Da La Repubblica del 18/11/2005
Interrogato l'estremista bloccato a Napoli, oggi toccherà ai due di Brescia. Espulsi altri cinque islamici ritenuti pericolosi
"Volevano far saltare in aria una nave"
Ma sui tre algerini fermati il Ros critica il Sismi. Pisanu: troppo rumore
di Claudia Fusani
ROMA - Volevano fare saltare una nave grande «come il Titanic» riempiendola di «fusti esplosivi» e firmare una strage di «almeno diecimila persone». Lo dicono in alcune intercettazioni captate subito dopo gli attentati di Londra e di Sharm el Sheikh definiti «feste e ricorrenze». Volevano anche organizzare un attentato terroristico in Tunisia ma «contro cittadini e interessi italiani». E ancora, immaginavano «una festa ancora più grande» rispetto a quella vista a Londra in quei giorni di luglio, magari «con un aereo».
Volevano, a parole. Perché da quello che risulta alle indagini del Ros dei carabinieri, i tre algerini fermati a Napoli e a Brescia non avrebbero fatto in tempo a capire come organizzare gli attentati. I giudici diranno oggi, o domani, se gli indizi raccolti sono sufficienti per tenere in carcere Yamine Bouhrama, Mohamed Larbi e Khaled Serai con l'accusa di associazione a delinquere finalizzata al terrorismo internazionale. L'inchiesta, molto complessa, sta registrando anche qualche nervosismo tra gli apparati di intelligence e quelli della polizia giudiziaria. L'indagine nasce da alcune informative del Sismi, il servizio segreto militare, convinto che i tre, insieme con una decina di persone per ora solo indagate, «erano pronti a colpire in Italia». Di opinione diversa è il generale Giampaolo Ganzer, titolare delle indagini: «Aspettiamo la valutazione del gip. Nel frattempo è bene non dare a certe notizie un taglio troppo allarmistico dal punto di vista della minaccia sul territorio nazionale». Ancora più chiaro il ministro dell'Interno Giuseppe Pisanu: «Mi pare che sull'episodio si stia facendo troppo rumore. L'arresto dei tre militanti salafiti non aggiunge e non toglie nulla alla minaccia terroristica che continua a incombere sull'Italia come su altri paesi europei». Ma la «guardia resta alta»: proprio ieri il Viminale ha espulso altri cinque cittadini islamici perché pericolosi per la sicurezza nazionale.
La procura di Napoli ha deciso il fermo perché i tre stavano progettando di lasciare l'Italia. Secondo l'accusa gli algerini fanno parte «di un'articolazione nazionale di sostegno logistico al Gruppo salafita per la predicazione e il combattimento sigla legata al network di Al Qaeda con cui condivide il progetto della guerra santa contro gli obiettivi occidentali». Tra gli indizi a carico «i legami operativi» con gruppi attivi in altre zone d'Italia come Brescia, Venezia, Cesena, Napoli, Firenze e Milano. Dimostrati anche i contatti con gruppi in Norvegia, in Francia (con magrebini arrestati a luglio perché in possesso di mappe e di istruzioni per confezionare esplosivi) e a Londra con il gruppo che nel 2004 stava organizzando un attentato biochimico con la ricina.
Uno dei fermati, Yamine Bouhrama, avrebbe avuto a disposizione «per fare qualcosa e al più presto» una bottiglietta piena di «profumo», cioè di sostanze tossiche. Molte le intercettazioni e significative soprattutto quelle registrate dopo gli attentati di Madrid, Londra e Sharm che oltre ai piani di attacco suggeriscono, secondo l'accusa, «una buona conoscenza nel confezionare esplosivi» e la capacità di raccogliere fondi per «i fratelli armati in Cecenia e in Afghanistan». Una cosa è certa: i tre fermati sono un punto di riferimento per chi, tra i fratelli musulmani, aveva bisogno di un passaporto o di un permesso di soggiorno falso.
Volevano, a parole. Perché da quello che risulta alle indagini del Ros dei carabinieri, i tre algerini fermati a Napoli e a Brescia non avrebbero fatto in tempo a capire come organizzare gli attentati. I giudici diranno oggi, o domani, se gli indizi raccolti sono sufficienti per tenere in carcere Yamine Bouhrama, Mohamed Larbi e Khaled Serai con l'accusa di associazione a delinquere finalizzata al terrorismo internazionale. L'inchiesta, molto complessa, sta registrando anche qualche nervosismo tra gli apparati di intelligence e quelli della polizia giudiziaria. L'indagine nasce da alcune informative del Sismi, il servizio segreto militare, convinto che i tre, insieme con una decina di persone per ora solo indagate, «erano pronti a colpire in Italia». Di opinione diversa è il generale Giampaolo Ganzer, titolare delle indagini: «Aspettiamo la valutazione del gip. Nel frattempo è bene non dare a certe notizie un taglio troppo allarmistico dal punto di vista della minaccia sul territorio nazionale». Ancora più chiaro il ministro dell'Interno Giuseppe Pisanu: «Mi pare che sull'episodio si stia facendo troppo rumore. L'arresto dei tre militanti salafiti non aggiunge e non toglie nulla alla minaccia terroristica che continua a incombere sull'Italia come su altri paesi europei». Ma la «guardia resta alta»: proprio ieri il Viminale ha espulso altri cinque cittadini islamici perché pericolosi per la sicurezza nazionale.
La procura di Napoli ha deciso il fermo perché i tre stavano progettando di lasciare l'Italia. Secondo l'accusa gli algerini fanno parte «di un'articolazione nazionale di sostegno logistico al Gruppo salafita per la predicazione e il combattimento sigla legata al network di Al Qaeda con cui condivide il progetto della guerra santa contro gli obiettivi occidentali». Tra gli indizi a carico «i legami operativi» con gruppi attivi in altre zone d'Italia come Brescia, Venezia, Cesena, Napoli, Firenze e Milano. Dimostrati anche i contatti con gruppi in Norvegia, in Francia (con magrebini arrestati a luglio perché in possesso di mappe e di istruzioni per confezionare esplosivi) e a Londra con il gruppo che nel 2004 stava organizzando un attentato biochimico con la ricina.
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