Da La Stampa del 17/12/2004

Una sfida allo scontro di civiltà

di Aldo Rizzo

Oggi sapremo ufficialmente la data decisa dall’Unione Europea, per l’avvio concreto del negoziato con la Turchia, che ormai da quarant’anni bussa alla porta sperando che si apra. Ancora oggi sono in molti a desiderare che la porta resti chiusa, o che almeno si rimandi un’altra volta la decisione, ma la previsione è che non si possa più attendere e che la risposta sarà finalmente positiva.

Tanta circospezione non è senza motivi. La Turchia non è la Slovenia o Malta, è un Paese di 70 milioni di abitanti (per ora), il cui ingresso nell’Ue altera non poco i meccanismi decisionali e i rapporti di forza tra i vari membri, grandi e piccoli. Soprattutto è un Paese storicamente, e pressoché unanimemente, islamico, il che rappresenta una straordinaria, eccezionale novità per le adesioni all’Unione. Questi e altri fattori sono invocati da chi è contrario anche al negoziato, spesso contraddicendo la posizione ufficiale dei governi. E’ il caso della Lega, in Italia, che ha addirittura inteso fare del no alla Turchia un suo nuovo rumoroso slogan, apertamente sfidando il premier Berlusconi e il ministro degli Esteri Fini, che sono per il sì. In Germania la dialettica non è all’interno del governo, ma tra maggioranza e opposizione, con i cristiano-democratici che bocciano la prospettiva della piena adesione, proponendo quella di un’associazione «privilegiata», già respinta da Ankara come un inammissibile declassamento. E la Cdu echeggia forti perplessità vaticane, espresse soprattutto dal cardinale (tedesco) Ratzinger, benché la Segreteria di Stato (Sodano) sia formalmente «neutrale». Perplessità anche in Francia (ma Chirac è favorevole, con inevitabili cautele), mentre in Danimarca ieri qualcuno ha coperto con un pesante «burqa» nero la famosa statua della Sirenetta.

Al fondo di tutto, al di là di questioni particolari (l’irruzione di masse di lavoratori turchi, la ripartizione delle sovvenzioni agricole, la divisione di Cipro), c’è il timore, più o meno sincero e più o meno apprezzabile, che un futuro ingresso della Turchia snaturi l’identità storico-politico-culturale dell’Europa, quando già essa è in una difficile fase di definizione. E questo è certamente un problema. Ma è anche una sfida in positivo. Puntare sull’immissione di un grande Paese islamico, ove esso completi la sua transizione laico-democratica, è la massima, in potenza, risposta europea alla prospettiva, questa davvero temibile, dello «scontro di civiltà».

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