Da La Repubblica del 31/01/2005

"È il giorno della democrazia"

Bush ringrazia il popolo iracheno: avete battuto il terrore

Il presidente alle 13 si presenta in tv per celebrare il successo del voto
"È stato il popolo iracheno a fare di questa giornata un successo: hanno dato prova di un grande coraggio"
"Hanno respinto con fermezza l´ideologia anti-democratica dei terroristi, hanno rifiutato di farsi intimidire"

di Alberto Flores D'Arcais

NEW YORK - L'America canta vittoria. L'affluenza alle urne superiore alle previsioni hanno fatto delle prime libere elezioni in Iraq quel «giorno storico» che la Casa Bianca voleva, aprendo la strada - nonostante le minacce, gli attacchi ai seggi, le bombe e i morti - alla "democratizzazione" del paese dove Saddam Hussein aveva dettato legge per decenni. All'13,01 di ieri, quando ormai a Bagdad era tarda sera e i seggi erano chiusi, un George W. Bush visibilmente soddisfatto è apparso dalla Casa Bianca sugli schermi televisivi in diretta: «Le elezioni sono state un chiaro successo».

Il presidente americano ha parlato pochi minuti, dando atto agli iracheni di una prova di «grande coraggio» ma ricordando che la strada per una piena democrazia è «ancora molto lunga»: «Oggi il popolo iracheno ha parlato al mondo e il mondo sta ascoltando la voce della libertà che si leva dal centro del medio oriente; in gran numero e in una situazione di grande pericolo, gli iracheni hanno dato prova del loro impegno alla democrazia. Prendendo parte a una elezione libera gli iracheni hanno respinto con fermezza l'ideologia anti-democratica dei terroristi, si sono rifiutati di farsi intimidire da questi criminali e assassini».

«Hanno dato prova di quel coraggio che è sempre il fondamento dell'autogoverno - ha proseguito Bush - e alcuni iracheni sono stati uccisi mentre andavano a votare. Siamo anche addolorati per quei militari americani e britannici che oggi sono morti. Il loro sacrificio è stato per una causa di libertà, di pace in una regione inquieta e per un futuro migliore per tutti noi. Ma è stato il popolo iracheno a fare di questa elezione un successo chiaro».

La giornata di Bush era iniziata molto presto e fino dall'alba il presidente si era messo in contatto con Condoleezza Rice, il nuovo segretario di Stato che è anche la sua più ascoltata consigliera. E "Condi" gli ha dato, via via che arrivano, le «buone notizie che stanno giungendo un po' da tutto l'Iraq», prima di andare a parlare come `ospite del giorno' in diversi talk-show televisivi della domenica mattina dove ha anticipato la «soddisfazione del presidente».

Il portavoce della Casa Bianca, Scott McClellan, ha rivelato che Bush ha voluto subito discutere le «prospettive del voto in Iraq e del futuro della regione» telefonando a due alleati-chiave per la riuscita del progetto degli Stati Uniti «Democrazia in Medio Oriente», il presidente egiziano Hosni Mubarak e il principe ereditario saudita Abdallah. Nelle conversazioni telefoniche - definite "brevi" dalla Casa Bianca - il presidente americano ha parlato con i suoi interlocutori anche degli «sviluppi del conflitto israelo-palestinese».

Grande soddisfazione anche al Pentagono dove le elezioni sono state monitorate minuto per minuto con il segretario alla Difesa Rumsfeld in stretto contatto con il suo vice Wolfowitz e i militari sul terreno.

Il primo round della democratizzazione dell'Iraq dopo la guerra è andato alla Casa Bianca ma nell'amministrazione Bush qualcuno ha già cominciato a fare i conti con quanto succederà nei prossimi mesi. Preoccupa la "questione sunnita", la minoranza religiosa da sempre al potere che con il voto è diventata una minoranza vera a tutti gli effetti. Sunnita è una parte di quella borghesia su cui gli americani puntano per ricostruire (o costruire dal nulla) le infrastrutture e le istituzioni di uno Stato che argini i fondamentalismi islamici di ogni colore; sunniti sono i potenziali alleati in chiave antiraniana; sunniti sono gli insurgents e alcuni dei gruppi terroristi che intendono alzare ancora di più il livello di scontro per arrivare a una guerra civile aperta che manderebbe in frantumi il progetto americano.

Occorrerà aspettare ancora diversi mesi, dicono a Washington, prima di poter capire se queste elezioni avranno rappresentato una svolta definitiva sulla via della "pacificazione nazionale"'; bisognerà aspettare il nuovo governo, l'assemblea che entro il 30 agosto scriverà la nuova Costituzione e infine le nuove elezioni di fine anno per capire se le varie componenti etnico-religiose riusciranno nell'impresa di democratizzare una società e un popolo vissuti per trent'anni sotto una feroce dittatura. Oppure se la scommessa della Casa Bianca sarà alla lunga una scommessa persa e l'Iraq diventerà un nuovo regime arabo- islamico con cui gli Usa dovranno prima o poi rifare i conti.

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