Da Corriere della Sera del 05/10/2005
«In crisi per euro e Cina, non per l’11 settembre»
Tremonti al Senato: a Bruxelles è tempo di impegni e di doveri. Priorità ai distretti
di Mario Sensini
ROMA - «L’11 settembre non c’entra nulla con l’Italia e con l’Europa». Alle parole di Giulio Tremonti, in Senato per presentare la Finanziaria, il diessino Enrico Morando fa un balzo sulla sedia. Poi si alza, gridando: «Ma come? Per anni hai detto che c’entrava moltissimo». L’opposizione, quasi incredula, rumoreggia. Tremonti, imperterrito, va avanti. Ringrazia Morando, anzi, per «la garbata osservazione». E tira dritto, sorridendo: «Credo di aver avuto un po’ di tempo per riflettere su questi fatti...». Vuole spiegare, più che i numeri, le «cifre politiche» della nuova legge di bilancio. Senza preoccuparsi più di tanto di quella che suona come un’auto-smentita. Il vero problema, dice Tremonti, «sta dalle parti della Cina e dell'Europa». O meglio, nella somma di un’Europa incline «alle garanzie, alle promesse, al buonismo e all’ottimismo», ma incapace di decidere, e di una nuova economia fin troppo aggressiva. Non a caso il libro del ministro che esce oggi pare che avesse come prima ipotesi di titolo (sarà poi «Rischio Fatale») proprio questo: «Euro ? Cina = Sfascio».
Gli attentati alle Torri gemelle hanno avuto, dice Tremonti, «un impatto limitato sulla crescita, anche in America». Mentre l’Europa, e dentro l’Europa l’Italia, hanno avuto sempre più problemi. Per ragioni strutturali, non per la congiuntura. Né, aggiunge il ministro dell’Economia, per la responsabilità del governo di centrodestra. «Post hoc, ergo propter hoc» non funziona: «Se c’è colpa di un governo non è nell’essere venuto dopo», semmai, se c’è colpa, «è nel non aver fatto prima». Un colpo al centrosinistra, che in anni di vacche grasse «non ha fatto le riforme strutturali», dice Tremonti.
La crisi europea ed italiana dipende anche da ragioni politiche. L’euro, spiega il ministro, ha avuto effetti positivi per il debito, ma ha prodotto almeno due shock pesanti per l’economia. Il passaggio dal regime delle svalutazioni al cambio fisso. Poi la drastica riduzione dei tassi d’interesse. Positiva per molti aspetti, ma che ha scombussolato i bilanci delle famiglie, abituate a finanziare acquisti, spesso di beni durevoli, proprio con i rendimenti dei titoli pubblici. Agli shock dell’euro s’è aggiunta la «concorrenza asimmetrica della Cina». Soprattutto sui prodotti di punta del made in Italy: «Ci ha sottratto 13 miliardi di euro di quote di mercato solo su 21 categorie di prodotti». Benché il sistema produttivo italiano, a differenza di quello tedesco, delocalizzato, «sia forte e resti molto forte» afferma il ministro.
E’ in questo quadro che Tremonti cala la Finanziaria 2006, che riparte «con le riforme strutturali: il Tfr, la riscossione, la Banca del Sud, il 5 per mille». Soprattutto la valorizzazione dei distretti industriali. E’ una risposta politica: consentire alle imprese di una stessa area di avere un rating comune, una base imponibile in comune, un accesso al credito comune, è «il tentativo di far convergere la realtà sostanziale con la realtà legale». Certo, bisognerà convincere l’Europa. «L’unica area al mondo che fabbrica regole per la sua produzione e importa liberamente dal resto del mondo» dice Tremonti. Che non considera la possibilità di emettere titoli del debito pubblico europeo. Che non offre al capitale regimi legali e fiscali di favore negli investimenti in settori strategici o nelle aree svantaggiate, come il nostro Sud. «In Europa oggi è tempo di impegni e di doveri». Bruxelles è avvisata, Tremonti è tornato.
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