Da L'Espresso del 17/10/2006
Originale su http://espresso.repubblica.it/dettaglio/Quel%20peccato%20%C3%A8%20un%2...

Quel peccato è un nostro diritto

Chiedono che sia rispettata la volontà di ognuno a decidere quando la propria vita non merita più di essere vissuta. E non ci si divida in schieramenti più opportunisti che religiosi. La parola agli opinion maker
Scegliere quando porre fine a una vita che non si ritiene più degna di essere vissuta: è un diritto o un peccato mortale? Basta una legge sul testamento biologico o un paese laico e maturo deve poter legiferare sul suicidio assistito? Ecco come la pensano gli intellettuali italiani.

CARLO BERNARDINI, fisico all'Università di Roma La Sapienza: "Sarebbe quantomeno necessario depenalizzare l'eutanasia come avviene in altri paesi, dove rimane un reato sulla carta, ma di fatto il medico non viene perseguito. Sono assolutamente favorevole, comunque, alla proposta di un testamento biologico".

REMO BODEI, filosofo alle università di Pisa e della California a Los Angeles: "È una questione molto delicata che non si presta a nessun referendum. Penso, comunque, che in presenza di un consenso (anche preventivo) dell'interessato e di un parere di medici e psicologi che accerti l'ineluttabilità del suo destino, l'eutanasia passiva potrebbe essere considerata lecita".

LUIGI LUCA CAVALLI SFORZA, genetista della Stanford University: "Ognuno di noi ha diritto a disporre della propria vita, fino a quando questo non danneggia gli altri. Quindi sono favorevole all'eutanasia. Certo servirebbero sistemi di controllo rigorosi per evitare errori, e resterebbe sempre la possibilità di abusi. Ma è un prezzo da pagare per garantire i diritti".

GILBERTO CORBELLINI, bioeticista all'Università di Roma La Sapienza: "Sarei favorevole alla legalizzazione di una qualche forma di suicidio medicalmente assistito. In Italia siamo alle soglie di una legge sul testamento biologico: è un buon inizio se si toglie ai medici la discrezionalità su quanto ha lasciato scritto il paziente, e quindi la possibilità di rifiutarsi di eseguirlo. E se si tiene bene conto del fatto che idratazione e alimentazione artificiali sono trattamenti terapeutici a tutti gli effetti, e quindi il paziente li può rifiutare".

MARIO FALCONI, segretario nazionale dei Medici di medicina generale: "Sono contrario all'accanimento terapeutico, ma non dico sì all'eutanasia. Se il testamento biologico fosse stato previsto dalla nostra legislazione ora non ci troveremmo a parlare di eutanasia e del caso Welby. Una decisione come questa va presa nella massima lucidità e nel pieno delle facoltà attraverso un testamento biologico, piuttosto che in una situazione di precarietà".

PAOLO FLORES D'ARCAIS, filosofo e direttore di 'Micromega': "A chi appartiene la tua vita? A Dio, risponderà qualcuno, ma è una risposta che non può avere forza di legge, può governare le scelte del credente, non del cittadino scettico e dell'ateo. E a quale Dio, del resto? Il Dio cristiano dei valdesi, in determinate circostanze, ammette l'eutanasia. A parlare in nome di un Dio è sempre un uomo, infatti. Dunque, la tua vita appartiene a te, oppure a un altro uomo. Ma in questo caso sarebbe schiavitù. Poiché la tua vita appartiene a te, solo a te spetta decidere quando e come porvi fine. È un diritto personale inalienabile, che fonda ogni altro diritto e senza il quale ogni altro diritto può essere revocato in dubbio".

MASSIMILIANO FUKSAS, architetto: "Vorrei una legge con un solo articolo: la persona che si trovi in condizioni in cui ritiene che la sua vita non è più vita ha il diritto di scegliere se continuare o morire. E quando non è in grado lei stessa di decidere, la decisione va delegata alla famiglia. Ogni altro intervento legislativo sarebbe invasivo. E anche l'idea del testamento biologico non mi convince: io non posso sapere cosa succederà e cosa desidererò in futuro".

