Da Corriere della Sera del 07/11/2003

Al processo Dell’Utri

Quei boss rivali uniti per sfruttare le spie

di Giovanni Bianconi

PALERMO - S'intreccia con le indagini per la ricerca dei grandi latitanti di mafia la brutta storia delle presunte talpe di Cosa Nostra in Procura e nei carabinieri. Perché gli inquirenti considerano Michele Aiello - il ricco imprenditore arrestato di associazione mafiosa - un uomo legato al boss Bernardo Provenzano, imprendibile da più di quarant'anni; e perché, come scrive il giudice che ha mandato in carcere Aiello e i due marescialli della Dia e dell'Arma Ciuro e Riolo, accusati di soffiargli notizie riservate, le informazioni rubate si riferivano anche ad altri ricercati.

L'attività di spionaggio imputata ai due investigatori quindi «ha comportato preziosi contributi all'intera organizzazione mafiosa, di cui l'Aiello è organico, costituite in sintesi nel ricercare e acquisire notizie sulle attività operative della Squadra Mobile della Questura di Palermo, informazioni relative al settore "carcerario", alle estorsioni e a quello delicatissimo della ricerca dei latitanti "Lo Piccolo e l'altro" (Provenzano Bernardo) che, assunte dal Ciuro, sono state subito da lui riferite all'Aiello e al Riolo».

Salvatore Lo Piccolo, capomafia della famiglia palermitana di San Lorenzo, è un altro boss in cima alla lista dei ricercati di cui parla il maresciallo Ciuro, ormai ex braccio destro del pubblico ministero Antonio Ingroia, nelle sue telefonate con Aiello. Telefonate che avvenivano sempre e soltanto attraverso i cellulari che lo stesso Aiello aveva intestato a nomi di persone estranee e fornito ai suoi informatori. Quegli apparecchi venivano utilizzati solo per le conversazioni tra gli attuali indagati, secondo un metodo utilizzato anche dai terroristi delle nuove Brigate rosse: parlare su telefonini non riconducibili a chi teme di essere ascoltato ed evitare di contattare, da quei numeri, familiari o amici che possono far individuare i reali interlocutori. Ma un'improvvida telefonata della moglie del maresciallo Ciuro al marito fatta con uno dei cellulari «riservati» ha permesso ai carabinieri di risalire a quello che lo stesso maresciallo, nelle sue conversazioni con Aiello, chiamava il «secondo canale».

Su quelle linee gli indagati parlavano liberamente: delle indagini in corso, degli accertamenti chiesti da Aiello ed effettuati dai suoi complici, dei loro spostamenti. Tra le conversazioni che più hanno allarmato gli inquirenti ci sono quelle in cui il maresciallo del Ros Giorgio Riolo, impegnato nella sistemazione di microspie per la ricerca dei latitanti (primo fra tutti Provenzano), diceva ad Aiello dove si trovava per lavoro, rischiando così di segnalare all'organizzazione mafiosa le mosse degli inquirenti per rintracciare il capomafia.

Ma c'è un terzo grande latitante che fa capolino in questa indagine, anche se il suo nome non compare nel provvedimento del giudice. E' Matteo Messina Denaro, il boss del trapanese considerato esponente di spicco dell'ala «dura» di Cosa Nostra. Indagando sulle protezioni di cui gode, infatti, il pubblico ministero dell'Antimafia Massimo Russo era arrivato a esaminare proprio la posizione di Michele Aiello. Ed è lui a chiedere di quel nome al pentito Nino Giuffrè. Il quale risponde spiegando che «Aiello è un punto di riferimento per Cosa Nostra» nella gestione degli appalti.

Lo stesso Aiello era al centro del lavoro dell'ispettore di polizia che collabora col pm Russo, il quale si ritrova ora indagato nell'inchiesta sulle presunte talpe per essere stato contattato da Ciuro, averlo incontrato e aver risposto a qualche sua domanda. Questa scelta sta provocando molti malumori in Procura, poiché - accusano alcuni pm - proprio l'aver proceduto all'insaputa anche di quei magistrati che conducevano indagini contigue (ad esempio lo stesso Russo) ha impedito di ottenere alcuni chiarimenti preventivi. Per esempio sul conto di quell'ispettore che adesso è inquisito ma che invece avrebbe avuto - secondo la sua difesa e l'opinione di altri pm - un comportamento non censurabile.

Al di là di questo episodio e dell'ennesima polemica che ha generato all'interno della Procura palermitana, comunque, dall'inchiesta viene fuori un'ulteriore elemento sul possibile reticolo messo insieme da Cosa Nostra a sostegno dei grandi latitanti. Anche di due personaggi apparentemente in dissenso come Provenzano, sostenitore del «quieto vivere», e Messina Denaro, considerato un «militarista» che non ha rinunciato agli omicidi per affermare il suo predominio. Dai contatti sui telefoni riservati distribuiti da Aiello emerge la presenza della sorella di una donna che in passato ha avuto una relazione con Messina Denaro. Nel 2001 quella donna fu condannata per favoreggiamento del boss, e ora la sorella risulta legata ad Aiello. Nomi che tornano d'attualità insieme a un sospetto: i mafiosi possono dividersi sulle strategie da adottare e sulla gestione degli affari, ma per sfuggire alla giustizia utilizzano la stessa rete di appoggi e protezioni.

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