Da L'Unità del 24/11/2006
Originale su http://www.unita.it/view.asp?IDcontent=61299

Digital divide, quando la rete divide

di Luigina D'Emilio

«Se il governo non prepara un progetto globale per il superamento del divario digitale (la disparità esistente nell'accesso alle nuove tecnologie) e non lo realizza nell´arco dei prossimi due-tre anni il nostro Paese avrà seri problemi di competitività e di crescita nel campo delle new techonlogy». L´allarme è stato lanciato dal ministro delle comunicazioni Paolo Gentiloni nell´ambito del convegno: Comunicazioni che uniscono e reti che dividono, lo sviluppo della larga banda, tra multimedialità e digital divide. «In un Paese come il nostro dove il digital divide è una realtà più che un rischio per oltre il 10% della popolazione questo fenomeno non si può e non si deve sottovalutare», spiega il ministro.

Proviamo a fare i conti perché, se a qualcuno questa percentuale sembra esigua è bene sapere che quel 10% si traduce in oltre 4000 Comuni, la metà dei comuni del nostro Paese, che non sono coperti da nessun servizio e dove la banda larga non è neanche in progetto. Eppure, dati alla mano, la diffusione della banda larga sta procedendo a ritmi sostenuti trainata dalla crescente richiesta di servizi ad elevato contenuto multimediale, sopratutto di intrattenimento, ma anche di pubblica utilità e didattici. Il problema è che in un ottica di puro mercato l´offerta di infrastrutture e di servizi tende a concentrarsi in aree a maggiore densità abitativa, che possono garantire più traffico.

Qual è la conseguenza diretta? In assenza di azioni mirate e incentivi adeguati, che una parte significativa del territorio nazionale, e quindi della popolazione che lo abita, possa essere tagliata fuori. In un circolo vizioso, non si può neanche appiattire l´offerta o ritardare lo sviluppo solo per limitare il rischio di questa discriminazione. Eppure si sa che le imprese ragionano solo in termini di profitto, quindi come consentire uno sviluppo equilibrato a tutti i livelli?

Le risposte così come le proposte che emergono dal convegno sono tante e diverse. Tutti gli addetti ai lavori sono concordi nell´affermare che è lo Stato deve farsi promotore della domanda cercando di capire quali sono i servizi che gli utenti richiedono e come distribuirli. La condizione attuale non è delle più promettenti perché mancano anche le infrastrutture più elementari che per essere costruite necessitano di investimenti importanti che non arrivano ne dal pubblico ne dal privato eppure la tecnologia abilitante per eliminare o almeno arginare il divario digitale sembra esistere già e porta il nome di Wi-max ( una tecnologia wireless conforme agli standard che fornisce connessioni a banda larga su lunghe distanze e che può essere utilizzata per diverse applicazioni).

Ed è proprio qui che lo Stato deve mettersi in gioco, senza sostituirsi alle imprese, ma pilotando la domanda e facendosi diretto promotore del Wi-max . Un esempio è l´iniziativa portata avanti per realizzare la rete del Mugello in provincia di Firenze. Il progetto è frutto di una gara pubblica: il bando ha stabilito la realizzazione della rete da parte dell´operatore assegnatario dell´appalto. La rete, di proprietà della Pubblica Amministrazione (P.A.), è stata poi assegnata nella gestione all´operatore stesso che diviene quindi il beneficiario dei guadagni derivanti dai servizi. Questo è un caso in cui la sinergia tra pubblico e privato funziona perfettamente: la P.A. promuove la rete e i servizi e l´operatore ha il suo profitto, quindi è incoraggiato ad investire.

C´è la possibilità però che certi esempi rimangano casi isolati perché, anche se l´Authority per le comunicazioni ha avviato una consultazione pubblica sulla Wi-Max per assegnare le licenze il prima possibile, c´è ancora una trattativa in atto con il ministero della difesa che attualmente utilizza le frequenze destinate proprio al wi-max. I militari chiedono infatti una cifra tra i 400 e i 500 milioni di euro per traslocare su un'altra banda di frequenza i loro apparati che operano su quelle frequenze, in gran parte radar.

Eppure in Italia gli investimenti previsti per lo sviluppo del wi-max ammonterebero a cinquecento milioni di euro. Se si optasse per le reti tradizionali, cioè per il cablaggio la cifra aumenterebbe di dieci volte. E anche il ritorno in termini di investimenti vedrebbe dei tempi dieci volte più lunghi.

Il risparmio ci sarebbe anche nella realizzazione di una rete wi-max che richiederebbe due anni e permetterebbe l´accesso anche ad operatori che non sono in grado di affrontare investimenti cospicui. Ma quando e se il wi-max diventerà una realtà, la funzione dello stato sarà strategica perché se non si farà promotore della domanda, le aziende assegnatarie della licenza andranno ad investire in aree più redditizie. Automaticamente ci sarebbe un peggioramento del digital divide: da una parte zone che usufruiscono della banda larghissima, dall´altra paesi in situazioni sempre più critiche. Una disparità che diventerebbe insanabile con conseguenze sempre più pesanti per lo sviluppo tecnologico del Paese.

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