Da La Repubblica del 11/10/2005
"Persa un'intera generazione" In Pakistan è strage di bambini
Metà delle 40mila vittime del terremoto ha tra i 2 e i 14 anni
A tre giorni dal sisma, vaste aree colpite sono ancora irraggiungibili
Si scava ancora tra le macerie in una lotta contro il tempo ma mancano mezzi e uomini
di Raimondo Bultrini
ISLAMABAD - «Nelle zone più colpite dal sisma abbiamo perduto un'intera generazione». Shaukat Sultan, portavoce dell'esercito pachistano, parla a ragion veduta: i soldati stanno combattendo con scavatrici e a mani nude sul fronte più sanguinoso della loro storia, da Islamabad a Muzaffarabad, da Menshera a Balakot, e ancora ad Abbottabat e a Garhi Habibullah. Tra i 40mila morti stimati ancora in via ufficiosa dai militari ci sono infatti migliaia e migliaia di bambini, sepolti dalle macerie delle scuole e delle case. Qui i soccorritori lottano contro il tempo e contro le difficoltà di un'emergenza che coinvolge territori vastissimi e spesso inaccessibili nel Kashmir, nelle Province della Frontiera nord occidentale ai confini con l'Afghanistan, attraverso centinaia di chilometri di strade spesso poco più grandi di una mulattiera intasate da valanghe, bloccate da precipizi senza più ponti e senza carreggiata.
Tra le montagne e le valli del paese dove interi villaggi e città sono ridotti a un cumulo di macerie, le famiglie senza vittime sono una sparuta minoranza rispetto alla grande moltitudine di sopravvissuti che dalle nove di sabato mattina vivono all'addiaccio, in attesa di soccorsi che non arrivano e di notizie dei propri cari sepolti tra le rovine.
La generazione di cui parla il maggiore Sultan va dai 2 ai 14 anni, età che forse comprende il 50 per cento delle vittime, come sostiene la rappresentante dell'Unicef Julia Spry Leverton. Molti erano a scuola, altri dentro le case da dove non hanno fatto in tempo a scappare, tanto improvviso e potente è stato il sommovimento che ha inghiottito uomini e cose.
C'è un luogo in particolare dove si concentra l'attenzione del mondo, tra Manshera e Balakot, nell'Azad Kashmir, l'area in assoluto più colpita, ad appena due ore di strada da Islamabad. Alla Gul Mera Primary school nei primi due giorni sono stati estratti 150 corpi di piccoli alunni, ma altri 250 sono ancora intrappolati: qualcuno potrebbe ancora essere vivo, alcune voci sono state udite fino a ieri invocare i genitori. Ma padri e madri, raccolti attorno all'edificio crollato con tutto il carico della loro angoscia, possono fare ben poco per salvarli. Muovono con cautela estrema le rovine assieme ai soldati, in un silenzio irreale rotto soltanto dalle grida di disperazione al ritrovamento dell'ennesimo cadavere. Un'attesa interminabile, destinata a durare ancora molto tempo, forse giorni e giorni, prima di liberare ogni sasso e trave finché tutti gli scolari, vivi o morti, saranno stati tirati fuori.
Una delle piccole alunne della scuola, scampata per miracolo, ha raccontato la scena avvenuta nella sua classe dove le lezioni erano cominciate da pochi minuti. «Eravamo tutti seduti – ha detto – e quando la terra ha cominciato a tremare non abbiamo fatto nemmeno in tempo ad alzarci, tutto ci è crollato addosso».
La scuola di Garhi Habibullah non è la sola ad essersi trasformata in un cimitero per alunni e insegnanti. Ce ne sono almeno altre due nella stessa provincia, e decine di altre sparse tra Muzaffarabad, la capitale kashmira ridotta a un enorme cimitero con almeno diecimila vittime e il 70 per cento degli edifici crollati, e il distretto di Hazara. Ad esacerbare gli animi nei villaggi remoti e spesso poverissimi basta ormai poco, e molti sono arrivati a contestare lo spiegamento di forze per salvare i sopravvissuti dell'unico palazzo crollato nella capitale Islamabad. «Per poche decine di morti tutti parlano di Islamabad. Ma qui sono morti e stanno morendo a decine di migliaia e nessuno fa niente», ha detto un abitante di Balakot, dove non è rimasto intatto quasi nessun edificio.
Ma anche attorno al complesso delle Margala Towers, nel cuore della capitale, residenze di lusso per benestanti pachistani e stranieri, l'attesa e il dolore non sono troppo dissimili da quelle dei villaggi remoti. Illuminato da potenti fari notturni, l'edificio crollato come cartapesta copre almeno 150 corpi, alcuni ancora vivi. Come una donna e una bambina liberate tra grida di «Allah è grande» alle dieci di ieri sera.
