Da La Repubblica del 26/11/2005

Domani al voto una città che vive tra le macerie e l'incubo attentati

Le elezioni beffa di Grozny tutti i candidati pro-Cremlino

di Giampaolo Visetti

GROZNY - La città tornata a una vita normale è un cumulo di macerie. La popolazione che ha ritrovato giornate sopportabili è un ammasso di fantasmi terrorizzati. Basta transitare lungo il Pobedy prospekt di Grozny, sotto il tiro dei cecchini federali e rischiando di essere sequestrati in pieno giorno, per afferrare la differenza tra propaganda russa e realtà cecena. Domani, per la prima volta, si voterà per eleggere il parlamento della repubblica indipendentista da dieci anni in guerra con la Russia.

Ciò che resta dei muri sventrati è tappezzato dai manifesti elettorali. Se entri in quella che dovrebbe essere una scuola, o un ospedale, capisci che è l'ennesima bugia raccontata da Mosca alla comunità internazionale. Nelle aule non ci sono banchi, nelle corsie non si vede un letto. Alla gente, accampata nelle cantine e vestita di stracci, manca tutto: acqua, luce, gas, cibo, riscaldamento, medicine. Come se i bombardamenti continuassero ogni notte. Altre merci abbondano nella Cecenia «normalizzata» da Vladimir Putin e Ramzan Kadyrov: il rapimento, la tangente, il pagamento del riscatto, la paura, le menzogne, la corruzione, le sparizioni e gli omicidi.

Eppure questi sono gli unici argomenti di cui non c'è stata traccia nei comizi-farsa sulla «transizione post-bellica» e sulla «sistemazione politica», o sulle affissioni che presentano un «territorio in ripresa». Il risultato del voto, organizzato dal consigliere presidenziale Vladislav Surkov e dall'onnipotente Ramzan, è già scritto. «Russia Unita», il partito di Putin, si attesterà sul 70%: alla destra liberale andrà il 15%, altrettanto ai comunisti. Una parodia democratica, ultima tappa del «processo politico» imposto da Mosca con il marchio «operazione anti - terrorristica»: 367 candidati per 61 posti nelle due Camere, 8 partiti in lizza, 430 seggi, 597 mila elettori. Tutti i candidati in lista, ex guerriglieri indipendentisti compresi, sono però fedelissimi del Cremlino. «La costituzione - dice Akhmed, giovane dirigente della provincia di Shali - vieta che in parlamento ci sia un solo partito: così si sono inventati una falsa opposizione». A sorpresa si sono presentati anche i democratici di Yabloko, oppositori di Putin. Invece di legittimare le elezioni, disertate dagli osservatori internazionali (eccetto quello della Csi) per ragioni di sicurezza, hanno svelato l'imbroglio.

La medievale Cecenia è ripiombata nell'incubo del 1997, nella morsa dei clan locali mafiosi e dei generali federali corrotti. Tutti pagano, per non essere portati via dalle squadre di Kadyrov junior. Tutti mentono, per arricchirsi con il contrabbando di armi, petrolio, droga e persone. L'alternativa al racket di Stato, benedetto dagli artefici della «cecenizzazione» del conflitto, è Shamil Basaiev. «Dopo l'assassinio di Maskhadov - dice Andarbe Khanbiev, ex guardia del corpo del generale Dudaev - o stai con le belve di Kadyrov, o con i terroristi di Basaiev».

Separatismo, indipendentismo e fondamentalismo islamico sono paraventi superati, un indistinguibile magma impastato di slogan. Mosca ha concesso licenza di uccidere e gli eserciti si sono ritrasformati in branchi senza legge di mercenari assassini.

