Da La Repubblica del 20/11/2005
Dal 2001 solo due persone condannate per il reato previsto dal 270 bis. Spesso in contrasto Procure e giudici
Allarmi, arresti e poi rilasci tutte le inchieste finite nel nulla
di Luca Fazzo
BRESCIA - Meno male che esistono Drissi Noureddine e Hamroui Kamel, bisognerebbe dire. Perché se non fosse per questi due giovanotti tunisini, il bilancio della lotta italiana al terrorismo internazionale si riassumerebbe in un malinconico zero. Decine di operazioni, di allarmi, di arresti, di processi. E alla fine a venire condannati per il reato 270 bis, introdotto nel nostro codice penale all'indomani delle Torri Gemelle, sono stati solo questi due, Drissi e Hamroui. Nell'estate scorsa, mentre a Milano i loro complici venivano scarcerati e scagionati, a Brescia i due tunisini sono stati arrestati, processati e condannati: terroristi riconosciuto con sentenza.
Un risultato un po' magro, di fronte alla mole di risorse investite e alla gravità degli allarmi lanciati. Di certo, frugando tra gli episodi degli ultimi tre anni, la sensazione è che un fossato si stia allargando: è il fossato che separa l'attività dei servizi di intelligence, delle forze di polizia, delle Procure, dalle decisioni assunte dai giudici. I primi annusano, denunciano, arrestano. Gli altri, quasi sempre, assolvono. Faciloni i primi o troppo garantisti i secondi? Chissà. Di certo neanche l'ultimo episodio, quello dei tre algerini catturati mercoledì notte dai carabinieri del Ros, fa eccezione. Dei tre arresti per terrorismo, solo uno ha retto al vaglio dei giudici. Ma gli investigatori non ci stanno a fare la parte di quelli che hanno preso lucciole per lanterne, e indicano nelle pieghe delle indagini dettagli che sembrano dire che i tre arrestati non fossero poi degli angioletti. Perché Yamine Bouhrama, l'arrestato di Napoli, è il fratello del Bouhrama che in Inghilterra è stato condannato perché con altri cinque complici maneggiava quantità inquietanti di ricina. Un ingrediente della micidiale sostanza stava anche nel covo del napoletano. Il commando catturato a Londra aveva documenti falsi prodotti a Napoli. E il telefono di uno dei due falsari presi a Brescia era nell'agenda di un membro del commando inglese.
Elementi che per i "servizi" significano tanto, per i giudici molto meno. E che si vanno ad aggiungere all'elenco delle clamorose divergenze tra organi dello Stato italiano. A partire dal più clamoroso: a Bologna, nel marzo 2002, quando cinque arabi in gita in San Petronio vengono arrestati con l'accusa di preparare una strage nella cattedrale, e scarcerati con tante scuse pochi giorni dopo; o dai tre pescatori egiziani che sette mesi più tardi finiscono in cella ad Anzio, accusati di architettare una strage in un Mc Donald's: assolti con formula piena dalla Cassazione. E il film si ripete con costanza impressionante. Un gruppone di pachistani a Napoli finisce in cella, secondo la Procura avevano l'esplosivo per colpire nientemeno che l'ammiraglio della Nato Michael Boyce: tutti assolti. L'imam di Gallarate finisce in cella con l'accusa di essere un terrorista: processato con rito abbreviato viene dichiarato colpevole solo di aver smistato qualche permesso di soggiorno falso. Con la stessa condanna se la cavano, davanti al giudice milanese Luigi Cerqua, sei tunisini finiti con gran clamore in manette perché, secondo la Procura, organizzavano in Italia stragi da compiere in Medio Oriente. Assolti e scarcerati in blocco anche quindici sventurati pachistani che vagavano per il Mediterraneo su una carretta con bandiera di Tonga, accusati di trasportare uranio impoverito per conto di Al Qaeda: tutti innocenti, dice il giudice preliminare.
La sequenza accuse-arresti-scarcerazione si ripete con tale frequenza da rendere difficile che si tratti di casi isolati, di singole divergenze. E da far sospettare che alle spalle vi sia una divergenza d'approccio non dissimile da quella che divise gli organi dello Stato all'epoca degli anni di piombo: tra chi pensava che si dovesse badare al sodo, anche a costo di qualche innocente in galera, e chi pensava che solo con le garanzie si mantenesse in piedi lo Stato democratico.
Un risultato un po' magro, di fronte alla mole di risorse investite e alla gravità degli allarmi lanciati. Di certo, frugando tra gli episodi degli ultimi tre anni, la sensazione è che un fossato si stia allargando: è il fossato che separa l'attività dei servizi di intelligence, delle forze di polizia, delle Procure, dalle decisioni assunte dai giudici. I primi annusano, denunciano, arrestano. Gli altri, quasi sempre, assolvono. Faciloni i primi o troppo garantisti i secondi? Chissà. Di certo neanche l'ultimo episodio, quello dei tre algerini catturati mercoledì notte dai carabinieri del Ros, fa eccezione. Dei tre arresti per terrorismo, solo uno ha retto al vaglio dei giudici. Ma gli investigatori non ci stanno a fare la parte di quelli che hanno preso lucciole per lanterne, e indicano nelle pieghe delle indagini dettagli che sembrano dire che i tre arrestati non fossero poi degli angioletti. Perché Yamine Bouhrama, l'arrestato di Napoli, è il fratello del Bouhrama che in Inghilterra è stato condannato perché con altri cinque complici maneggiava quantità inquietanti di ricina. Un ingrediente della micidiale sostanza stava anche nel covo del napoletano. Il commando catturato a Londra aveva documenti falsi prodotti a Napoli. E il telefono di uno dei due falsari presi a Brescia era nell'agenda di un membro del commando inglese.
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