Da WWF del 23/01/2006
Originale su http://www.wwf.it/ambiente/earthpolicy/cielivuoti.asp

Stato del Pianeta

Cieli vuoti, uccelli a rischio

di Janet Larsen

Già molto prima che i canarini venissero usati nelle miniere di carbone per allertare i minatori sulla presenza dei gas tossici, gli uccelli ci trasmettevano segnali che indicavano il deteriorarsi della salute ambientale della Terra. Ma circa 1.213 delle 9.917 specie esistenti – cioè una su otto - sono a rischio di estinzione. Il pericolo più grave - la distruzione e il degrado dell'habitat - minaccia l'87% di questi animali.

La popolazione umana in continua espansione ha alterato gli habitat in tutto il mondo (zone umide, praterie e foreste), provocando la diminuzione del numero e delle specie di uccelli. La popolazione mondiale si è ridotta del 25% dai tempi preagricoli, in massima parte a causa della conversione degli habitat in aree agricole, che negli ultimi 300 anni sono passate dal 6% a quasi il 33% della superficie terrestre.

Oggi tre quarti dei volatili in pericolo hanno come habitat principale le foreste, che vengono distrutte al ritmo di circa 13 milioni di ettari all'anno (un'area equivalente a quella della Grecia). Quasi la metà delle foreste perdute sono foreste primarie relativamente incontaminate che ospitano numerose specie ornitiche sensibili e altre specie animali.

Negli ultimi anni le maggiori perdite si sono verificate in Asia (in particolare nel Borneo e a Sumatra), dove le foreste tropicali umide di pianura stanno sparendo a una velocità incredibile: dal 2000 a oggi è stato disboscato quasi il 40% delle foreste indonesiane, e tre specie di uccelli su quattro che dipendono dalle foreste di pianura di Sumatra sono sul punto di estinguersi. Ma non bastano le perdite causate dal disboscamento: la crescente domanda di olio di palma, recentemente molto apprezzato come biocombustibile, ha fatto aumentare le pressioni per convertire le foreste naturali in piantagioni di palme. In mancanza di un’ immediata inversione della tendenza alla deforestazione, tutte le foreste di pianura potrebbero sparire nel giro di una decina di anni. Globalmente, le specie indonesiane a rischio di estinzione, tra cui molte specie di pappagalli e cacatoa endemici, sono circa 118 , il numero più elevato tra tutti i paesi del mondo.

Segue a ruota il Brasile, dove le specie in pericolo sono circa 115. Le foreste pluviali amazzoniche e le tipiche savane cerrado vengono distrutte per far posto a fattorie e aziende (e negli ultimi tempi anche per consentire la produzione a grande scala di semi di soia per mangimi, alimenti e combustibili).

L'espansione delle città e delle fabbriche ha inoltre ridotto la foresta pluviale atlantica brasiliana del 90%. Ciò che resta ospita circa 950 specie di uccelli, 55 delle quali endemiche e in pericolo.

Si ritiene che dal 1500 ad oggi siano estinte oltre 150 varietà di uccelli, 50 delle quali a causa della caccia eccessiva. La caccia ha provocato la sparizione della colomba migratrice, uno dei volatili più numerosi al mondo, nell'arco di una generazione. Lo sfruttamento diretto - che include la caccia a fini alimentari e la cattura a scopi commerciali - è il secondo più importante pericolo dopo la perdita di habitat, e interessa circa un terzo delle specie a rischio. L'eccessivo sfruttamento mette in pericolo 52 delle 388 specie di pappagalli esistenti.

In ordine di pericolosità segue poi l'introduzione - deliberata o accidentale - di specie non native, che interessa all'incirca il 28% delle specie a rischio. La gente viaggia in tutti gli angoli del mondo, e con loro viaggiano parassiti e animali che predano, entrano in concorrenza, o alterano l'habitat delle specie native: i soli topi e gatti importati hanno portato all'estinzione di 50 specie di uccelli. Nell'arcipelago delle Hawaii, predatori e malattie importate si sono aggiunti ai problemi legati alla perdita di habitat e hanno fatto sparire più della metà delle oltre 100 specie di uccelli endemici. Opossum, topi e altri mammiferi introdotti in Nuova Zelanda negli ultimi 200 anni hanno distrutto la diversità un tempo abbondante di grandi volatili, che si erano evoluti per oltre 80 milioni di anni senza predatori naturali.

