intero Medio Oriente si infiammi nel suo nome e in quello di Allah contro “gli aggressori". E confida anche sulla pressione che l’opinione pubblica in Occidente potrà esercitare sui propri governi: mai in vita sua deve aver goduto come alla vista delle migliaia di persone scese in piazza in tutto il mondo contro “la guerra degli americani". Saddam insomma sembra proprio intenzionato a vendere cara la pelle e quella dei suoi sei sosia che lo sostituiscono da anni anche nelle cerimonie ufficiali. Pochi possono avvicinarsi quel tanto che serve a notare l’unico indizio inequivocabile di trovarsi di fronte all’originale: un leggero tic alla palpebra sinistra che sarebbe il segno lasciato — pare — da un vecchio ictus.
Diverso il discorso sull’uso delle armi di distruzione di massa: dalla fantapolitica si passa alle minacce vere. Per quanto abbia deciso di collaborare con gli ispettori Onu — tardi e sempre incalzato dai tamburi di guerra — non è davvero nel suo stile distruggere gli unici strumenti con cui infliggere il massimo dei danni ai nemici, siano essi le truppe americane, Israele o la sempre odiata Arabia Saudita. Alle condizioni atmosferiche giuste, una testata con armi chimiche o biologiche fa più morti di una mini-atomica. A lui che per anni ha esibito alle telecamere di tutto il mondo il calvario dei civili iracheni sofferenti per l’embargo, della sorte dei propri concittadini o dei civili di altri paesi poco importa: sono solo polvere sociologica di fronte alla sua imperitura grandezza.

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