Da La Stampa del 11/09/2006
L'anniversario il discorso del presidente con un occhio ai sondaggi, che lo danno stagnante attorno al 30 per cento, e l'altro alle elezioni di novembre
11 settembre, Bush apre i giorni del ricordo
Ha deposto in silenzio una corona di fiori a Ground Zero. E stasera parlerà in televisione
di Paolo Mastrolilli
NEW YORK. Il rito del ricordo è cominciato ieri pomeriggio, quando il presidente Bush ha deposto una corona a Ground Zero. Ma lo ha fatto in silenzio, sperando di tenere separate le emozioni dell'11 settembre dalla disputa politica sulla guerra al terrorismo, che tornerà al centro della scena quando stasera parlerà in diretta televisiva alla nazione. Forse non è più possibile, però, soprattutto in un anno elettorale come questo. Il 7 novembre, scegliendo il nuovo Congresso, gli americani avranno l'ultima occasione per esprimere il loro giudizio sull'era Bush, che alle presidenziali del 2008 non potrà più presentarsi. Lo faranno pensando all'Iraq, Bin Laden, al Qaeda, l'Afghanistan, e quindi all'evento che ha cominciato tutto questo. Resta solo da capire a chi gioverà di più.
Il presidente ieri ha posato la sua corona sul suolo diventato cimitero per quasi tremila vittime, e poi ha partecipato a una cerimonia religiosa nella chiesa di Saint Paul, quella che stava sotto l'ombra delle Torri Gemelle, dove ogni anno vanno un milione di persone che alcuni chiamano turisti e altri pellegrini. Stamattina poi stringerà mani in una stazione dei pompieri di Manhattan, prima di andare sul campo della Pennsylvania dove finì il volo 93, e davanti al Pentagono per l'ultima cerimonia. Questo sarà il tempo dedicato al ricordo e alla commozione, con una bandiera a stelle e strisce lunga trenta metri calata dal ponte George Washington, e decine di celebrazioni in tutta l'America. Alle 9 di sera poi arriverà il tempo della politica, col discorso alla nazione.
I sondaggi sono abbastanza chiari. Due terzi degli americani si aspettano nuovi attentati, mentre da mesi la maggioranza pensa che non sia valsa la pena di sacrificare quasi 2700 uomini e spendere oltre 300 miliardi di dollari in Iraq. Eppure ogni volta che torna l'allarme terrorismo, come durante il recente complotto sventato a Londra, la popolarità di Bush risale dal 30% di gradimento intorno a cui stagna ormai da mesi. Gli americani lo considerano ancora più affidabile dei democratici sulla sicurezza, forse anche perché dal 2001 ad oggi non ci sono stati più attacchi sul suolo degli Usa, e su questo punta il consigliere politico Karl Rove per esorcizzare lo spettro di un ribaltamento della maggioranza al Senato o più probabilmente alla Camera, che segnerebbe l'inizio della fine.
Il settimanale «Time» ha scritto che la strategia della sicurezza non funzionerà per la terza volta consecutiva, come nelle elezioni parlamentari del 2002 e le presidenziali del 2004, perché una volta finite le commemorazioni dell'11 settembre le notizie negative dall'Iraq saranno molte più di quelle sul terrorismo, e finiranno per oscurare tutto il resto. Ieri, infatti, il segretario di Stato Rice si è premurato di ripetere che «tra Saddam e al Qaeda c'erano contatti da dieci anni», per smentire il rapporto pubblicato venerdì dalla Commissione intelligence del Senato, secondo cui queste connessioni non erano mai esistite. Se l'opinione pubblica si convincesse di questa versione, peraltro basata su un dossier Cia del 2005, potrebbe abbracciare le posizioni del senatore democratico Rockefeller, che ha detto: «L'America sarebbe stata più sicura con Saddam al potere, perché non c'entrava niente con l'11 settembre, non aveva intenzione di attaccarci, e potevamo tenerlo isolato senza disperdere tutte le risorse impegnate nell'invasione dell'Iraq». Queste risorse, ad esempio, sarebbero tornate utili per dare la caccia al vero colpevole degli attentati del 2001, Osama bin Laden. Ma ieri il «Washington Post», citando fonti di intelligence, ha scritto che la pista per catturare il capo di al Qaeda si è completamente raffreddata: gli americani non ricevono una dritta utile da almeno due anni. Se ne tornerà a parlare, passato il rito del ricordo.
Il presidente ieri ha posato la sua corona sul suolo diventato cimitero per quasi tremila vittime, e poi ha partecipato a una cerimonia religiosa nella chiesa di Saint Paul, quella che stava sotto l'ombra delle Torri Gemelle, dove ogni anno vanno un milione di persone che alcuni chiamano turisti e altri pellegrini. Stamattina poi stringerà mani in una stazione dei pompieri di Manhattan, prima di andare sul campo della Pennsylvania dove finì il volo 93, e davanti al Pentagono per l'ultima cerimonia. Questo sarà il tempo dedicato al ricordo e alla commozione, con una bandiera a stelle e strisce lunga trenta metri calata dal ponte George Washington, e decine di celebrazioni in tutta l'America. Alle 9 di sera poi arriverà il tempo della politica, col discorso alla nazione.
I sondaggi sono abbastanza chiari. Due terzi degli americani si aspettano nuovi attentati, mentre da mesi la maggioranza pensa che non sia valsa la pena di sacrificare quasi 2700 uomini e spendere oltre 300 miliardi di dollari in Iraq. Eppure ogni volta che torna l'allarme terrorismo, come durante il recente complotto sventato a Londra, la popolarità di Bush risale dal 30% di gradimento intorno a cui stagna ormai da mesi. Gli americani lo considerano ancora più affidabile dei democratici sulla sicurezza, forse anche perché dal 2001 ad oggi non ci sono stati più attacchi sul suolo degli Usa, e su questo punta il consigliere politico Karl Rove per esorcizzare lo spettro di un ribaltamento della maggioranza al Senato o più probabilmente alla Camera, che segnerebbe l'inizio della fine.
Il settimanale «Time» ha scritto che la strategia della sicurezza non funzionerà per la terza volta consecutiva, come nelle elezioni parlamentari del 2002 e le presidenziali del 2004, perché una volta finite le commemorazioni dell'11 settembre le notizie negative dall'Iraq saranno molte più di quelle sul terrorismo, e finiranno per oscurare tutto il resto. Ieri, infatti, il segretario di Stato Rice si è premurato di ripetere che «tra Saddam e al Qaeda c'erano contatti da dieci anni», per smentire il rapporto pubblicato venerdì dalla Commissione intelligence del Senato, secondo cui queste connessioni non erano mai esistite. Se l'opinione pubblica si convincesse di questa versione, peraltro basata su un dossier Cia del 2005, potrebbe abbracciare le posizioni del senatore democratico Rockefeller, che ha detto: «L'America sarebbe stata più sicura con Saddam al potere, perché non c'entrava niente con l'11 settembre, non aveva intenzione di attaccarci, e potevamo tenerlo isolato senza disperdere tutte le risorse impegnate nell'invasione dell'Iraq». Queste risorse, ad esempio, sarebbero tornate utili per dare la caccia al vero colpevole degli attentati del 2001, Osama bin Laden. Ma ieri il «Washington Post», citando fonti di intelligence, ha scritto che la pista per catturare il capo di al Qaeda si è completamente raffreddata: gli americani non ricevono una dritta utile da almeno due anni. Se ne tornerà a parlare, passato il rito del ricordo.
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