Da Corriere della Sera del 11/11/2004
In America il costo del denaro sale al 2%, come in Europa
Greenspan alza i tassi. Ma l’euro corre ancora
Nuovo massimo sopra 1,30. Almunia: siamo preoccupati
di Ennio Caretto
WASHINGTON - Per la quarta volta consecutiva la Federal Reserve, la banca centrale americana, rialza i tassi di un quarto di punto, portandoli finalmente allo stesso livello di quelli dell'Ue, il 2%. Ma non frena il super euro, che supera anzi la quota record di 1,30 dollari e che spinge il ministro dell’Economia italiano, Domenico Siniscalco, a osservare che soltanto gli interventi concertati delle banche centrali potrebbero attutirne gli effetti «perché un intervento unilaterale non serve in presenza di mercati così grandi». L’insofferenza degli europei è testimoniata anche dalle parole del premier italiano, Silvio Berlusconi, che ieri ha rivelato interventi del governo sulla Bce perché «non è possibile che continui quest’indirizzo». E tutti i leader europei, secondo l’espressione del commissario Ue agli Affari economici, Joaquin Almunia, sono «preoccupati».
La questione potrebbe andare al vaglio del G7, il gruppo delle potenze industriali? Sì, ma invano se prevarrà la posizione del presidente Bush. La svalutazione del dollaro favorisce le esportazioni Usa, che infatti a settembre segnano un record, e fanno calare del 3,7% il deficit commerciale rispetto ad agosto, 51 miliardi e mezzo di dollari, 2 miliardi in meno del temuto, un fenomeno che potrebbe ripetersi.
Nel comunicato, che ripete parola per parola quello di un mese fa, la Fed traccia un quadro piuttosto confortante dell'attuale congiuntura americana: l'economia si espande «a passo moderato» nonostante il rincaro del petrolio; l’inflazione «è ben contenuta»; il mercato del lavoro «è migliorato»; e «i rischi in un senso o nell'altro per una crescita sostenibile e per la stabilità dei prezzi quasi si equivalgono». Perciò la banca centrale Usa «proseguirà una politica accomodante a ritmo misurato, tenendosi pronta a rispondere ai cambiamenti di prospettiva». Come dire che, se non ci saranno scosse inattese, il presidente della Fed, Alan Greenspan, confermerà la strategia dei piccoli passi per il tempo prevedibile. La Casa Bianca tira un respiro di sollievo: a settembre si sono creati 333 mila nuovi posti di lavoro, e il boom delle esportazioni dovrebbe far rivedere al rialzo la crescita del prodotto interno lordo.
La maggioranza degli economisti ritiene che Greenspan rialzerà i tassi anche alla prossima riunione del Comitato direttivo della Fed a fine dicembre per contenere la sia pur incostante spinta inflazionistica del petrolio: i suoi prodotti sono rincarati dell'11,7% a settembre e del 40% rispetto a un anno fa. Ma forse neanche un quinto rialzo porrebbe fine alla svalutazione del dollaro, che è stata dell'1,5% dal 2 novembre, il giorno delle elezioni, e dell'8% in sei mesi, e che ha avuto l'effetto di rendere meno costoso ovunque il made in Usa, consentendo al Paese di segnare il record dell'export a settembre, 97 miliardi e mezzo di dollari. Secondo il Wall Street Journal cambierebbe poco o nulla: l'obiettivo del presidente è di continuare ad arginare il deficit commerciale aumentando le esportazioni, scrive il giornale. «A parole George Bush propugna un dollaro forte, ma di fatto lo lascia deprezzare».
