Da Peace Reporter del 25/09/2006
Originale su http://www.peacereporter.net/dettaglio_articolo.php?idpa=&idc=6&am...

Turismo senza memoria

Il Tpi emette la condanna definitiva per l'assedio di Dubrovnik, ma la città vuole dimenticare la guerra

di Christian Elia

“Scusi, lei sa chi è Pavle Strugar?”. Sarebbe interessante porre questa domanda alle centinaia di migliaia di persone che, ogni giorno, affollano Dubrovnik, passeggiando beate tra gli sfavillanti negozi e gli affollati bar dello Stradun lastricato, la via centrale della Stari Grad, la città vecchia, dopo aver attraversato la maestosa porta Pile.


LA PERLA DELL'ADRIATICO

La sensazione, guardando i turisti (scaricati ogni giorno per un tour dalle crociere che solcano il Mediterraneo) indaffarati a fare fotografie o a incolonnarsi per vedere il monumento di turno, è che sarebbero pochi quelli in grado di rispondere. Ma forse, anche tra gli stessi abitanti di Dubro, soprattutto tra i più giovani, qualcuno preferirebbe far finta di niente, parlare d'altro. Perché qui la gente cerca di dimenticare, come se ormai il passato andasse per sempre sepolto sotto una montagna di scontrini emessi per i turisti stranieri. Pavle Strugar comandava, nel 1991, il settore di Dubrovnik per l'esercito della Jugoslavia. In quei giorni, l'orologio della storia si era messo a correre in fretta nei Balcani. La Croazia e la Slovenia, aiutate dal Vaticano e dalla Germania, avevano unilateralmente dichiarato la propria indipendenza dalla Federazione jugoslava e Belgrado aveva comandato all'Esercito Popolare Jugoslavo, che doveva essere l'esercito di tutti, di reagire a quella che veniva considerata una secessione. Strugar comandò ai suoi uomini di assediare Dubrovnik. Militari regolari, coadiuvati da milizie paramilitari, tennero per tre lunghi mesi ‘la perla dell'Adriatico' sotto scacco. Bombardavano senza pietà la città, incendiavano i villaggi attorno a Dubro, uccidevano e saccheggiavano. La situazione era così drammatica, che gli stessi media di Stato serbi, come il quotidiano Politik, parlarono di " barbarie a Dubrovnik". Quando è finita, nel dicembre 1991, i soldati sono ripartiti, lasciando alle loro spalle un disastro e dopo aver avidamente saccheggiato gli stessi negozi e musei che oggi i turisti visitano estasiati.


CONDANNA DEFINITIVA

Alla fine della guerra, quando è nato il Tribunale per i crimini nella ex-Jugoslavia, confluito successivamente nel Tribunale Penale Internazionale all'Aja, Strugar venne ritenuto il principale responsabile dell'assedio e delle violenze e processato come criminale di guerra. Il 18 settembre scorso, Strugar è stato condannato a 8 anni di prigione per “non aver fatto nulla per fermare l'attacco quando invece avrebbe potuto farlo”. E' passata quindi la tesi dei giudici di primo grado, per i quali Strugar non ha ordinato il bombardamento della città. Sia la difesa del generale, sia l'accusa dell'Aja volevano presentare ricorso: la prima per veder cancellate le accuse, la seconda per ottenere una condanna del generale come responsabile dell'assedio. Alla fine ha prevalso il pragmatismo, il procuratore e l'avvocato difensore hanno preferito accordarsi. Il procuratore ha deciso di ritirare il ricorso contro la sentenza di primo grado per “straordinari motivi umanitari, considerata l'età avanzata dell'accusato e le sue condizioni di salute”. E' più probabile che il procuratore si sia reso conto di non poter dimostrare la responsabilità diretta di Strugar nella decisone di porre Dubrovnik sotto assedio. La difesa, per contro, ha preferito incassare una responsabilità non diretta ed evitare così al suo assistito una condanna più dura. La sentenza di primo grado è diventata così definitiva, mettendo una pietra sopra l'assedio di Dubrovnik.


UNA MEMORIA SCOMODA

Ma cosa resta in città del periodo della guerra? Quanti sono ancora i segni del conflitto? Dubrovnik, in questo senso, ha avuto un decorso post-bellico totalmente differente dal resto della Croazia e dell'ex-Jugoslavia in generale. Riconosciuta dall'Unesco patrimonio dell'umanità, un esempio unico di cittadella dalmata medievale giunta intatta ai giorni nostri, Dubrovnik ferita suscitò la commozione e la solidarietà di tutto il mondo. I fondi per la ricostruzione e il supporto tecnico per ripristinare i danni arrecati dalle bombe giunsero immediatamente dopo il conflitto. Un esempio: una delle meraviglie di Dubrovnik era rappresentata dalle tegole rosse che ricoprivano i tetti della città vecchia. Da tutto il mondo si attivarono per recuperare i materiali originari per ricostruire le tegole e sostituire quelle distrutte. Mentre andava avanti il ripristino delle bellezze artistiche, i tour operator del mondo si davano da fare per la rinascita turistica della città.

“E' bello vedere la città piena di gente, ma così rischiamo di perdere l'anima”. Valon ha 65 anni ed è kosovaro. Ha sposato una donna di Dubrovnik e, dalla metà degli anni Settanta, passa in città 4 mesi all'anno. “Quest'anno siamo andati in pensione”, racconta Valon, “abbiamo investito tutti i nostri risparmi per costruire un altro pezzo di casa, in modo da poter affittare le camere ai turisti”.