L'inquinamento è un ulteriore fattore di rischio che interessa il 12% delle specie in pericolo. In India, le popolazioni di una specie di avvoltoio sono diminuite del 95% in meno di dieci anni, soprattutto per l'avvelenamento da medicinali usati nel trattamento delle sostanze alimentari di cui si nutrono. I comuni volatili campestri dell'Europa occidentale si sono ridotti del 57% tra il 1980 e il 2003, e il declino viene in buona parte attribuito all'agricoltura intensiva. L'avvelenamento diretto dovuto all'uso di fertilizzanti e pesticidi non è la sola causa: lo sversamento di prodotti chimici ha contaminato le zone umide usate dagli uccelli acquatici migratori e gli inquinanti organici persistenti (ad esempio i residui di DDT, le diossine e i bifenili policlorurati) si accumulano nella catena alimentare provocando deformità, incapacità riproduttiva e epidemie.

I cambiamenti climatici rappresentano una minaccia relativamente nuova. In tutto il mondo, un terzo delle specie vegetali e animali potrebbe estinguersi entro il 2050 a causa dei mutamenti del clima: negli ultimi 30 anni la temperatura globale è aumentata di 0,6° centigradi (1° Fahrenheit), modificando le abitudini migratorie, alimentari e stanziali di molti uccelli. Ad esempio, nei Paesi Bassi la primavera arriva ora più presto, e di conseguenza riappaiono più presto anche i bruchi di cui le cinciallegre hanno bisogno per nutrire la loro prole. Ma il periodo di cova non è cambiato, e la nascita dei piccoli non è quindi più sincronizzata con la disponibilità dei bruchi necessari alla loro alimentazione.

Gli animali che trascorrono tutta o parte della loro vita ai Poli risultano particolarmente vulnerabili all'aumento delle temperature. Gli uccelli acquatici migratori dell'Artico spariranno a causa del riscaldamento che altera questo delicato ecosistema, e nell'emisfero meridionale - nel quale 10 delle 17 specie di pinguini esistenti sono già a rischio - le condizioni non miglioreranno certo con l'aumento della temperatura mondiale previsto in questo secolo (tra 1,4 e 5,8° centigradi, secondo i calcoli dell’IPCC, l’Intergovernamental Panel on Climate Change).

Il 7% delle specie di uccelli a rischio sono inoltre minacciate da morti accidentali. Il rapido declino delle popolazioni marine negli ultimi 15 anni coincide con la crescita della pesca commerciale con palangari. Ogni anno le operazioni di questo tipo uccidono oltre 300.000 esemplari che vengono attirati dalle esche e intrappolati, e tutte le 21 specie di albatros sono oramai a rischio o quasi, per l’impatto con i sistemi di pesca. Gli uccelli sono poi anche vittime dello sviluppo industriale, che incombe su oltre la metà delle specie a repentaglio nei paesi latinoamericani e caraibici. In Europa, Asia centrale e Africa, la folgorazione per urti contro i cavi ad alta tensione ha provocato la morte massiccia dei rapaci. E ogni anno negli Stati Uniti centinaia di milioni di volatili muoiono urtando contro le finestre, la principale causa di mortalità avicola nel paese.

Se spariscono gli uccelli spariscono anche i preziosi servizi che ci rendono: questi magnifici animali impollinano i fiori, disperdono i mangimi, contribuiscono a eliminare roditori, insetti, semi di malerbe, e altri parassiti. Le specie necrofaghe riciclano le sostanze alimentari ed eliminano le carcasse in putrefazione che potrebbero essere causa di epidemia.

Prevenire il declino e la sparizione di nuove specie di uccelli dipende in buona misura dalla salvaguardia degli spazi naturali che ancora esistono al mondo e dalla conservazione degli ecosistemi naturali ora alterati. Per aumentare le popolazioni in grave pericolo portandole a un numero accettabile, può rendersi necessaria una gestione più intensiva che preveda la riproduzione e la reintroduzione degli esemplari in cattività, e la rimozione nella misura del possibile dei predatori invasivi. Per evitare la diffusione delle malattie aviarie infettive, è necessaria una maggiore biosicurezza che limiti il contatto tra stormi domestici infettati e esemplari in libertà. Anche l'allontanamento dalle costruzioni artificiali (edifici, torri, turbine) e l'inserimento delle nuove strutture al di fuori dei percorsi migratori possono prevenire incidenti fatali.

La scorsa primavera è stato segnalato che il picchio becco d'avorio, a lungo considerato estinto, è ancora con noi per il piacere dei birdwatcher, ma la natura offre raramente una seconda opportunità. Se una popolazione allo stato selvatico si riduce drasticamente ci sono poche speranze di poter invertire la tendenza, anche proteggendo costantemente l'habitat. E se non si stabilizzano clima e popolazione umana, mettere barriere attorno a tutti i parchi del mondo non basterà a proteggere le specie a rischio.
Annotazioni − Traduzione Carlo Pappalardo.

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