RICCARDO DI SEGNI, rabbino capo di Roma: "La legge ebraica non consente in alcun modo di procurare o accelerare il decesso. Il testamento biologico per la nostra legge è consentito, ma non può lasciare istruzioni per togliere la vita. Il soggetto può però pretendere di non soffrire, quindi chiedere la somministrazione di farmaci anche se questi dovessero in qualche modo accelerare il decesso".

SILVIO GARATTINI, direttore dell'Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri: "Non sono favorevole all'eutanasia: è una discussione prematura se prima non si fa in modo che i malati abbiano tutti le giuste cure. Certo, va riconosciuto però che l'accanimento terapeutico se non è giustificato nei casi singoli, può esserlo nell'ambito di progetti di ricerca più vasti. Senza accanimento terapeutico, non avremmo i trapianti di organi o la dialisi. Penso sia opportuno accordarsi sul testamento biologico, se è un modo con cui un paziente dichiara di non volere terapie aggiuntive. Un conto è dire 'voglio essere ucciso' e un conto è dire 'non voglio determinate terapie in caso di malattia'".

SERGIO GIVONE, professore di estetica all'Università di Firenze: "Siamo di fronte a una strana alleanza tra cultura tecnocratica e cultura religiosa cattolica, entrambe cercano la sopravvivenza a tutti i costi. Ma la cultura cattolica possiede almeno un senso della sofferenza del morente, che è estraneo alla tecnica, interessata soltanto al buon funzionamento dell'apparato. Mentre è alla sofferenza che deve essere riportato il dibattito sull'eutanasia: molti malati chiedono di soffrire di meno anche se questo implica un conseguente abbreviamento della vita. Non ho dubbi: l'ultima parola spetta alla coscienza individuale, all'io che soffre, al mortale".

BEPPE GRILLO, attore: "Viviamo in un paese in cui non è consentito decidere neanche dove morire, figuriamoci se mi aspetto un dibattito serio sulla libertà di morire. Vedo molta ipocrisia intorno a questi temi, perché l'eutanasia è una pratica molto diffusa, è una pratica del buon senso decisa di accordo tra medici e parenti. Io sono favorevole a lasciare gli individui liberi di decidere. Quello che proprio non voglio è che la televisione si approprii di questi temi. Adesso avremo un'irrispettosa overdose di malati in tv. Bisogna staccare la spina alla televisione, di questo sono certo".

MARGHERITA HACK, astronoma all'Università di Trieste: "Sono favorevole all'eutanasia passiva in primo luogo, quindi alla sospensione delle cure quando non c'è più speranza, ma anche a quella attiva. Ciascuno deve essere padrone di se stesso. Deve poter disporre della propria vita e della propria morte. Se avessi una persona cara in condizione di dover chiedere l'eutanasia, rischierei la prigione pur di consentirglielo".

GIORGIO LAMBERTENGHI DELILIERS, presidente dell'Associazione medici cattolici di Milano: "I medici cattolici ribadiscono la libertà di intervento dell'operatore sanitario a tutela della salvaguardia della vita umana, e che mai dovrà essere permesso un omicidio medicalmente assistito. Tutto questo non deve riflettersi in un accanimento terapeutico. Mi auguro che nel dibattito parlamentare venga chiarito su quali interventi il paziente ha libertà di azione, e su quali al contrario il medico ha l'ultima parola, come nel caso di alimentazione e idratazione. Se ciò non fosse si arriverebbe a una situazione di eutanasia mascherata".

RITA LEVI MONTALCINI, premio Nobel per la medicina: "Il testamento biologico è una scelta di dignità. Chiedere di morire quando la sofferenza e la decadenza fisica ci sottraggono la lucidità mentale è giusto. Naturalmente esiste un limite che è relativo alla scelta individuale, possiamo scegliere per noi stessi la pratica dell'eutanasia, mai per un altro essere umano".