Le autorità garantiscono elezioni senza attentati. Nessuno si fida e al mercato le donne spendono fino all'ultimo rublo. Scorte di alimenti per una settimana, se mai Grozny dovesse tornare teatro di combattimenti. Accanto ai posti di blocco, ridotti a esattorie per riscuotere tangenti, gli uomini ballano freneticamente il «zikr», il rito che prelude le missioni punitive. Ogni volta che riesci a scambiare con loro due parole lontano dai funzionari, è però un plebiscito: «Queste elezioni sono una finzione, inutili come le presidenziali che hanno eletto l'inetto Alkhanov. Il parlamento è una messinscena e non avrà alcun potere: la guerra registrerà una svolta solo quando Kadyrov e Basaiev saranno finalmente annientati».

I crateri aperti nelle strade confermano che non si può nemmeno parlare di «imitazione di un processo politico». La notte è rotta dalle esplosioni delle auto, all'alba i camion passano a raccogliere qualche cadavere. Le autorità filo-russe assicurano che si stanno ricostruendo quartieri e fabbriche, aprendo negozi, inaugurando piscine e luna-park. Peccato che ai giornalisti sia vietato ammirare i segni della rinascita. Nei miserabili caffè, chiamati «Parlamento», o «Press club», o «Hollywood», quando entra qualcuno i giovani ceceni tacciono. Vestiti di nero, o in tute da ginnastica, fanno capire che solo il contrabbando di mine, l'abilità con il kalashnikov, la disponibilità a stuprare e ad ammazzare, offrono un lavoro. I quartieri sventrati, i «zindan» (fosse-carcere per i sequestrati) che circondano villaggi spettrali, suggeriscono dove finiscano i miliardi per la ricostruzione. In quella che dovrebbe essere una città normale, dove non si entra senza mille permessi e altrettanti controlli, dove è proibito porre domande e uscire dal tragitto concordato con il ministero degli Interni, solo il silenzio atterrito parla.

Oltre ad alcuni dati, scritti a mano su un foglietto lasciato da un uomo che si dilegua su una Zhigulì. Sono i numeri della Cecenia che va tranquillamente alle urne: 5 mila sequestrati in dieci anni, 80 mila civili uccisi, 30 mila soldati russi morti, 500 mila profughi, 441 mila disoccupati su 611 mila abitanti abili al lavoro. Le organizzazioni non governative parlano di metà popolazione annientata: oltre mezzo milione di morti. Nel 2005 i civili ammazzati sono stati 285, i militari oltre 600, i sequestrati 302: cifre da moltiplicare per quattro, volendosi avvicinare alla verosimiglianza. E a questi si aggiungono i guerriglieri caduti, le vittime degli attentati terroristici e delle retate dei «kadyrovski». «La guerra - dice la giornalista Anna Politkovskaja - peggiora. In Cecenia ci sono ufficialmente 170 mila soldati russi e 1500 guerriglieri separatisti. I numeri reali sono però un mistero. Per ottenere risarcimenti, o per fare carriera, si falsificano le cifre: la popolazione è allo stremo, la violenza e l'imbroglio un modo di vivere senza alternative. Non voteranno più di 20-30 mila persone, amici e parenti di candidati comprati da Mosca: dopo le elezioni in Afghanistan e Iraq, la comunità internazionale fingerà di non sapere».

E in questa terra senza speranza, mentre in Russia sale l'incubo degli attentati, che domani varcheranno il seggio i fratelli Sultygov. Mustafà, ex guerrigliero, combatte ora con i federali.

Issa, ex funzionario filo-russo, istruisce oggi le donne-kamikaze nei campi di Basaiev. Questione di prezzo: avversari prima, nemici poi, per sopravvivere. «Un voto - dicono - vale cento dollari. Se uno di noi sparasse all'altro, i vecchi capirebbero». Apatia e rassegnazione, indifferenza davanti alla morte. Solo chi paga è tranquillo. «La guerra al terrorismo - dice il lottatore-candidato Adnan Temishev - impone di indire elezioni. Senza istituzioni è imbarazzante parlare di petrolio». Così si vive, e si elegge un finto parlamento, nella dimenticata Grozny.

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