Come Valon, altre centinaia di persone a Dubrovnik vivono attorno al business del turismo e quasi tutti, aldilà dei grandi alberghi, con la stessa modalità: o aprono un bar ristorante, oppure allargano la casa per farla diventare un bed and breakfast. “Si guadagna bene, ma adesso stiamo esagerando. Tutta la città è un cantiere e poi il turismo delle crociere è il più deleterio – commenta Valon – arrivano migliaia di persone che, in poco tempo, si riversano nella città vecchia. Un impatto eccessivo, e poi cosa riescono a vedere in così poco tempo? Di corsa fanno il giro dei monumenti e scappano via, senza contribuire allo sviluppo del turismo in città”.

Le lamentele di Valon sembrano eccessive, però, almeno a giudicare dal numero crescente di cantieri che occupa la città, dove pare che ognuno costruisca case su case per ospitare i turisti.

“E' vero, alla fine si lavora tutti”, risponde Valon, “ma a me farebbe piacere che la gente si fermasse a riflettere, a pensare. Su quello che è stato. Sono il primo che è contento dello sviluppo di Dubro, di vederla tornata agli splendori del passato. Ma non possiamo far finta di niente…c'è stata una guerra, è morta tanta gente innocente. Non dobbiamo cancellare tutto, per impedire che le guerre ci siano bisogna sempre dimostrare che portano morte e distruzione. Se la gente arriva, gira i monumenti, e poi scappa via, non riuscirà mai a entrare in sintonia con Dubro e la sua storia. E questo mi spiace”.


SCHEGGE DEL PASSATO

Il monumento ufficiale ai caduti della guerra è posto nelle vicinanze del magnifico palazzo del Rettore, in centro. Una teoria di foto dei caduti, tutti in difesa della città dagli assedianti, una mostra permanente delle foto di Dubrovnik distrutta e un video che racconta quei giorni sono tutto quel che resta, almeno a livello ufficiale, del conflitto. Sembra una specie di spazio sospeso dal resto della città, decontestualizzato e imprigionato in un tempo parallelo che mai si incrocerà con la vita che brulica frenetica nelle strade appena fuori dalla porta del mausoleo. I negozi sono stracolmi, come i monumenti e i bar, mentre il memoriale è lì, più obbligato che necessario, più di circostanza che sentito.

Molto più suggestivo è il War Photo Limited, uno studio fotografico che a ciclo continuo organizza mostre di fotografi di guerra che, in un allestimento sopraffino, convivono con un ciclo permanente delle foto più celebri con le quali i grandi fotoreporter di guerra hanno raccontato i principali conflitti contemporanei. Il museo, gestito dal neozelandese Wade Goddart, si trova a pochi metri di distanza dalla Stradun, in una viuzza parallela, segnalata solo da un telone rosso che a ogni angolo di strada indica le cose da vedere, tra bar, musei e monumenti. Con discrezione, quasi sottovoce. All'interno la guerra ti assale con tutta la sua ferocia e la banalità del male, con un unico filo rosso che unisce gli scatti della Cecenia, dei Balcani, Iraq, Palestina e così via: la morte.

Fuori la vita continua, la gente si diverte; né il museo delle foto di guerra né il memoriale sembrano arrecare troppo disturbo ai crocieristi.


L'ULTIMO BALUARDO DELLA MEMORIA

“Per me e per i veri abitanti di Dubrovnik è un altro il posto dove c'è la memoria della guerra, e là non ci va mai nessuno. Bisogna che qualcuno ti ci porti, se arrivi in città, e i tour organizzati non prevedono una gita fin lassù”, dice Valon indicando la vetta delle colline che circondano Dubrovnick. Valon si offre come autista e, dopo una ventina di minuti di strada, tornante dopo tornante, si arriva in cima, in un bosco magnifico, accolti dal cartello ‘Bosanka'. “Questa zona si chiama così perché, storicamente, era abitata dai bosniaci. Non è vero che ci siamo sempre odiati…un tempo vivevamo in pace. Le tensioni, le diversità non sono mai mancate, ma il macello degli anni Novanta non se l'aspettava nessuno”. Valon guida sicuro fino a uno spiazzo. La vista è bella da togliere il fiato, con la baia di Dubrovnik che si stende ai piedi del visitatore. “Qui è bello, ma è da dentro che si ammira la vista migliore”, racconta Valon, muovendosi in fretta verso l'interno di una struttura enorme e completamente distrutta, annerita da un incendio che pare ancora non essere stato domato. La differenza con il resto della città è enorme: travi sconnesse, cumuli di macerie, sporcizia e distruzione. Qui sembra che la guerra non sia mai finita. “Qui c'era il ristorante italiano, qui quello francese”, dice Valon, indicando dei locali interni alla struttura enorme, completamente distrutta, “qui c'era una bella discoteca, dove io e mia moglie venivamo a ballare”. Tutto è stato raso al suolo dall'artiglieria che bombardava la città, anche perché qui c'era l'antenna televisiva, ed è stato uno dei bersagli preferiti dei combattimenti. Dopo un lungo giro all'interno, si sbuca grazie a una scala che sta in piedi per scommessa, sul tetto dell'edificio e Valon ha ragione: la vista è ancora più bella.

Strano, viene da pensare, che non sia stato ricostruito anche qua, magari con un belvedere dove portare i turisti.

“I fondi, per il momento, sono finiti”, risponde Valon, “ma prima o poi ricostruiranno anche qua. E un po' mi spiacerà…la gente deve sapere cos'è accaduto. Non credo che le città debbano rimanere in rovina, ma per me qui non potrà mai più essere come prima. Quando è finita la guerra ho voluto portare mia moglie qui, dove ci siamo conosciuti e dove ci siamo promessi l'uno all'altra. Appena arrivati qui siamo scoppiati a piangere. No, anche se ricostruiscono tutto, non potrà mai essere come prima. Ma mi rendo conto anche io che questo non interessa un crocierista”.

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