Da La Stampa del 21/11/2005

Le doppie velocità

L’Europa e il caso polacco

di Aldo Rizzo

Il primo ministro Kasimierz Marcinkiewicz lo nega, e per questo, subito dopo il voto di fiducia della Dieta (il Parlamento polacco), ha organizzato un viaggio a Bruxelles e a Londra. Nega cioè che un governo minoritario come il suo, che è nato per l'appoggio esterno di due piccoli (ma non troppo) partiti di estrema destra, possa rappresentare un'anomalia, quanto meno, rispetto alle politiche e ai valori sui quali si fonda l'Unione europea. Ma un dubbio resta e se n'è fatta interprete la grande stampa internazionale, dall'«Economist» a «Le Monde». Quest'ultimo, in particolare, ha lanciato in un editoriale un vero e proprio grido d'allarme. Forse eccessivo. Ma certamente ora nell'Ue c'è anche un caso Polonia.

Il 25 settembre, le elezioni parlamentari hanno dato un'ampia maggioranza alle due formazioni di centrodestra, «Legge e giustizia» e «Piattaforma civica», ridimensionando severamente socialdemocratici e postcomunisti del governo precedente. Ma i maggiori consensi sono andati alla prima, ai danni della seconda, molto più moderata, di base liberale. L'ipotesi era: primo ministro conservatore ma in accordo con la Piattaforma liberale. Invece l'accordo non c'è stato, dopo che i conservatori hanno vinto anche le successive elezioni presidenziali, con Lech Kaczynski, fratello gemello di Jaroslaw, capo del partito (che ha rinunciato per questo alla guida del governo), e il primo ministro designato, Marcinkiewicz, ha chiesto e ottenuto l'appoggio dell'ultracattolica Lega delle famiglie (7,9 per cento dei voti) e del populista e ultrapatriottico partito dell'«Autodifesa» (11,3). Sono entrambi partiti nazionalisti e euroscettici, il primo non privo di eredità xenofobe e antisemite, il secondo, guidato da Andrzej Lepper, già «militante panslavista», ora sostenitore di una (impossibile) rinegoziazione dell'adesione polacca all'Ue. Ma, per completare il quadro, va detto che allo stesso nuovo capo dello Stato (il gemello più forte) non dispiacerebbe il ripristino della pena di morte, «se l'Unione europea concedesse una deroga alla Polonia»...

Indubbiamente, c'è di che preoccuparsi, ma anche «Le Monde» ammette che una riedizione del caso austriaco del 2000 (le sanzioni al governo Schussel per aver cooptato ministri dell'estrema destra di Haider) non è proponibile. Semmai un segnale a fare attenzione a quello che dicono e fanno. Ma forse il problema è un altro, politicamente. La Polonia è il più grande e importante dei Paesi entrati nell'Ue nel 2004 ed è uno dei maggiori dell'Unione nel suo insieme. Ha una storia drammatica, e anche l'uscita dal comunismo e dalla sudditanza forzata all'Urss non le ha ridato serenità. E' possibile, o probabile, che la congiuntura parlamentare non abbia effetti gravi, o che addirittura sia ribaltabile, come spera l'«Economist», per un nuovo e costruttivo confronto con la Piattaforma civica. Ma certamente resterà a lungo un Paese instabile, dal quale l'integrazione europea, in senso tradizionale e reale, non avrà molto da attendersi. Probabilmente verrà da Varsavia il colpo di grazia al già moribondo Trattato costituzionale.

E allora questo è il momento di cominciare a pensare seriamente alla famosa e discussa Europa a due velocità. Chiamando a raccolta i Paesi che non vogliono disperdere il patrimonio politico e istituzionale di mezzo secolo (fondamentalmente l'area della moneta unica), ma anzi farne la base di lancio o di rilancio del progetto globale europeo. Non sarebbe un siluro all'«allargamento», che resta storicamente importante, ma un appello, del tutto pacifico, a una «coalizione di volonterosi», aperta a chiunque voglia prima o poi aderirvi. Nell'interesse generale. E ferma restando la struttura larga dell'Unione.

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