Da Corriere della Sera del 18/03/2003

L’America costretta a evitare il voto Onu

Ritirata la nuova risoluzione. Parigi: la maggioranza era per le ispezioni. Annan: attacco di dubbia legalità

di Ennio Caretto

WASHINGTON - L'America subisce all'Onu una delle sue più gravi umiliazioni politiche e diplomatiche: dopo una sola ora di consultazioni al Consiglio di Sicurezza, ritira la risoluzione contro l'Iraq presentata assieme alla Spagna e alla Gran Bretagna per evitare di essere sconfitta al voto. Ma è una mossa che suggella il suo passaggio dalla diplomazia alla forza, in sfida al Palazzo di Vetro e all’opinione pubblica mondiale, e che prelude a una guerra in pochissimi giorni. Il segretario generale dell'Onu Kofi Annan, che ancora sperava in una soluzione pacifica della crisi, ordina l'immediata evacuazione degli ispettori e degli altri suoi funzionari dall'Iraq, mettendo in dubbio la legalità di un attacco unilaterale angloamericano: «Va contro lo statuto delle Nazioni Unite». Annan depreca l’inflessibilità di Washington, e s'impegna ad alleviare la catastrofe umanitaria che potrebbe esplodere.


L'OPPOSIZIONE - A differenza di Annan, il partito della pace - Francia, Russia, Germania e Cina - non si arrende. Ha pronta una risposta al vertice anglo-ispano-americano di domenica alle Azzorre e al rullo dei tamburi di guerra di Bush. Dichiara che la stragrande maggioranza dei membri del Consiglio «è contro le armi» e lo convoca per domani, per la presentazione del rapporto sul disarmo iracheno del capo ispettore Hans Blix e del direttore della Aiea (l'agenzia internazionale per l'energia atomica) Mohammed ElBaradei. Chiede che siano presenti i ministri degli Esteri. E' un tentativo di riaffermare l'autorità dell'Onu se non di fermare Bush. Ma l'America, sempre più arcigna, non esclude di boicottarlo.


LO SCONTRO - Si apre sulla scia di una notte di continue telefonate fra i governi. L'ambasciatore britannico Jeremy Greenstock chiede invano il «sì» del Consiglio alla risoluzione. Una rapida conta informale gli conferma che arriverebbe al massimo a sei voti, anziché ai richiesti nove. «Ci ritiriamo, ma ci riserviamo di prendere le nostre misure per il disarmo di Bagdad», proclama Greenstock. L'ambasciatore americano John Negroponte accusa la Francia: «Il voto era incerto, ma era inutile provarci, Parigi avrebbe messo il veto».
Il collega francese Jean-Marc de la Sablière lo smentisce: «La realtà è che il Consiglio non legittima l'uso della forza mentre le ispezioni producono risultati». Commenta l'ambasciatore iracheno Mohammed al Douri: «Siamo alla guerra, la morte e la distruzione per entrambi».


L'AMERICA - La sua è una svolta irreversibile. Dopo oltre sei mesi, dal discorso di Bush il 13 settembre del 2002 al Palazzo di Vetro di New York, l’America imbocca una strada senza ritorno. Lo evidenzia il segretario di Stato Colin Powell, l'unico membro della amministrazione a volere il placet dell'Onu.
Amareggiato e stanco, Powell dichiara che «la finestra diplomatica si è chiusa» e Saddam Hussein «ha perso l'unica occasione», e conferma che il conflitto è imminente. Il segretario di Stato racconta di avere invano telefonato ai ministri degli Esteri francese, russo e tedesco, Villepin Ivanov e Fischer, e ad altri nelle ultime ore. Anche lui accusa la Francia: «Sa benissimo che l'Iraq ha armi di distruzione di massa». Ma sostiene che la seconda risoluzione non era necessaria: «Siamo autorizzati dalle precedenti all'azione militare». E assicura che gli Usa recupereranno il rapporto con l'Onu.


LA RUSSIA - Non lascia sola la Francia, che tramite Villepin ribadisce la centralità dell'Onu, «l'unico che può dare legittimità», nella crisi irachena, e si rammarica che l'America, la Gran Bretagna e la Spagna non si adeguino «alla volontà della comunità internazionale, così chiaramente espressa. Il presidente russo Putin dice che c'è ancora tempo per «una soluzione politica» e definisce la condotta americana «un errore». La guerra, insiste, «non causerà solo perdite umane, destabilizzerà anche la sicurezza mondiale». Il suo ministro degli Esteri Ivanov rielabora il concetto espresso da Kofi Annan: «Il ricorso alla forza con l'Iraq non ha basi legali in nessuna risoluzione dell'Onu».

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