Da La Repubblica del 09/05/2006
Originale su http://www.repubblica.it/2006/05/sezioni/scienza_e_tecnologia/buco-ozo...

Per gli scienziati sarebbe di 2,5 milioni di chilometri quadrati. Doppio pericolo: l'intreccio fra inquinamento e gas serra

Tibet, allarme dalla Cina "Un nuovo buco nell'ozono"

Il dato dai ricercatori è confermato dallo spettrometro satellitare che misura il livello globale dello strato

di Antonio Cianciullo

ROMA - La cura è corretta, ma la guarigione rischia di essere più lenta del previsto. Con il protocollo firmato a Montreal nel 1987, i cfc, gas che intaccano lo strato di ozono, sono stati progressivamente eliminati fino al bando totale scattato a partire dal 2000. Il disastro sembra dunque evitato, anche, se a causa della lunga vita dei cfc, ci vorranno tra i 50 e i 100 anni prima di godere dei benefici della correzione di rotta industriale. Eppure continuano ad arrivare notizie poco confortanti. In un articolo firmato da un gruppo di studiosi dell'Accademia delle scienze cinese si sostiene che nella coltre di ozono sopra il Tibet si è formato un buco di 2,5 milioni di chilometri quadrati. Un dato fornito dai ricercatori sul campo e confermato dal Total Ozone Mapping Spectometer, Lo spettrometro per la mappatura dell'ozono, uno strumento satellitare che permette appunto di misurare il livello globale di ozono.

É una notizia in apparente contrasto con la ricerca appena pubblicata sulla rivista Nature da Betsy Weatherhead, del cooperative Institute for Research in Environment Sciences di Boulder in Colorado, e da Signe Bech Andersen, dell'Istituto meteorologico di Copenaghen. Questo studio ricorda che "lo strato di ozono sta rispondendo alla riduzione dei livelli di cloro nell'atmosfera dovuta al bando dell'uso dei clorofluorocarburi". Ma aggiunge una prima nota di preoccupazione legata all'intreccio tra l'inquinamento da cfc e quello da gas serra: il calore intrappolato in basso scalda la parte inferiore dell'atmosfera, mentre la stratosfera tende a raffreddarsi creando così le condizioni ideali per i processi che favoriscono la distruzione delle molecole di ozono. Adesso dalla Cina arriva un secondo allarme legato alla scoperta di un'altra area di rarefazione del mantello di ozono, oltretutto lontana dai Poli che rappresentano i luoghi in cui il fenomeno si manifesta in maniera più evidente.

Secondo i ricercatori italiani, però, la segnalazione va presa con grande cautela: si tratterebbe di un'oscillazione in buona parte fisiologica legata ai flussi monsonici e al delicato equilibrio tra bassa e alta atmosfera che caratterizza l'altopiano del Tibet che, con i suoi 5 mila metri di quota base, crea condizioni del tutto particolari. "L'interazione tra l'alta atmosfera, carica di ozono, e la troposfera assume in Tibet una dinamica anomala", ricorda Antonio Navarra, il climatologo dell'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia. "Le onde della stratosfera arrivano come cavalloni su una riva alta andando a infrangersi sulla scogliera e finendo per mischiarsi con gli strati sottostanti".

"In questa dinamica caotica è possibile che l'aumento di forti correnti ascensionali di aria calda abbia finito per alterare la situazione provocando una risalita degli strati più poveri di ozono", aggiunge Vincenzo Ferrara, l'esperto dell'Enea. "Se questa ipotesi risultasse vera si tratterebbe di un secondo effetto negativo sul ciclo dell'ozono legato ai processi di mutamento climatico in atto".

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