Tuttavia, aggiunge il Wall Street Journal , Bush si rende conto che la svalutazione del dollaro danneggia enormemente la Ue e il Giappone, e che se loro economie si bloccassero l'America finirebbe per esportare di meno. Anche per questo motivo, il presidente preme sulla Cina affinché cessi di tenere ancorato lo yuan al dollaro e assorba più prodotti americani. Ma il motivo principale per cui Bush chiede la rivalutazione dello yuan è che il disavanzo Usa negli scambi con la Cina cresce, ha raggiunto i 15 miliardi e mezzo di dollari a settembre, anch'esso un record. Un gioco pericoloso: il sistema bancario cinese è così esposto che l'apprezzamento dello yuan potrebbe metterlo in crisi, con gravi ripercussioni in tutto il mondo. In ogni caso, la bilancia commerciale americana quest'anno peggiorerà rispetto al 2003. Un anno fa il disavanzo a settembre era di 371 miliardi di dollari, adesso è di 444 miliardi e mezzo.
La questione potrebbe andare al vaglio del G7, il gruppo delle potenze industriali? Sì, ma invano se prevarrà la posizione del presidente Bush. La svalutazione del dollaro favorisce le esportazioni Usa, che infatti a settembre segnano un record, e fanno calare del 3,7% il deficit commerciale rispetto ad agosto, 51 miliardi e mezzo di dollari, 2 miliardi in meno del temuto, un fenomeno che potrebbe ripetersi.
Nel comunicato, che ripete parola per parola quello di un mese fa, la Fed traccia un quadro piuttosto confortante dell'attuale congiuntura americana: l'economia si espande «a passo moderato» nonostante il rincaro del petrolio; l’inflazione «è ben contenuta»; il mercato del lavoro «è migliorato»; e «i rischi in un senso o nell'altro per una crescita sostenibile e per la stabilità dei prezzi quasi si equivalgono». Perciò la banca centrale Usa «proseguirà una politica accomodante a ritmo misurato, tenendosi pronta a rispondere ai cambiamenti di prospettiva». Come dire che, se non ci saranno scosse inattese, il presidente della Fed, Alan Greenspan, confermerà la strategia dei piccoli passi per il tempo prevedibile. La Casa Bianca tira un respiro di sollievo: a settembre si sono creati 333 mila nuovi posti di lavoro, e il boom delle esportazioni dovrebbe far rivedere al rialzo la crescita del prodotto interno lordo.
La maggioranza degli economisti ritiene che Greenspan rialzerà i tassi anche alla prossima riunione del Comitato direttivo della Fed a fine dicembre per contenere la sia pur incostante spinta inflazionistica del petrolio: i suoi prodotti sono rincarati dell'11,7% a settembre e del 40% rispetto a un anno fa. Ma forse neanche un quinto rialzo porrebbe fine alla svalutazione del dollaro, che è stata dell'1,5% dal 2 novembre, il giorno delle elezioni, e dell'8% in sei mesi, e che ha avuto l'effetto di rendere meno costoso ovunque il made in Usa, consentendo al Paese di segnare il record dell'export a settembre, 97 miliardi e mezzo di dollari. Secondo il Wall Street Journal cambierebbe poco o nulla: l'obiettivo del presidente è di continuare ad arginare il deficit commerciale aumentando le esportazioni, scrive il giornale. «A parole George Bush propugna un dollaro forte, ma di fatto lo lascia deprezzare».
Tuttavia, aggiunge il Wall Street Journal , Bush si rende conto che la svalutazione del dollaro danneggia enormemente la Ue e il Giappone, e che se loro economie si bloccassero l'America finirebbe per esportare di meno. Anche per questo motivo, il presidente preme sulla Cina affinché cessi di tenere ancorato lo yuan al dollaro e assorba più prodotti americani. Ma il motivo principale per cui Bush chiede la rivalutazione dello yuan è che il disavanzo Usa negli scambi con la Cina cresce, ha raggiunto i 15 miliardi e mezzo di dollari a settembre, anch'esso un record. Un gioco pericoloso: il sistema bancario cinese è così esposto che l'apprezzamento dello yuan potrebbe metterlo in crisi, con gravi ripercussioni in tutto il mondo. In ogni caso, la bilancia commerciale americana quest'anno peggiorerà rispetto al 2003. Un anno fa il disavanzo a settembre era di 371 miliardi di dollari, adesso è di 444 miliardi e mezzo.
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