Adnan Meraj, un bancario, spiega che tra le macerie potrebbe essere ancora vivo anche l'italiano Alberto Bonanni, il dipendente dell'ambasciata italiana che vive in Pakistan da molti anni. «È un mio caro amico – spiega – e la sera prima eravamo stati a cena insieme. Io credo che potrebbe farcela, perché il lato del suo appartamento è rimasto protetto dalle travi, e al terzo piano molte altre persone sono state salvate». Adnan abita proprio di fronte, in un edificio molto simile, e ancora non si spiega come sia stato possibile che, in tutta la capitale, sia venuto giù solo quell'edificio delle Margala Towers. Poi suote la testa: «Allah è l'unico a conoscere il motivo di tutto questo».
Tra le montagne e le valli del paese dove interi villaggi e città sono ridotti a un cumulo di macerie, le famiglie senza vittime sono una sparuta minoranza rispetto alla grande moltitudine di sopravvissuti che dalle nove di sabato mattina vivono all'addiaccio, in attesa di soccorsi che non arrivano e di notizie dei propri cari sepolti tra le rovine.
La generazione di cui parla il maggiore Sultan va dai 2 ai 14 anni, età che forse comprende il 50 per cento delle vittime, come sostiene la rappresentante dell'Unicef Julia Spry Leverton. Molti erano a scuola, altri dentro le case da dove non hanno fatto in tempo a scappare, tanto improvviso e potente è stato il sommovimento che ha inghiottito uomini e cose.
C'è un luogo in particolare dove si concentra l'attenzione del mondo, tra Manshera e Balakot, nell'Azad Kashmir, l'area in assoluto più colpita, ad appena due ore di strada da Islamabad. Alla Gul Mera Primary school nei primi due giorni sono stati estratti 150 corpi di piccoli alunni, ma altri 250 sono ancora intrappolati: qualcuno potrebbe ancora essere vivo, alcune voci sono state udite fino a ieri invocare i genitori. Ma padri e madri, raccolti attorno all'edificio crollato con tutto il carico della loro angoscia, possono fare ben poco per salvarli. Muovono con cautela estrema le rovine assieme ai soldati, in un silenzio irreale rotto soltanto dalle grida di disperazione al ritrovamento dell'ennesimo cadavere. Un'attesa interminabile, destinata a durare ancora molto tempo, forse giorni e giorni, prima di liberare ogni sasso e trave finché tutti gli scolari, vivi o morti, saranno stati tirati fuori.
Una delle piccole alunne della scuola, scampata per miracolo, ha raccontato la scena avvenuta nella sua classe dove le lezioni erano cominciate da pochi minuti. «Eravamo tutti seduti – ha detto – e quando la terra ha cominciato a tremare non abbiamo fatto nemmeno in tempo ad alzarci, tutto ci è crollato addosso».
La scuola di Garhi Habibullah non è la sola ad essersi trasformata in un cimitero per alunni e insegnanti. Ce ne sono almeno altre due nella stessa provincia, e decine di altre sparse tra Muzaffarabad, la capitale kashmira ridotta a un enorme cimitero con almeno diecimila vittime e il 70 per cento degli edifici crollati, e il distretto di Hazara. Ad esacerbare gli animi nei villaggi remoti e spesso poverissimi basta ormai poco, e molti sono arrivati a contestare lo spiegamento di forze per salvare i sopravvissuti dell'unico palazzo crollato nella capitale Islamabad. «Per poche decine di morti tutti parlano di Islamabad. Ma qui sono morti e stanno morendo a decine di migliaia e nessuno fa niente», ha detto un abitante di Balakot, dove non è rimasto intatto quasi nessun edificio.
Ma anche attorno al complesso delle Margala Towers, nel cuore della capitale, residenze di lusso per benestanti pachistani e stranieri, l'attesa e il dolore non sono troppo dissimili da quelle dei villaggi remoti. Illuminato da potenti fari notturni, l'edificio crollato come cartapesta copre almeno 150 corpi, alcuni ancora vivi. Come una donna e una bambina liberate tra grida di «Allah è grande» alle dieci di ieri sera.
Adnan Meraj, un bancario, spiega che tra le macerie potrebbe essere ancora vivo anche l'italiano Alberto Bonanni, il dipendente dell'ambasciata italiana che vive in Pakistan da molti anni. «È un mio caro amico – spiega – e la sera prima eravamo stati a cena insieme. Io credo che potrebbe farcela, perché il lato del suo appartamento è rimasto protetto dalle travi, e al terzo piano molte altre persone sono state salvate». Adnan abita proprio di fronte, in un edificio molto simile, e ancora non si spiega come sia stato possibile che, in tutta la capitale, sia venuto giù solo quell'edificio delle Margala Towers. Poi suote la testa: «Allah è l'unico a conoscere il motivo di tutto questo».
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