Da Il Sole 24 Ore del 28/10/2005
Originale su http://www.ilsole24ore.com/fc?cmd=art&codid=20.0.1563272201&ch...

Il dollaro sfida le leggi economiche

di Mario Margiocco

La valuta americana sta sfidando le leggi di gravità economiche, sostengono alcuni autorevoli commentatori.

Non è vero, le regole del sistema sono almeno in parte cambiate e per questo il dollaro può salire quando invece in base ai principi classici dovrebbe scendere, dicono altri. Mentre sulla valuta americana gli stessi protagonisti finanziari mondiali che prevedevano a gennaio una quotazione di 1.40 circa sull’euro a fine anno, come ilo gruppo bancario Ubs, vedono ora il dollaro a 1,15 fra un paio di mesi, in ulteriore discesa rispetto agli 1,17-1,18 attuali.

Sulla scorta soprattutto delle osservazione di Nouriel Roubini, docente alla Stern School of business della New York University e dalle pagine del suo seguitissimo blog uno dei più attenti osservatori della valuta americana, vediamo le ragioni dei «pessimisti». Mentre per le ragioni degli «ottimisti», di chi sostiene cioè che i rapporti fra monete e fra grandi flussi finanziari è meno squilibrato di quanto sembri, seguiamo la traccia schizzata in un recente intervento da Ian J. Macfarlane, presidente della Banca centrale australiana.

Si tratta dei due fronti in una disputa vecchia ormai di un paio d’anni e più, tra chi dice che le leggi di gravità economico-monetarie non sono cambiate e chi non le ritiene più automatiche nell’era dei mercati globali. Quest’ultima tesi, come noto, fu lanciata nel 2003 da Folkerts-Landau, Dooley e Garber, tre economisti legati a vario titolo a Deutsche Bank, e da Catherine Mann dell’Institute for international economics di Washington. Hanno identificato le «regole» di un nuovo sistema informale di Bretton Woods centrato nel Pacifico, che vede l’Asia mettere a disposizione degli Stati Uniti i propri capitali consentendo il costante deterioramento delle partite correnti Usa, con il dollaro che regge bene perché supportato dai capitali asiatici.

«Se nel 2005 il dollaro ha sfidato le leggi di gravità prodotte da un grave detrioramento delle partite correnti lo ha fatto perché il quadro complessivo dei pagamenti con l’estero è stato favorevole al rafforzamento del dollaro», sostiene Roubini. Ma si tratta di un fenomeno temporaneo. Lo ha determinato il differenziale dei tassi dollaro-euro-yen; il differenziale dei tassi di crescita dell’economia; la norma fiscale che ha fatto rientrare 200 miliardi di dollari di profitti esteri a condizioni interessanti. Nei prossimi mesi si faranno sentire spinte di senso inverso, dall’attenuazione delle differenze nella remunerazione del denaro e nella crescita del Pil a una leggera ma costante rivalutazione dello yuan cinese e il 2006 vedrà un dollaro in declino, conclude Roubini. Il peso di partite correnti squilibrate per 665 miliardi di dollari l’anno scorso e per oltre 800 quest’anno non potrà essere ignorato a lungo

Ci sono cinque fenomeni difficili da spiegare oggi nel quadro macroeconomico mondiale, sostiene Mcfarlane.

a) Come mai il deficit americano delle partite correnti è cresciuto così tanto a partire dal ’97 eppure è stato finanziato con così tanta facilità?

b) Perché l’Asia ha un attivo così forte dei conti esteri e ha costituito un livello così alto di riserve monetarie?

c) Perché le banche centrali hanno portato i tassi ai minimi da un secolo, e come mai questo non ha provocato inflazione?

d) Perché i rendimenti dei titoli sono rimasti così bassi, anche quando i tassi a breve sono saliti?

e) In questo quadro di vasti squilibri nei pagamenti, come mai i margini di rischio nel debito corporate e degli emergenti sono rimasti così eccezionalmente bassi?