AMOS LUZZATTO, medico ed ex presidente dell'Unione delle comunità ebraiche italiane: "Questa discussione non ci sarebbe nemmeno se la nostra società non avesse il terrore della morte. Sul merito: ho serie difficoltà a considerare l'accanimento terapeutico meno crudele dello staccare la spina. Si può danneggiare qualcuno sia agendo, che astenendosi dall'agire. L'autorità sulla propria vita deve rimanere fino a che è possibile al soggetto stesso. Il vero problema sorge quando è necessario investire qualcun altro della decisione sulla propria vita".

SEBASTIANO MAFFETTONE, filosofo all'Università Luiss di Roma: "Due sono i punti del dibattito su cui c'è accordo: che l'eutanasia sia un percorso di morte, e che la vita sia una valore da difendere. Le spaccature nascono quando si è di fronte a situazioni di 'quasi non vita': si può accelerare la morte? Non credo che l'eutanasia, già molto diffusa quando si limita esclusivamente ad accelerare di poche ore, al massimo di pochi giorni, un processo ormai non reversibile, e il testamento biologico generino enormi problemi sul piano filosofico e etico. Il vero problema è posto dal suicidio assistito. Personalmente immagino delle situazioni in cui vorrei poter ricorrere al suicidio assistito, ma allo stesso tempo credo che qui si annidino questioni per molti versi indecidibili; per esempio: si può obbligare un medico a dare la morte?".

GIACOMO MARRAMAO, filosofo all'Università di Roma Tre: "Eutanasia è una parola terribile, fa pensare ai rischi di una società in cui la tecnoscienza decide anche quale sia la soglia della vita e della morte. E a temerlo sono anch'io, un laico radicale. Ma il dissidio vero è tra fautori della qualità della vita e fautori della sacralità della vita. E a volte sono questi ultimi, spesso senza rendersene conto, a calpestare la dignità della vita divenendo disumani. La vita non è sacra, la vita è un diritto inalienabile della persona. Ma per vita occorre intendere una vita vestita di dignità, di prerogative. Il diritto a una piena vita implica anche il diritto del singolo di dire 'quella che sto vivendo non è vera vita'".

SILVIO MONFARDINI, oncologo e presidente dell'Associazione italiana oncologia della terza età: "Per i malati di cancro l'eutanasia è un falso problema: il tumore in fase avanzata, se non è più controllato dalla chemioterapia e progredisce, arriva esso stesso a produrre la morte. Il vero problema è quello di decidere sino a quando insistere con i trattamenti di supporto come alimentazione, idratazione e respirazione artificiali. Può essere molto difficile riuscire a capire la volontà del paziente. Per questo un testamento biologico compilato precedentemente dal paziente stesso sarebbe fondamentale".

MONI OVADIA, attore: "Il diritto alla vita è un valore universale, non religioso ma laico, e dovrebbe implicare il diritto a riconoscere vita quella che si sta vivendo. Laddove la vita diventa calvario, una persona cosciente ha tutto il diritto di non considerare più la propria vita degna di essere vissuta e decidere di porvi fine. Imporre a qualcuno di continuare a vivere in quello che egli considera un inferno mi sembra una forma di crudeltà senza limiti".

NICOLA PIOVANI, musicista premio Oscar: "Il rispetto per la vita non dovrebbe essere un principio astratto, e mai prescindere dal rispetto per l'essere vivente. Onorare le ultime volontà di chi rifiuta l'accanimento terapeutico è un dovere civile, oltre che un gesto profondamente cristiano".

PIERGIORGIO ODIFREDDI, matematico alle università di Torino e Cornell: "Sulle scelte politiche, le questioni religiose vanno semplicemente lasciate fuori. I credenti sono ovviamente liberissimi di fare quello che vogliono, ma non hanno il diritto di imporre agli altri le proprie scelte. Se loro ritengono che la loro vita appartenga a qualcun altro, bene, la affidino pure al loro padrone. Ma per un laico il padrone della propria vita è l'individuo stesso. L'istinto di sopravvivenza è un istinto primario, e se una persona decide di voler morire non lo farà certo con leggerezza. Che questo non debba essere permesso solo perché qualcuno legge dei libri di 2000 anni fa provenienti dal Medioriente è inaccettabile".


A cura di Nicola Nosengo e Cinzia Sciuto. hanno collaborato Tiziana Moriconi e Roberta Pizzolante

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