Mcfarlane fa una considerazione di fondo, una premessa prima delle cinque risposte. Vi sono Paesi, l’Asia essenzialmente, (al momento anche molti produttori di petrolio e la stessa America Latina, per motivi diversi e meno radicati), che risparmiano molto investendo assai meno di quanto potrebbero e questo è un fenomeno che resterà nel medio termine. Ci sono poi Paesi dove Governi e privati invece sono disposti a spendere più del risparmio interno e questa è l’area dei Paesi anglofoni (Usa, Canada, Australia, Gran Bretagna, Nuova Zelanda), Stati Uniti soprattutto; e infine c’è l’area euro, sostanzialmente in equilibrio con i conti esteri.

Nonostante il forte deterioramento dei conti esteri dal ’97 il dollaro in termini reali è sostanzialmente ai livelli di 15 anni fa, osserva Mcfarlane. Fenomeno singolare per un Paese così indebitato con l’estero. Questo perché, contemporaneamente, l’Asia ha fatto tesoro della crisi severa del ’97-’98 e ha deciso di non esporsi più ai rischi delle fluttuazioni dei capitali; la politica dei bilanci pubblici e delle imprese è diventata molto più severa, e il notevole surplus generato viene investito dove rende meglio, cioè nei titoli americani. La Cina è stata al riparo della crisi del ’97-98, ma risparmia perché deve creare 20 milioni di nuovi posti di lavoro industriale all’anno per trasformare il Paese, e ha bisogno di una forte creazione di capitale; il Giappone è prudentissimo da quando quasi 20 anni fa esplose la bolla immobiliare. La massa di risparmio asiatico spiega il facile finanziamento del deficit Usa, cioè il primo dei cinque quesiti.

Ma il risparmio non spiega i bassi tassi praticati dalle banche centrali. Questi, continua Mcfarlane, sono stati portati sotto i livelli degli anni ’30 in risposta alla crisi borsistica del 2001. Hanno potuto restare così bassi così a lungo perché l’inflazione, e siamo al secondo quesito, è rimasta bassa così a lungo. Ed a mantenerla così hanno contribuito in modo determinante Cina e altri paesi asiatici decisi a conquistarsi un mercato globale agendo, in modo notevole, sui prezzi. Il terzo quesito, sui bassi rendimenti, è quello centrale, e indica che l’abbondanza di risparmio ha avuto più peso che non l’eccesso di indebitamento. E infine l’ultima risposta: il rischio degli emergenti e delle imprese è stato basso, aggiunge Mcfarlane che chiaramente sottoscrive la teoria dell’«eccesso di risparmio» formulata in primavera da Ben Bernanke ora successore designato di Alan Greenspan, proprio perché il risparmio globale (asiatico) è risultato abbondante.

«Non è chiaro se l’economia mondiale risulterà alla fine – conclude Mcfarlane riepilogando l’affresco – più debole o più forte». Decisamente non vuole dare l’impressione di ritenere che il deficit Usa possa crescere all’infinito, o conti poco. Il punto che vuole chiarire è che l’analisi non deve partire dal deficit Usa, ma dal surplus asiatico, senza il quale probabilmente non ci sarebbe stato deficit americano, perché insostenibile.

Quanto all’area euro, il punto di vista degli antipodi è sempre interessante. Nonostante il suo apparente equilibrio, dice il Governatore australiano, è la parte più squilibrata del triangolo Asia-America-Europa. Mentre i primi due hanno creato un sistema che spiega tra l’altro la ripresa attuale del dollaro e l’apparente sfida della gravità monetaria, spiega McFarlane che vede il proprio Paese profittare del boom asiatico e americano insieme, l’area euro è la più squilibrata di tutte. Afflitta da bassa crescita e alta disoccupazione, i prezzi pagati per l’equilibrio, e possibile fonte non meno dei tanto citati Stati Uniti di squilibrio globale.

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